di WALTER CANNELLONI - Roma, 1945. Pasquale e Giuseppe sono due adolescenti della Capitale, “ragazzi di guerra”, amici per la pelle e soci in affari. Per sbarcare il lunario, fanno gli sciuscià (dalla parola inglese “shoe-shine”, i lustrascarpe dei soldati americani sbarcati in Italia per liberarci dal giogo nazi-fascista).
Pasquale, il più grandicello dei due, è orfano. Giuseppe, sempre con una mantellina sulle spalle, ha famiglia. La madre ha una valanga di figli e manda periodicamente a Giuseppe una sorella per chiedergli dei soldi.
Pasquale e Giuseppe hanno un grande, onirico desiderio: comprarsi un cavallo bianco. I due ci riescono grazie a un “lavoretto” pagato bene, quello di consegnare uno stock di coperte a una veggente.
In groppa al loro cavallo bianco, subito acquistato, fanno la loro teatrale comparsa di fronte agli altri sciuscià, che li osservano ammirati. Ma la gioia dura poco: la veggente, che è stata derubata delle coperte, li accusa ingiustamente e li fa arrestare.
Nel processo a loro carico, durante il quale Pasquale e Giuseppe non capiscono un accidenti o quasi di quel che si dice in aula, vengono condannati e rinchiusi nel carcere giovanile di San Michele.
Il carcere, invece di recuperarli, li guasta definitivamente. Per punizione, vengono messi in celle separate e, mentre Pasquale trova un motivo positivo di impegno occupandosi di un ragazzino spaurito e malaticcio, Giuseppe si fa traviare da dei piccoli delinquenti reclusi.
Quando scoppia un incendio a San Michele, e i ragazzi fuggono dal carcere in una fuga generale, Giuseppe porta uno dei suoi nuovi disgraziati compari nella stalla dove, lì vicino, è custodito il cavallo bianco.
Pasquale, sentendosi tradito dall'amico fraterno, lo affronta e lo colpisce inavvertitamente a morte: Caino, per sbaglio, ha ucciso il fratello Abele. Pasquale, disperato invoca invano il nome dell'amico, mentre il cavallo bianco si allontana nella notte.
Il film, nel 1946, ebbe un clamoroso insuccesso ai botteghini nostrani: il regista De Sica fu addirittura accusato di essere un denigratore del buon nome dell'Italia, e invitato a lavare i panni sporchi in famiglia, mentre il produttore, l'italoamericano Paolo William Tamburella, andò quasi in rovina.
De Sica descrisse infatti con estrema durezza una pagina amara della storia italiana: i comportamenti dei bambini e dei ragazzi della guerra, la loro sfiducia verso gli adulti, la loro capacità di sopravvivere, perfino i loro sogni più estrosi come quello di acquistare un cavallo bianco, furono qui interpretati, capiti e rappresentati con uno stile documentaristico così autenticamente crudele da risultare fastidioso a parecchi spettatori.
La storia dell'amicizia tra Pasquale e Giuseppe è narrata con straordinaria intensità e graduata su un telaio psicologico finissimo: le scene della prigione, girate in una grandiosa scenografia naturale alla Piranesi, risultano indimenticabili agli occhi degli spettatori.
Il film, nonostante l'insuccesso commerciale in Italia, ebbe una popolarità immensa, e fuori dai confini nazionali fece entrare nel linguaggio comune il termine “sciuscià”, gridato dai ragazzini che proponevano ai passanti americani di lustrare loro le scarpe.
“Sciuscià” rimane tra le prove più solide del neorealismo italiano, e il suo successo commerciale in America (il produttore Ilya Lopert, che distribuì il film negli Stati Uniti, incassò un milione di dollari) permise a De Sica e Zavattini di continuare a fare un quadro dell'Italia del dopoguerra con “Ladri di biciclette” e “Umberto D”.
De Sica ebbe a dire, dei bambini e dei ragazzi immortalati in quest'opera: ”Li ho seguiti qualche volta per sentire cosa dicessero e che progetti avevano per il loro avvenire. Ma poco ho potuto sentire, perchè i ragazzi, oggi, parlano sottovoce. A differenza dei grandi, i piccoli si vergognano. Scorgo nei loro occhi una sorta di pudore che li irrita e li costringe a parlar d'altro o a fuggire come i miei due ragazzi”.
Gli spontanei e bravissimi Rinaldo Smordoni e Franco Interlenghi diedero una memorabile prova d'attore, e le loro magistrali interpretazioni di Giuseppe e Pasquale sono entrate per sempre nell'immaginario collettivo del cinema italiano di tutti i tempi.
REGIA: VITTORIO DE SICA
SCENEGGIATURA: VITTORIO DE SICA, CESARE ZAVATTINI, SERGIO AMIDEI,
ADOLFO FRANCI, CESARE GIULIO VIOLA
FOTOGRAFIA: ANCHISE BRIZZI
MUSICA: ALESSANDRO CICOGNINI
INTERPRETI: RINALDO SMORDONI
FRANCO INTERLENGHI
ANGELO D'AMICO
EMILIO CIGOLI
PRODUZIONE: ITALIA, 1946.
