di VITTORIO POLITO – Secondo l’evangelista Luca, Gesù nacque in una stalla o in luogo di ricovero per animali e il termine “Presepio” deriva etimologicamente dal verbo latino “praesepire” (recingere con siepe), assumendo poi il significato odierno di mangiatoia o greppia.
Il Presepe, com’è noto, è apparso per la prima volta a Greccio nella notte del Natale 1223, ad opera di San Francesco d’Assisi, in uno scenario naturale e con personaggi reali, tutti coinvolti nella rievocazione del sacro evento.
Il 29 novembre di quell’anno, papa Onorio III, con la bolla “Solet annuere”, approvò definitivamente la Regola dei frati Minori. Nelle settimane successive Francesco d’Assisi si avviò verso l’eremo di Greccio dove espresse il suo desiderio di celebrare in quel luogo il Natale.
Nella notte di Natale a Greccio non c’erano né statue e neppure raffigurazioni, ma unicamente una celebrazione eucaristica sopra una mangiatoia, tra il bue e l’asinello. Solo più tardi tale avvenimento ispirò la rappresentazione della Natività mediante immagini, ossia il presepio in senso moderno.
A Bari, attraverso l’archivio della Basilica di San Nicola, che rappresenta una fonte inesauribile di informazioni e documentazioni relative a storia, tradizioni e folklore baresi, dal momento che da nove secoli registra ogni avvenimento cittadino e presso il quale vi sono informazioni di ogni tipo, sono presenti anche quelle sulla usanza del presepio. A sostenere quanto sopra è Vito Antonio Melchiorre (1922-2010) nel suo capitolo «Presepi e riti natalizi baresi nella Basilica di San Nicola» del volume “Antico Natale” (Edipuglia), che insieme a Giorgio Otranto, Nino Lavermicocca (1942-2014), Vito Maurogiovanni (1924-2009) e Anna Maria Tripputi dissertano sul fascino discreto del Presepe.
Melchiorre ricorda che fu Papa Liberio (352-366) a iniziare in Italia la consuetudine del presepio dedicando alla Natività l’attuale Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma. La simpatica usanza incontrò largo consenso e si divulgò ovunque.
A Bari la più antica testimonianza di un presepio risale al 1487, ubicato nella Basilica di San Nicola e precisamente nella cripta ove è oggi l’altare dei Santi Cirillo e Metodio.
Lo stesso archivio nicolaiano, scrive Melchiorre, riporta anche i riti natalizi che si svolgevano in Basilica. Nella Notte Santa i canonici facevano riscaldare l’ambiente con grandi bracieri utilizzando grandi quantitativi di carbone. Altra tradizione era quella di far accompagnare le funzioni con fragorosi spari di mortaretti e di far eseguire particolari musiche da parte di rinomati professori d’orchestra e di cantanti famosi nelle varie ricorrenze (traslazione e morte di San Nicola, Settimana Santa, Corpus Domini, Sant’Antonio Abate, Natale, ecc.).
Nella ricorrenza del Natale, molti atti di solidarietà e di carità cristiana venivano compiuti dagli amministratori dell’Ospizio a favore del gran numero di pellegrini che affluivano a Bari da ogni parte d’Europa per venerare la tomba di San Nicola. I documenti dell’Ospizio dimostrano con dovizia di particolari quali vivande venivano servite ai poveri in occasione del pranzo di Natale. In quello del 1751 si legge che ai poveri furono dispensati: 14 caraffe di vino vecchio e sei di vino nuovo, pane di semola, salsiccia, fegato, carne di agnello per antipasto, minestra di verdura, bollito di carne, carne arrosto, maccheroni, uova (usate come ingredienti) e dolce. Agli stessi poveri furono donati anche dodici carlini d’argento.
Vent’anni dopo, i buoni canonici di San Nicola, forse a causa della diminuzione degli introiti, il pranzo per i poveri fu così composto: pane di semola, una quartara di vino, fegato di maiale, cervellata, trippa, minestra verde, carne di vitello bollita, filetto di maiale arrosto, maccheroni, carne di vitello a ragù, finocchi e cardoni, uova per accompagnare la trippa.
L’usanza del pranzo natalizio fu mantenuta per tutta la durata del Settecento e per diversi decenni dell’Ottocento, ma il pasto col passare degli anni diventò sempre più magro, così come dimostrano le scritture contabili del tempo.
Nel volume citato, Rosa Maria Manzionna nel suo capitolo “Leggere il presepio” ci dà una mano a capire il presepio. Il tema stesso è in rapporto di connessione con la rappresentazione dei Misteri medievali, mentre il paesaggio rinvia alla tradizione dell’opera lirica tra fine Ottocento e primo Novecento con i suoi anfratti, dirupi, greggi e pastori che fanno da sfondo alle scene della Natività , dell’Annuncio, della Taverna con intorno una serie di figure come l’acquaiolo, l’arrotino, il fabbro, lo scrivano e tutti quei personaggi che si collegano all’iconografia secentesca che trovano riscontri nella drammatica “popolare” e popolareggiante fino a risalire al teatro delle maschere, alla commedia dell’arte. Vi sono infatti presepi da chiesa, da museo, delle nostre nonne, conservati in polverose campane di vetro o in riposti locali contadini. I più belli sono forse quelli settecenteschi con le figure policrome, vivaci e gesticolanti.
Insomma, non c’è Natale senza presepio piccolo o grande che sia con poche o numerose figure. «Un Natale per ogni uomo – scriveva il giornalista Michele Campione (1928-2003) - ognuno con il suo Natale a tessere la trama dei giorni, degli anni, lieti, tristi, drammatici, felici come l’estatico incantamento dei pastori nella Notte Santa di Betlemme sotto la gran luce della cometa».
