di FRANCESCO GRECO - Vedi alla voce “cutting” e scopri un mondo insospettato, irrazionale, che naviga carsicamente, fatto di sofferenza fisica e psichica, di famiglie devastate, di adolescenti che si fanno del male. Sapevamo dell’anoressia, la bulimia, la ludopatia, di ragazzine che mangiano i loro stessi peli, ma che c’è chi si procura dei tagli con le lamette o il coltello lo ignoravamo.
Pare che il fenomeno (in prevalenza femminile) sia molto diffuso nella realtà anglosassone, mentre da noi colpisce le classi abbienti, colte: il mondo istituzionale, accademico, ecc.
La psico-antropologa e psico-terapeuta Giuliana Cazzato (info: 380-6809288) ha in cura alcuni pazienti affetti da tale patologia e in questa intervista svela le dinamiche e il background del cutting.
DOMANDA: Dottoressa Cazzato, che cos’è esattamente il cutting?
RISPOSTA: "Con il termine "cutting" (dall' inglese cut), si intende un particolare comportamento autolesionistico atto a procurarsi ferite sul corpo con un qualsiasi oggetto contundente come lametta, rasoio, matita appuntita, taglierino o coltello.
Questa patologia è da annoverarsi tra i "disturbi del discontrollo degli impulsi" e la caratteristica principale è data dall'elevato livello d' impulsività trattata nello specifico nel DSM-IV (manuale dei disturbi mentali) come disturbo della condotta.
Il cutting, nella sfera più ampia dei comportamenti autolesivi o autolesionistico, è caratterizzato da intenzionalità, ripetitività e assenza di volontà suicida".
D. Come si manifesta?
R. "Ha un esordio graduale, che inizia solitamente con un graffio o una ferita accidentale, ma insolitamente dona e determina una sensazione di immediato sollievo allertando e invitando il soggetto a ricercare e riprovare la stessa sensazione.
È così che l'azione tipica del cutting viene ad essere reiterata nel tempo dando luogo ad una vera e propria condotta autolesiva.
Tra le condotte autolesive viene annoverata, oltre al cutting, la tricotillomania (tendenza a strapparsi i capelli, peli o sopracciglia), l'ingestione di sostanze tossiche e la mania di procurarsi sul corpo ustioni, sia lievi che gravi".
D. Cosa vuol comunicare al mondo chi si pratica il cutting?
R. "Abbiamo detto che il cutting è, nello specifico, un disturbo della condotta creato dall'impulsività che a sua volta può essere definita predisposizione manifestata attraverso una rapida reazione non premeditata, a fronte di stimoli endogeni (interni) o iatrogeni (esterni), senza valutazione delle conseguenze negative implicite derivanti.
Detto ciò, colui che assume tali condotte comportamentali, di solito non predetermina nessun messaggio in quanto l'atteggiamento, se non per poche accezioni, non volge al coinvolgimento sociale ma al contrario alla ricerca del puro anche se effimero piacere personale.
L'eccezione alla regola in questo caso è data dall'esigenza di catturare l' attenzione altrui, comunicando all'alterità che il soggetto in questione è vivo ed è in grado di provare sensazioni anche forti, come il dolore, il disprezzo per la paura e la sofferenza e cosi via.
Di contro, il rovescio della medaglia che restringe il campo nell'intima sfera, ci suggerisce che l' autolesionista in realtà ha bisogno di provare sensazioni che gli possano ricordare il provare stesso ed aggrapparsi così all'idea di esistere.
In analogia il dolore diviene gioia di vivere ed il sangue che scorre a piccoli fiotti, il giusto prezzo da pagare per sentirsi allineati con il mondo e confortati".
D. E’ vero che non si prova dolore ma piacere e che ci si cura da soli?
R. "Come in tutti gli esseri viventi, un trauma, seppur epidermicamente localizzato, procura dolore, questo è un fatto acclarato data la natura morfologica e bioneurologica del nostro organismo.
La sostanziale, seppur sottile differenza, consiste nella non sola accettazione del dolore, ma addirittura, paradosso, nella continua ricerca di questa condizione, volta all'espiazione di fattori contingenti di natura psicotica dei soggetti.
In altre parole, il dolore diviene condizione necessaria per ogni significativo riscatto personale. Estinta e soddisfatta l'esigenza, si torna nella normofase dove si genera una presa di coscienza che porta a preoccuparsi del proprio stato di salute, subentrando così la necessità di curare le ferite autoinflitte.
In realtà, nella maggior parte dei casi, questi atteggiamenti non hanno come fine ultimo la soppressione della propria esistenza, ma come su detto, volgono alla ricerca del piacere e del compiacimento personale".
D. Lei cosa consiglia come cura?
R. "Saper osservare e comprendere il quadro clinico e le sue sfumature non è semplice, tuttavia è fondamentale, data la varietà di schemi terapeutici di questi disagi, che oltre alla dimensione impulsiva, comprendono talvolta elementi affettivi o psicotici che sfociano in maniera cormobide in disturbi della personalità.
L'impulsività, fattore primordiale e scatenante, va istantaneamente identificato e valutato, assicurandosi ed escludendo dal caso (quando il cuning ce lo permette) fattori di rischio come condotte suicidarie o altamente lesive, acclarato ciò, si potrà procedere con terapia psicoanalitica associata a strategie di tipo cognitivo comportamentali.
Nei casi tuttavia in cui l'impulsività fa parte di un quadro clinico dove coesistono elementi disforici (stato depressivo) o ipomaniacali, sarà utile ricorrere all'ausilio di un'adeguata tanto personalizzata terapia farmacologica comprendente stabilizzatori dell'umore, come i sali di litio o la carbamazepina.
Il tutto, ovviamente, non potrà trovare riscontro o epilogo positivo contro la volontà ineluttabile di ciascun paziente".