BARI - Il presidente dell Regione Puglia Michele Emiliano ha affidato ad un post su Facebook il suo messaggio in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, cogliendo anche l’occasione per diffondere l’elenco dei centri antiviolenza presenti in Puglia e il numero verde nazionale 1522.
“Fidanzati, mariti, ex, figli, colleghi, hanno ammazzato oltre 90 donne in Italia nel 2019. Non ci sono parole per commentare questa barbarie che ha delle radici culturali profonde, che dobbiamo estirpare. Si chiama violenza di genere e dobbiamo costruire sempre più, oltre alla difesa, politiche che siano azioni quotidiane nella vita di tutti i cittadini pugliesi, dei bambini e delle bambine nelle scuole, perché la violenza non può essere scambiata per amore.
In Puglia abbiamo approvato un Piano integrato che ha raddoppiato i fondi regionali, portandoli a quasi 11 milioni, rafforzando la rete dei centri antiviolenza in ogni provincia, e siamo l’unica regione che dà il reddito di dignità alle donne vittime di violenza. Il Pronto soccorso del Policlinico di Bari è dotato di un apposito presidio di accoglienza caratterizzato dal codice rosa.
La Puglia ha 28 centri antiviolenza, 65 sportelli di ascolto dei centri antiviolenza, 10 case rifugio ad indirizzo protetto e 7 case di seconda accoglienza per complessivi 120 posti letto. Un sistema che da supporto e accoglie.
Dai dati raccolti dall’Osservatorio regionale, dal 2015 al 2018, emerge che sono state più di 6.300 le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza, con un aumento di più di 200 donne nel 2018.
Bisogna rompere la catena delle violenze, psicologiche prima che fisiche, che cominciano con l’isolamento, e denunciare chiamando innanzitutto il numero verde nazionale 1522 al quale sono collegati tutti i centri antiviolenza.
Ha ragione Michela Murgia: tutto ciò si chiama femminicidio e ci riguarda tutti. Si chiama “femminicidio” perché non indica il sesso della vittima, ma indica il motivo per cui la donna è stata uccisa. Perché parliamo della morte delle donne per mano maschile, dentro a rapporti fondati sullo squilibrio di potere tra i generi.
Serve educare i giovani al rifiuto, alla sconfitta che fa parte dell’umano, alla perdita vissuta con responsabilità, in modo che l’unica via di risoluzione al dolore non sia più la distruzione di quello che ci fa soffrire, e che non ci appartiene, ma il rispetto, una cultura positiva della relazione”.
“Fidanzati, mariti, ex, figli, colleghi, hanno ammazzato oltre 90 donne in Italia nel 2019. Non ci sono parole per commentare questa barbarie che ha delle radici culturali profonde, che dobbiamo estirpare. Si chiama violenza di genere e dobbiamo costruire sempre più, oltre alla difesa, politiche che siano azioni quotidiane nella vita di tutti i cittadini pugliesi, dei bambini e delle bambine nelle scuole, perché la violenza non può essere scambiata per amore.
In Puglia abbiamo approvato un Piano integrato che ha raddoppiato i fondi regionali, portandoli a quasi 11 milioni, rafforzando la rete dei centri antiviolenza in ogni provincia, e siamo l’unica regione che dà il reddito di dignità alle donne vittime di violenza. Il Pronto soccorso del Policlinico di Bari è dotato di un apposito presidio di accoglienza caratterizzato dal codice rosa.
La Puglia ha 28 centri antiviolenza, 65 sportelli di ascolto dei centri antiviolenza, 10 case rifugio ad indirizzo protetto e 7 case di seconda accoglienza per complessivi 120 posti letto. Un sistema che da supporto e accoglie.
Dai dati raccolti dall’Osservatorio regionale, dal 2015 al 2018, emerge che sono state più di 6.300 le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza, con un aumento di più di 200 donne nel 2018.
Bisogna rompere la catena delle violenze, psicologiche prima che fisiche, che cominciano con l’isolamento, e denunciare chiamando innanzitutto il numero verde nazionale 1522 al quale sono collegati tutti i centri antiviolenza.
Ha ragione Michela Murgia: tutto ciò si chiama femminicidio e ci riguarda tutti. Si chiama “femminicidio” perché non indica il sesso della vittima, ma indica il motivo per cui la donna è stata uccisa. Perché parliamo della morte delle donne per mano maschile, dentro a rapporti fondati sullo squilibrio di potere tra i generi.
Serve educare i giovani al rifiuto, alla sconfitta che fa parte dell’umano, alla perdita vissuta con responsabilità, in modo che l’unica via di risoluzione al dolore non sia più la distruzione di quello che ci fa soffrire, e che non ci appartiene, ma il rispetto, una cultura positiva della relazione”.
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