di FREDERIC PASCALI - Il tempo della Grande Storia si misura spesso attraverso la vita di coloro che l’attraversano senza farsi troppo notare o, semplicemente, limitandosi a “dipingere case”. Come per esempio Frank Sheeran, l’Irishman protagonista delle circa 3 ore e mezza dell’ultimo lavoro di Martin Scorsese che dirige da par suo un film evento sui meandri più oscuri e reconditi dell’America della seconda metà del Novecento. Lo spunto è fornito dall’adattamento del romanzo non-fiction “I heard your Paint Houses” pubblicato nel 2004 da Charles Brandt con l’intento di svelare il segreto della fine di Jimmy Hoffa, il potente capo del Sindacato degli autotrasportatori che prima della sua scomparsa, nel luglio del 1975, cercava di tornare al vertice della sua organizzazione.
La trama prende avvio dall’insolito incontro tra Sheeran e Russell “McGee” Bufalino, indiscusso boss mafioso di Philadelphia, per poi trovare il suo punto di svolta definitivo nell’approccio tra Sheeran e Hoffa con il primo che diventa guardia del corpo, amico e confidente del secondo. I rapporti tra i tre uomini, narrati dallo stesso Sheeran, attraversano la storia del Paese e dei suoi cambiamenti fino a dare una loro personale e tragica ricostruzione dei fatti.
Scorsese dirige una pellicola ricca di generi con gli intrecci biografici impegnati a fare da collante tra i drammi personali e le contaminazioni legate all’evolversi della vicenda criminale.
La sceneggiatura, di Steven Zaillian, ne resta piacevolmente in ostaggio con i tre formidabili protagonisti principali, Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci, indissolubilmente legati a un palcoscenico il cui fondale muta costantemente riuscendo a eludere il sovraccarico di CGI (Computer Generated Imagery) che per tutto il racconto, ineluttabilmente, modella il volto degli attori.
Al di là di tutte le strutture narrative, della macchina da presa usata magistralmente, con tratti di piani sequenza hitchcokiani, e delle polemiche per il ruolo di contorno delle presenze femminili, poco loquace ma molto brava Anna Paquin in "Peggy Sheeran”, “The Irishman” è fondamentalmente un lavoro on the road la cui meta principale è la messa in evidenza di un punto di vista della condizione umana e di tutto quello che ne concerne. Non stanca e non delude, affascina e coinvolge, d’autore la fotografia del messicano Rodrigo Prieto, ma nel suo anelito di perfezione non incide compiutamente come avrebbe dovuto e potuto.
La trama prende avvio dall’insolito incontro tra Sheeran e Russell “McGee” Bufalino, indiscusso boss mafioso di Philadelphia, per poi trovare il suo punto di svolta definitivo nell’approccio tra Sheeran e Hoffa con il primo che diventa guardia del corpo, amico e confidente del secondo. I rapporti tra i tre uomini, narrati dallo stesso Sheeran, attraversano la storia del Paese e dei suoi cambiamenti fino a dare una loro personale e tragica ricostruzione dei fatti.
Scorsese dirige una pellicola ricca di generi con gli intrecci biografici impegnati a fare da collante tra i drammi personali e le contaminazioni legate all’evolversi della vicenda criminale.
La sceneggiatura, di Steven Zaillian, ne resta piacevolmente in ostaggio con i tre formidabili protagonisti principali, Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci, indissolubilmente legati a un palcoscenico il cui fondale muta costantemente riuscendo a eludere il sovraccarico di CGI (Computer Generated Imagery) che per tutto il racconto, ineluttabilmente, modella il volto degli attori.
Al di là di tutte le strutture narrative, della macchina da presa usata magistralmente, con tratti di piani sequenza hitchcokiani, e delle polemiche per il ruolo di contorno delle presenze femminili, poco loquace ma molto brava Anna Paquin in "Peggy Sheeran”, “The Irishman” è fondamentalmente un lavoro on the road la cui meta principale è la messa in evidenza di un punto di vista della condizione umana e di tutto quello che ne concerne. Non stanca e non delude, affascina e coinvolge, d’autore la fotografia del messicano Rodrigo Prieto, ma nel suo anelito di perfezione non incide compiutamente come avrebbe dovuto e potuto.