di VITTORIO POLITO - Guido D’Arezzo (992 circa-1050), teorico musicale, affermava che «Non fa meraviglia che l’udito prenda diletto da suoni diversi, dal momento che la vista si compiace della varietà dei colori, che l’olfatto gode della varietà degli odori, che la lingua prende piacere dal variare dei sapori. In tal modo, infatti, attraverso la finestra del corpo, la dolcezza delle sensazioni piacevoli mirabilmente penetra fin nell’intimo del cuore».
Per Daisaku Ikeda religioso giapponese, invece, la musica «È linguaggio universale; essa trascende tutte le barriere della cultura e delle ideologie. La musica è risonanza tra due cuori». Ne deriva che il concerto è un trattenimento dedicato all'audizione di musica strumentale, vocale-strumentale, sinfonica o da camera, che attraverso melodia, ritmo e/o voce, deliziano il nostro udito. In sostanza la musica è un linguaggio ricco e mai uguale a se stesso che si evolve continuamente, un modo di esprimere pensieri ed emozioni, come la scrittura, la pittura, la poesia o la scultura.
In Italia, dopo un lungo periodo di decadenza, il concerto assunse una notevole importanza nell’Ottocento diffondendosi nel 20° secolo anche grazie agli enti radiofonici e televisivi, mentre a Bari l’amore perla musica è stato sempre un sentimento radicato nell’anima del popolo.
Vito Antonio Melchiorre (1922-2010), noto storico barese, riporta nel suo libro “Storie di Bari” (Adda Editore), l’ammontare delle spese sostenute nell’anno 1790 per l’esecuzione di concerti.
Non si conoscono i brani eseguiti, ma si conosce la composizione dell’orchestra, nella quale erano presenti 4 violini, due trombe e un organo che accompagnavano un soprano, un tenore, un basso e un quarto cantante; completava il gruppo un “tiramantici”, addetto al funzionamento dell’organo (un tempo gli organi non erano elettrici). Il nome dei violinisti? Rella da Palo, Laricchiuta e Tommaso di Bari ed un altro chiamato “figlio di Ciccillo”. I suonatori di tromba erano baresi, come pure l’organista che era quello della chiesa. Il soprano era di Polignano, il tenore e il basso di Giovinazzo e, il quarto, senza qualifica, era un certo Pizitelli di Bari.
Al soprano, meglio retribuito, toccarono ducati 4,50, al tenore e al basso 2,80, a Pizitelli 1 ducato e 20 grana, ai violini 1 ducato e 60 grani cadauno, il “figlio di Ciccillo” percepì 30 grana, i suonatori di tromba furono compensati con 1 ducato e 20 grana, l’organista con 50 grana e al povero “tiramantici” solo 10 grana.
Poiché il concerto si tenne di sera, ci fu un gran consumo di candele, costate 43 grana. Mentre agli artisti venuti da fuori Bari, furono offerti alloggio, cena e colazione del mattino.
Ultima curiosità: poiché gli artisti giunsero a Bari a dorso di cavalli, accompagnati da due “pedoni”, si dovette provvedere anche per questi al vitto e, per i cavalli, 5 “stoppelli” d’orzo (antica unità di misura).