Pasquale, il più grandicello dei due, è orfano. Giuseppe, sempre con una mantellina sulle spalle, ha famiglia. La madre ha una valanga di figli e manda periodicamente a Giuseppe una sorella per chiedergli dei soldi.
Pasquale e Giuseppe hanno un grande, onirico desiderio: comprarsi un cavallo bianco. I due ci riescono grazie a un “lavoretto” pagato bene, quello di consegnare uno stock di coperte a una veggente.
In groppa al loro cavallo bianco, subito acquistato, fanno la loro teatrale comparsa di fronte agli altri sciuscià, che li osservano ammirati. Ma la gioia dura poco: la veggente, che è stata derubata delle coperte, li accusa ingiustamente e li fa arrestare.
Nel processo a loro carico, durante il quale Pasquale e Giuseppe non capiscono un accidenti o quasi di quel che si dice in aula, vengono condannati e rinchiusi nel carcere giovanile di San Michele.
Il carcere, invece di recuperarli, li guasta definitivamente. Per punizione, vengono messi in celle separate e, mentre Pasquale trova un motivo positivo di impegno occupandosi di un ragazzino spaurito e malaticcio, Giuseppe si fa traviare da dei piccoli delinquenti reclusi.
Quando scoppia un incendio a San Michele, e i ragazzi fuggono dal carcere in una fuga generale, Giuseppe porta uno dei suoi nuovi disgraziati compari nella stalla dove, lì vicino, è custodito il cavallo bianco.
Pasquale, sentendosi tradito dall'amico fraterno, lo affronta e lo colpisce inavvertitamente a morte: Caino, per sbaglio, ha ucciso il fratello Abele. Pasquale, disperato invoca invano il nome dell'amico, mentre il cavallo bianco si allontana nella notte.
Il film, nel 1946, ebbe un clamoroso insuccesso ai botteghini nostrani: il regista De Sica fu addirittura accusato di essere un denigratore del buon nome dell'Italia, e invitato a lavare i panni sporchi in famiglia, mentre il produttore, l'italoamericano Paolo William Tamburella, andò quasi in rovina.
De Sica descrisse infatti con estrema durezza una pagina amara della storia italiana: i comportamenti dei bambini e dei ragazzi della guerra, la loro sfiducia verso gli adulti, la loro capacità di sopravvivere, perfino i loro sogni più estrosi come quello di acquistare un cavallo bianco, furono qui interpretati, capiti e rappresentati con uno stile documentaristico così autenticamente crudele da risultare fastidioso a parecchi spettatori.
La storia dell'amicizia tra Pasquale e Giuseppe è narrata con straordinaria intensità e graduata su un telaio psicologico finissimo: le scene della prigione, girate in una grandiosa scenografia naturale alla Piranesi, risultano indimenticabili agli occhi degli spettatori.
Il film, nonostante l'insuccesso commerciale in Italia, ebbe una popolarità immensa, e fuori dai confini nazionali fece entrare nel linguaggio comune il termine “sciuscià”, gridato dai ragazzini che proponevano ai passanti americani di lustrare loro le scarpe.
“Sciuscià” rimane tra le prove più solide del neorealismo italiano, e il suo successo commerciale in America (il produttore Ilya Lopert, che distribuì il film negli Stati Uniti, incassò un milione di dollari) permise a De Sica e Zavattini di continuare a fare un quadro dell'Italia del dopoguerra con “Ladri di biciclette” e “Umberto D”.
De Sica ebbe a dire, dei bambini e dei ragazzi immortalati in quest'opera: ”Li ho seguiti qualche volta per sentire cosa dicessero e che progetti avevano per il loro avvenire. Ma poco ho potuto sentire, perchè i ragazzi, oggi, parlano sottovoce. A differenza dei grandi, i piccoli si vergognano. Scorgo nei loro occhi una sorta di pudore che li irrita e li costringe a parlar d'altro o a fuggire come i miei due ragazzi”.
Gli spontanei e bravissimi Rinaldo Smordoni e Franco Interlenghi diedero una memorabile prova d'attore, e le loro magistrali interpretazioni di Giuseppe e Pasquale sono entrate per sempre nell'immaginario collettivo del cinema italiano di tutti i tempi.
REGIA: VITTORIO DE SICA
SCENEGGIATURA: VITTORIO DE SICA, CESARE ZAVATTINI, SERGIO AMIDEI,
ADOLFO FRANCI, CESARE GIULIO VIOLA
FOTOGRAFIA: ANCHISE BRIZZI
MUSICA: ALESSANDRO CICOGNINI
INTERPRETI: RINALDO SMORDONI
FRANCO INTERLENGHI
ANGELO D'AMICO
EMILIO CIGOLI
PRODUZIONE: ITALIA, 1946.