Allarme, siam fascisti!
(Pixabay) |
di FRANCESCO GRECO - Incapaci ci decodificare il presente nella sua barocca complessità, di vagheggiare un’idea benché minimalista di futuro, non resta che rifugiarsi nel passato. E farsi un giro nella macchina del tempo. E cosa si presta meglio dell’inossidabile, eterno ritorno del fascismo, sebbene derubricato a elemento sociologico, se non folkloristico?
E così, a 75 anni dalla caduta, il duce è tornato in spe (servizio permanente effettivo). I fascisti pullulano intorno a noi, colazione, pranzo e cena, non si può uscire di casa senza incontrarli, evasi dai libri di Storia in orbace e moschetto, manganello e olio di ricino, nelle strade si canta “Bella ciao” e “Bandiera rossa”.
Comunisti senza comunismo, tornano l’antifascismo e l’anticomunismo militanti. In parole povere: una ridicola, grottesca guerra civile. Siamo un popolo fantastico: nel ventennio eravamo tutti fascisti, figli della lupa e fidenamignotta, caduto il fascismo, ci siamo riscritto il cv col bianchetto e siamo diventati antifascisti (tanto era a costo zero), e oggi ci siamo inventati il fascismo per quattro sgarrupati di Casapound, i primi a non credere di essere presi sul serio.
E’ un remake quotidiano noioso, fastidioso, che tradisce l’incapacità ontologica di una riconciliazione nazionale. E’ come rivedere le prime puntate di Montalbano o l’ombelico di Raffaella Carrà nel tuca tuca alla tv in bianco e nero. Non resta che rassegnarsi.
Il più esposto è, ovvio, il ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini, un tipo tosto, sanguigno, dotato di attributi. Che si salva dal diluvio con un’ironia tutta british, e a chi lo contesta dà del “figlio di papà”, oppure sibila: “Più zabaione e meno canne”. Come dire che molti che gridano al fascismo dovrebbero soffiare nel palloncino o smetterla di rollare spinelli.
Salvini è “fascista” perché non sta 8 ore incatenato alla scrivania al Viminale (è la tesi di Stella e Rizzo sul “Corriere”, nell’epoca del telelavoro), si fa i selfie, va in giro col rosario, ha dietro un apparato propagandistico, si muove coi voli di Stato: ma se è un uomo di Stato, delle istituzioni, cosa deve fare, l’autostop o prendere la metro per svolgere il suo lavoro?
E, ovvio, per la questione migranti. A quanto se ne sa, Salvini non ha ucciso mai nessun migrante del popolo del gommoni. Mentre il suo predecessore, Marco Minniti, aprì i campi profughi in Libia, dove, come ci disse in magnifici reportage Domenico Quirico su “La Stampa”, avvenivano cose bestiali, disumane (violenze, stupri, ecc.). Ma dirlo è politically scorrect e il predicatore Saviano finge di non saperlo e i corsivisti militanti non glielo ricordano.
I media fanno la loro parte da leoni nell’enfatizzare tutto ciò: questo governo è stato dato per finito dozzine di volte, tanto che Salvini tocca fero (e altri amuleti), ma forse farà i 5 anni della normale legislatura.
Siamo immersi nel brodo primordiale di una subcultura figlia del Novecento peggiore, le pregiudizio duro a morire. A volte i morti ritornano per afferrare i vivi per tirarli giù in fondo all’abisso della Storia e della memoria.
Indugiare nel passato facendo dell’invettiva e della calunnia strumenti di lotta politica, aver paura del nuovo perché incapaci di confrontarsi e agitare spettri inesistenti, è il segno inequivocabile di un infantilismo patologico e di una povertà programmatica spaventosa.
Tutti questi fattori (senza scordare i magistrati pronti a tirare molotov in piazza: fosse venuta da destra, avrebbe menato scandalo, invece è stata accolta da una standing-ovation) hanno posto le premesse per una vittoria storica della Lega alle europee del 26 maggio; non solo, ma per la nascita di un partito unico sovranista su base continentale, un pò come hanno fatto, con sfumature diverse, Trump, Putin, Xi-Jinping, Erdogan, ecc.
E’ bene ricordarlo agli immemori: questo governo si regge anche sul fallimento delle politiche sociali della sinistra delle brioches, che da Prodi (che sbagliò il cambio lira-euro) all’altro ieri, ha abbandonato milioni di persone a se stesse, alla povertà, alla precarietà, all’insicurezza, a morte prematura. Importante era dare i soldi alle banche.
E’ stato votato (4 marzo 2018) da 1 italiano su 2 ed è quindi pienamente legittimo. Sta facendo una rivoluzione (chi vuole può metterci le virgolette) politica e culturale di dimensione epocale, nella discontinuità col passato.
Può non piacere ai deboli di stomaco, a chi vive di rendita ideologica, può avere aspetti contraddittori e persino destabilizzanti non condivisibili. Ma non può fermarsi, altrimenti il vecchio torna e spazza via il nuovo. Funziona così nella Storia, da Pericle ai tempi nostri.
E il neofascismo? E’ un gioco di società e di salotto chic tipo torneo di burraco, agitato da furbastri insaziabili ricacciati ai margini del tempo. A Predappio gli innamorati del duce sono sempre andati a dir messa, ma nessuno aveva mai menato scandalo (o le mani).
Gli antifascisti di oggi, a ben vederli, sono come i professionisti dell’antimafia di Sciascia di ieri: hanno trovato una miniera d’oro e la sfruttano sino all’ultima oncia, senza pudore: è la casta, bellezza! E’ come in quella favola alternativa: quando udirono urlare “Al lupo! Al lupo!”, si girarono: era proprio il lupo.
A volte le parole mutano di semantica sotto i nostri occhi distratti, colmi di pregiudizio: se in nome dell’antifascismo si scaccia un editore che ha pubblicato la vita di Salvini dalla Fiera del Libro di Torino dopo avergli venduto uno stand (se un libro non piace non lo si compra e basta), se si fanno liste di proscrizione di giornalisti sgraditi (non potendoli mandare al gulag), curioso, ma è l’antifascismo che si trasfigura in fascismo. Ehia, ehia, alalà. Quella che si dice eterogenesi dei fini.
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