Il mare? Non è una discarica ma una risorsa da proteggere e non saccheggiare

di VITTORIO POLITO - I dati ISTAT ci informano che l’80% del pesce consumato sulle nostre tavole viene dall’estero. Nei nostri mari si pescano ogni anno 180 mila tonnellate di pesce, mentre le importazioni ammontano a un milione di tonnellate (compresi prodotti congelati, essiccati), di cui il 40% in arrivo da Paesi extra Unione Europea.

Già nel lontanissimo 37 a.C. Quinto Orazio Flacco descriveva Bari “pescosa” e Armando Perotti nel suo libro del 1907 “Bari Ignota”, nel capitolo “Piscosi mœnia Bari” scriveva che «Se Bari non merita più il nome di ‘pescosa’, la colpa non è dei pesci né sua; è dei governi. Mai come in questo caso calza l’adagio: Piove? Governo ladro! La diminuzione reale, continua, allarmante, della pesca, non solamente nel nostro mare, ma in tutti i mari d’Italia, da Genova a Gaeta, da Livorno a Taranto, da Messina a Venezia, è una delle tante disgrazie che il bel paese sconta per merito di chi la regge. L’indifferenza e l’ignoranza di costoro tollera che esista ancora il concetto primitivo, preistorico, che il mare sia la cosa di tutti, nella quale ognuno può, dove, come, quando crede, raccogliere. Ma appunto perché è la cosa di tutti, essa non è di alcuno; e l’individuo non ha il diritto, dove lo ha la collettività».

Da oltre 30 anni è in vigore una disposizione dell’Unione Europea che disciplina per qualche tempo, in verità brevissimo, il fermo biologico della pesca finalizzato a favorire la riproduzione naturale ed a tutelare il patrimonio ittico del mare. Il fermo biologico varia da Regione a Regione per rispettare le tempistiche di riproduzione dei pesci.

La realtà è una sola, scrive ancora Perotti: «Il mare non rende più, perché lo abbiamo saccheggiato con la più fatale delle imprevidenze, quella di credere che la sua ricchezza non avesse a finir mai. Per prodigiosa che sia la fecondità degli abitanti delle acque, noi abbiamo trovato il mezzo di renderla inefficiente. Le sarde, per esempio, principalissima fra le pesche italiane, e pugliesi, non vengono nient’affatto dal Canale di Suez o dallo stretto di Gibilterra; ma, a primavera, quando la dea madre le muove, ascendono dalle valli abissali, che si aprono a poche miglia dalla nostra costa, e affiorano in banchi innumerevoli, dirigendosi verso terra».

In conclusione va detto che anche per il mare vi sono delle regole da rispettare, innanzitutto buon senso e accortezza a non danneggiarlo ulteriormente con rifiuti, scarichi industriali, liquami, urbanizzazione selvaggia, strutture turistiche invasive, materie plastiche, pesca di frodo, ecc., considerando che il mare non è una discarica e, soprattutto, non è una risorsa da saccheggiare, ma da proteggere e conservare per le generazioni future.
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