di LIVALCA - Ritengo di aver ascoltato Matteo Salvatore nei primi anni ’60 a Foce Varano prima e San Menaio dopo, ero ragazzino e mi interessava l’aria di festa che si respirava in questi piccoli centri e non certo lo spettacolo allestito. Penso sia lui, probabilmente accompagnato già dalla signora Adriana Fascetti, perché i commenti delle signore rivolte alla donna non erano ‘teneri’, rea, la ‘poverina’ di circuire l’uomo marito di un’altra donna (Per l’artista Doriana iniziano da subito le difficoltà del suo sfortunato rapporto artistico-amoroso). Questa premessa ha una sua logica: se Beppe Lopez, che conosco dalla metà degli anni ’60, mi avesse interpellato, così come ha fatto con Vincenzo Luciani e Matteo Galante, avrei potuto arricchire le sue informazioni facendo ricorso alla memoria dei miei cugini con cui trascorrevo le vacanze nella settimana a cavallo ( che animale a me famigliare) di ferragosto.
Il volume che il giornalista barese ha dedicato a quel Matteo Salvatore, “ vissuto come un diavolo, ma che cantava come un angelo”, testimonia il percorso formativo di questo cronista da sempre, giornalista per passione, scrittore per bisogno intellettivo, direttore di giornali e di agenzia per attitudine al comando, amante della politica e della vita, oggi attivissimo blogger (ma non chiedetemi cosa significhi !). Un uomo di successo - non mi riferisco a quella fortuna che genera la stima e rende anche simpatici - che ha scalato la vita partendo dal basso, forte solo della sua passione di ‘capatosta’, della sua non comune intelligenza, e di quel sano e pur spietato ‘individualismo puro’ che lo portò a rifiutare nell’estate del 1966 la mia collaborazione , lui con solo qualche anno più di me, per completare celermente una pagina di giornale della testata diretta da Aurelio Papandrea.
Lopez si è formato nel mestiere all’epoca del piombo e delle macchine da scrivere e ha avuto la fortuna di poter mettere in risalto, le sue indubbie qualità , appena ventenne ricoprendo l’incarico di addetto stampa del Consiglio Regionale Pugliese nella prima legislatura con Beniamino Finocchiaro presidente. Penso che fosse diventato pubblicista l’anno prima e sia passato professionista al termine della legislatura (1975): per cui grazie Regione Puglia ritengo possa affermarlo pacatamente, la ‘scordanza’ non ci rende migliori. Il libro «Matteo Salvatore l’ultimo cantastorie» (Aliberti compagnia editoriale, 2018) è costruito con grande maestria e l’autore snocciola gli avvenimenti con grande imparzialità , anche se spesso sottolinea come il cantore di Apricena abbia sprecato tante occasioni per prendere il volo, frenato dal suo carattere chiuso e ‘ombroso’, solo in parte giustificato da una vita di stenti fin dalla nascita. La mia personale interpretazione è che il periodo in cui si nasce ti può condizionare l’esistenza: Salvatore se soltanto fosse nato 22 anni dopo (quel ’47 che ha visto partorire talenti in tutti i campi artistici ) oggi, senza forse, staremmo esaminando una storia diversa.
Significativa e intrigante la testimonianza di Vincenzo Luciani (Vincenzo tu che santifichi ogni giorno la tua Ischitella con il premio ‘Pietro Giannone’, tu che dai vita a testate on line tipo Abitareroma, tu che con la tua rivista ‘Periferie’ scuoti le coscienze, tu che solidifichi origini, radici e fonti con il centro di documentazione della poesia dialettale ‘Vincenzo Scarpellino, tu che spingi la tua ‘Edizioni Cofine’ ben oltre i normali ‘confini’ editoriali…come fai a dire che nel 1971 Matteo Salvatore si accontentò di solo duecentomilalire (sottolineo 200.000 ) a Torino per una ben riuscita esibizione in un Festival organizzato dall’Unita ?) che nel ’71, giovane consigliere comunale a Torino, si trovò per la prima volta al cospetto di un cantore della sua terra e fu orgoglioso del successo riservato a quel cantante che si ostinava a servirsi di un dialetto ‘singolare’ e a dir poco ‘particolare’. Nel libro non si precisa che in quella stessa serata Piero Fassino, giovane dirigente comunista, si esibì ( o forse solo accompagnato ? ) con Gipo Farassino ( che continua scoperta la vita !). Ritengo che la moneta denominata euro abbia prodotto tanta confusione da alterare i nostri ricordi in lira ( solo per questo ti giustico Luciani !), la quale lira, per coloro che sanno, era anche un nobile ed antico strumento musicale greco a corde…’pizzicate’ : la ‘pizzica’ altra storia, era ancora in…embrione.
