di FREDERIC PASCALI - Esiste la storia delle storie? Quella da potersi apparentare con aggettivi del calibro di “incredibile”, “fantastico” o “meraviglioso”? Secondo i fratelli Anthony e Joe Russo,registi di tutti gli ultimi capitoli della saga dedicata ai “Vendicatori” dell’universo Marvel, pare proprio di sì.
La chiusura del cerchio nell’ultimo kolossal di poco più di tre ore e con, al momento, oltre 2,2 miliardi di dollari incassati in tutto il mondo, porta con sé una carica emotiva che è il non plus ultra del credo Marvel. Fin dagli albori gli eroi immaginati dai leggendari Stan Lee e Jack Kirby avevano la particolarità di coniugare i loro superpoteri con le fragilità tipiche di un qualsiasi altro essere umano, riuscendo, pur di portare a compimento la propria missione, a sublimarne gli aspetti deteriori. La lotta epocale contro Thanos, nella quale si decide il destino dell’umanità e la sopravvivenza di alcuni degli stessi Avengers, sviscera con insistenza questa linea narrativa facendo leva sugli affetti e i legami familiari che strutturano le vite di tutti i protagonisti.
I fratelli Russo manovrano una specie di mixer delle coscienze e, con una buona scelta di tempo, riescono a ritagliare gli spazi necessari per i pensieri e le riflessioni su quello che è giusto e su quello che è sbagliato, stemperando il clamore degli effetti speciali e il clangore dei colpi quando i primi piani si fanno serrati e i ricordi diventano speranza.
Gli espedienti di sceneggiatura pescano a piene mani nel sempiterno “Viaggio dell’eroe” di Voegler e nelle tematiche morali che si annidano in ogni favola che si rispetti. Allo spettatore è lasciato il compito di seguire e parteggiare per i destini dei singoli eroi, l’ampio spettro di personalità permette a chiunque di avere un “preferito”, senza essere costretto a porsi troppe domande foriere di lunghe risposte. Poco importa che rispetto al fumetto originale vi sia qualche cambiamento o che non compaiano personaggi chiave come Adam Warlock, Galctus o Lady Morte, l’effetto seduttivo non cambia e, mai come in questa saga, al momento della battaglia finale, i buoni e i cattivi sono perfettamente riconoscibili. I dialoghi, tratteggiati dalla tipica ironia del cinema americano d’azione, chiudono il cerchio e, pur spalleggiando un po’ troppo il grottesco, inglobano infiniti mondi di un target principalmente giovanilistico.