KABUL - Tragico epilogo per Mina Mangal, l'attivista afgana per i diritti delle donne. «Mi hanno insultato, ricoperto di fango. E ora vogliono uccidermi. Ma io non mi fermo». Scriveva così su Facebook la donna agli inizi di maggio, spiegando di aver ricevuto minacce di morte da «fonti sconosciute». La drammatica fine ieri mattina alle 7.20, quando le hanno sparato sulla porta di casa.
La donna, proveniente dalla regione di Paktia, aveva ottenuto un nuovo impiego come consulente per la commissione culturale della Camera bassa del Parlamento. Ma non solo. La donna era nota anche per la carriera giornalistica in diverse tv private tra cui Tolo e Ariana, nelle quali aveva mosso i primi passi.
Doversi sposare, dormire e vivere tutti i giorni con una persona che non ha scelto: per Mina non era solo una battaglia politica, lei stessa era stata data in sposa nel 2017 ad un uomo che non amava. Un destino comune a tante afghane, anche a quelle istruite o che vivono nella capitale. Mina aveva deciso di battersi per i propri diritti e, all’inizio di maggio, aveva finalmente ottenuto il divorzio.
«È stato il suo ex marito ad ammazzarla», accusano i familiari. A far pensare, invece, ad un agguato organizzato sono i racconti dei testimoni che parlano di uno o più uomini a volto coperto. Una volta arrivati a Rehman Baba — zona occidentale di Kabul dove la donna viveva — i killer prima hanno esploso dei colpi in aria per disperdere i passanti e poi hanno mirato al petto e alla testa di Mina.
«Investigheremo», hanno promesso le autorità, sottolineando di non aver chiaro se il movente sia personale o se si tratti di un attacco di matrice terroristica, dato l’impegno della giornalista per i diritti femminili e le critiche al fondamentalismo religioso e alla corruzione.
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