Il Presepe, com’è noto, è apparso per la prima volta a Greccio nella notte del Natale 1223, ad opera di San Francesco d’Assisi, in uno scenario naturale e con personaggi reali, tutti coinvolti nella rievocazione del sacro evento.
Il 29 novembre di quell’anno, papa Onorio III, con la bolla “Solet annuere”, approvò definitivamente la Regola dei frati Minori. Nelle settimane successive Francesco d’Assisi si avviò verso l’eremo di Greccio dove espresse il suo desiderio di celebrare in quel luogo il Natale.
Nella notte di Natale a Greccio non c’erano né statue e neppure raffigurazioni, ma unicamente una celebrazione eucaristica sopra una mangiatoia, tra il bue e l’asinello. Solo più tardi tale avvenimento ispirò la rappresentazione della Natività mediante immagini, ossia il presepio in senso moderno.
A Bari, attraverso l’archivio della Basilica di San Nicola, che rappresenta una fonte inesauribile di informazioni e documentazioni relative a storia, tradizioni e folklore baresi, dal momento che da nove secoli registra ogni avvenimento cittadino e presso il quale vi sono informazioni di ogni tipo, sono presenti anche quelle sulla usanza del presepio. A sostenere quanto sopra è Vito Antonio Melchiorre (1922-2010) nel suo capitolo «Presepi e riti natalizi baresi nella Basilica di San Nicola» del volume “Antico Natale” (Edipuglia), che insieme a Giorgio Otranto, Nino Lavermicocca (1942-2014), Vito Maurogiovanni (1924-2009) e Anna Maria Tripputi dissertano sul fascino discreto del Presepe.
Melchiorre ricorda che fu Papa Liberio (352-366) a iniziare in Italia la consuetudine del presepio dedicando alla Natività l’attuale Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma. La simpatica usanza incontrò largo consenso e si divulgò ovunque.
A Bari la più antica testimonianza di un presepio risale al 1487, ubicato nella Basilica di San Nicola e precisamente nella cripta ove è oggi l’altare dei Santi Cirillo e Metodio.
Lo stesso archivio nicolaiano, scrive Melchiorre, riporta anche i riti natalizi che si svolgevano in Basilica. Nella Notte Santa i canonici facevano riscaldare l’ambiente con grandi bracieri utilizzando grandi quantitativi di carbone. Altra tradizione era quella di far accompagnare le funzioni con fragorosi spari di mortaretti e di far eseguire particolari musiche da parte di rinomati professori d’orchestra e di cantanti famosi nelle varie ricorrenze (traslazione e morte di San Nicola, Settimana Santa, Corpus Domini, Sant’Antonio Abate, Natale, ecc.).
Nella ricorrenza del Natale, molti atti di solidarietà e di carità cristiana venivano compiuti dagli amministratori dell’Ospizio a favore del gran numero di pellegrini che affluivano a Bari da ogni parte d’Europa per venerare la tomba di San Nicola. I documenti dell’Ospizio dimostrano con dovizia di particolari quali vivande venivano servite ai poveri in occasione del pranzo di Natale. In quello del 1751 si legge che ai poveri furono dispensati: 14 caraffe di vino vecchio e sei di vino nuovo, pane di semola, salsiccia, fegato, carne di agnello per antipasto, minestra di verdura, bollito di carne, carne arrosto, maccheroni, uova (usate come ingredienti) e dolce. Agli stessi poveri furono donati anche dodici carlini d’argento.
Vent’anni dopo, i buoni canonici di San Nicola, forse a causa della diminuzione degli introiti, il pranzo per i poveri fu così composto: pane di semola, una quartara di vino, fegato di maiale, cervellata, trippa, minestra verde, carne di vitello bollita, filetto di maiale arrosto, maccheroni, carne di vitello a ragù, finocchi e cardoni, uova per accompagnare la trippa.
L’usanza del pranzo natalizio fu mantenuta per tutta la durata del Settecento e per diversi decenni dell’Ottocento, ma il pasto col passare degli anni diventò sempre più magro, così come dimostrano le scritture contabili del tempo.
Nel volume citato, Rosa Maria Manzionna nel suo capitolo “Leggere il presepio” ci dà una mano a capire il presepio. Il tema stesso è in rapporto di connessione con la rappresentazione dei Misteri medievali, mentre il paesaggio rinvia alla tradizione dell’opera lirica tra fine Ottocento e primo Novecento con i suoi anfratti, dirupi, greggi e pastori che fanno da sfondo alle scene della Natività , dell’Annuncio, della Taverna con intorno una serie di figure come l’acquaiolo, l’arrotino, il fabbro, lo scrivano e tutti quei personaggi che si collegano all’iconografia secentesca che trovano riscontri nella drammatica “popolare” e popolareggiante fino a risalire al teatro delle maschere, alla commedia dell’arte. Vi sono infatti presepi da chiesa, da museo, delle nostre nonne, conservati in polverose campane di vetro o in riposti locali contadini. I più belli sono forse quelli settecenteschi con le figure policrome, vivaci e gesticolanti.
Insomma, non c’è Natale senza presepio piccolo o grande che sia con poche o numerose figure. «Un Natale per ogni uomo – scriveva il giornalista Michele Campione (1928-2003) - ognuno con il suo Natale a tessere la trama dei giorni, degli anni, lieti, tristi, drammatici, felici come l’estatico incantamento dei pastori nella Notte Santa di Betlemme sotto la gran luce della cometa».
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