Difficile spiegare cosa fosse per Salvatore la compagna di scena e di vita ‘Adriana Doriani’, la vera vittima di questa storia crudele, anzi di questo disumano ( si può dire punito solo in parte ?) delitto; il lettore deve leggere ( ho almeno 500 affezionati amici lettori, tutti ‘imbranati’ come me, che non sanno ‘condividere’…) il libro e poi ognuno si faccia una propria idea, anche se le sei donne, da me interpellate, non hanno dimostrato pietà per l’uomo Matteo. La storia nota è che 26 il agosto 1973 (ironia della sorte Salvatore è morto il 27 agosto di 32 anni dopo ) viene trovato il corpo senza vita della signora Adriana, nella vasca da bagno di un albergo di San Marino in cui gli artisti avevano pernottato : il cantante aveva ucciso la compagna in maniera brutale per un presunto tradimento da lei confessato per lettera (Una frase cinica ma verosimile di WILDE è illuminante al riguardo :« La fedeltà in amore è soltanto questione di fisiologia, non ha nulla a che fare con la volontà . I giovani vogliono essere fedeli e non lo sono; i vecchi vogliono essere infedeli e non…possono). La signora Adriana credeva di essere stata fortunata nell’incontrare un uomo e un artista speciale, in realtà non sempre la dea bendata gratifica la gente corretta, perbene, educata e per giunta non rende migliori - la statistica è precisa al riguardo - coloro che ha gratificato. Adriana Fascetti, in arte Doriana, meriterebbe un libro che dica, senza mezzi termini, che senza di lei Salvatore da Apricena non sarebbe uscito da certi limitati spazi.
Lopez riporta una testimonianza dell’onorevole Michele Galante, dirigente all’epoca ( 1976 ?) del PCI, che a Foggia visse da protagonista l’incontro tra Enrico Berlinguer e Matteo Salvatore. Il ristorante dell’Hotel Sarti fu il luogo dove (casualmente?) avvenne l’incontro e il cantastorie si esibì per il segretario. Vi sono dubbi sulle date e Lopez, da perfetto investigatore-reporter, afferma che forse siamo nei primi anni ’80, perchè nel 1976 Salvatore era in carcere.
Io conoscendo la precisione matematica di Galante e la sua passione per la storia, non disgiunta da una certa mia pratica personale in quel periodo dei Tribunali di Sorveglianza, reputo che il cantastorie potrebbe aver usufruito di una licenza ( premio ?)per visitare parenti in Capitanata.
Galante, non essendo iuventino l’ex sindaco di San Marco in Lamis vede crescere in maniera ‘esponenziale’ la mia simpatia per lui, non dubito sia in grado, documenti alla mano, di ricostruire questo episodio in maniera veritiera in modo che Lopez nelle prossime edizioni possa dipanare qualche perplessità e mettere insieme dati e date certe.
Beppe riporta, a proposito della lingua adoperata da Salvatore nelle sue canzoni, una riflessione del professore Pietro Sisto che afferma ….’il linguaggio adoperato è una sorta di gergo in cui il dialetto pugliese si confonde con la lingua napoletana….qualcosa di nuovo e originale’.
Pensare che Matteo Salvatore potesse diventare famoso come Modugno è utopia e quelli che oggi pontificano sulla sua grandezza planetaria sono gli stessi che, il cantastorie in vita, nulla hanno fatto per ‘consacrarlo’; senza Arbore, gli stessi Carosone e Roberto Murolo, avrebbero affrontato una vecchiaia artistica da dimenticati; vi è qualcuno che oggi aiuta la bravissima Giovanna Marini ( certo nota ma non urbi et orbi) ad essere celebrata in vita e non piuttosto fra mezzo secolo? Per Moni Ovadia Salvatore «…è uno dei maggiori bardi della canzone di tutti i tempi: può stare alla pari con Leonard Cohen, Bob Dylan, Jacques Brel. E’ un autentico gigante. E’ colui che ha cantato nel modo più assoluto la condizione degli umili, la fame, la miseria, lo sfruttamento».
Il libro di Lopez è avvincente come un romanzo che pagina dopo pagina ti svela i retroscena di una storia già popolare,ma che regala continuamente nuove rivelazioni; seducente come una donna che ti vuol far capitolare con le armi della femminilità , in un gioco di vedo non vedo, ci sto non ci sto, vediamo come va a finire; è completo di tutti i protagonisti che hanno contributo ad edificare un castello di vita vissuta in una altalena su cui siamo saliti e scesi tutti ( per Voltaire « La storia non è che un elenco di delitti e disgrazie»), ma si nota la mancanza di testimonianze dirette della famiglia di Salvatore: moglie, figli e nipoti.
Penso che la testimonianza più rispondente alla realtà passata, presente e futura sia quella de “Il Manifesto” :« Chiunque lo abbia amato, non può non associare all’immagine della sua scomparsa quella di un’antica biblioteca che se ne va, divorata dalle fiamme».
In quelle fiamme io vedo spuntare Matteo Salvatore che disperatamente, accompagnato dalla sua chitarra, invoca il perdono della famiglia e della sua Adriana «Va’ lu bene mio/ curr’ a mamma toia/ Tu mo si l’ammore/ bella mia/ Io te vulev’ bene/ e te ne voje ancora/…».
«Perdonare e dimenticare vuol dire gettare dalla finestra una preziosa esperienza già fatta» (Schopenhauer).
Beppe carissimo: Al mondo non vi sarà mai un ultimo uomo, come non vi sarà mai un ultimo cantastorie; ci sarà sempre qualcuno che faccia ‘Toc, toc’ al portone della vita.