di VITTORIO POLITO - Scrivere la ‘Vita di San Nicola’ non è impresa facile, ma padre Gerardo Cioffari o.p., storico di San Nicola e della relativa Basilica di Bari, non finisce mai di fare ricerche, e ci parla del primo biografo di San Nicola nel suo “St Nicholas New” n. 134.
Trattasi di Michele (non si sa altro), tranne che della sua dignità monastica di ‘Archimandrita’, autore della prima vita di San Nicola, che dimostra di conoscere le tradizioni di Mira.
Pare che a parlare per primo di Michele Archimandrita sia stato Antonio Beatillo (1570-1642), nel 1620, un erudito barese della Compagnia di Gesù che scrisse la “Vita di San Nicola” di maggior successo in Occidente. Secondo Beatillo, Michele Archimandrita era un santo vissuto nel V secolo, molto devoto a San Nicola, che lo aveva liberato da tante tentazioni e da incombenti pericoli.
Il secondo a parlare di Michele Archimandrita nel 1751, fu l’arcivescovo di Santa Severina di Calabria, tale Niccolò Carmine Falcone (1681-1759), il quale aveva capito che la ‘Vita’ corrente del nostro Santo era composto da due tradizioni diverse. Poi scoprì che la ‘Vita’ riportata dal codice “Vaticano greco 821” non riportava alcuno dei fatti più noti di San Nicola, per cui capì di aver scoperto la ‘Vita’ del secondo Nicola, quello vissuto 200 anni dopo. Secondo Falcone la ‘Vita di San Nicola’ (mai esistito) fu scritta verso l’840 dal patriarca di Costantinopoli, Metodio, su richiesta di un certo Teodoro che rielaborò un suo precedente scritto, richiesto a sua volta da tale Leone.
Fu Gustav Anrich (1867-1930), a smontare il fantasioso castello, pubblicando scientificamente nel 1913 un gran numero di testi greci su San Nicola, tra i quali il “Methodius ad Theodorum”, identificato da Falcone col testo di Michele Archimandrita.
Da qualche anno, ricorda padre Cioffari, si è interessato della questione lo studioso Dirk Krausmüller dell’Università di Belfast, ma nonostante i suoi “interessanti confronti stilistici”, e la conclusione che “non c’è dubbio che i due testi furono scritti dalla stessa persona”, è del tutto arbitraria e deriva da indizi troppo generici. Indizi che si trovano in tutte le opere agiografiche e portano questo studioso a identificare Michele monaco con Michele Archimandrita.
Secondo padre Cioffari, l’errore di Anrich è stato quello di aver datato la “Praxis de stratelatis” al 550 invece che al 350 circa e gli storici odierni di storia dei Goti e della storia della successione dinastica a Costantino e di storia della prefettura romana, concordano con le sue tesi: la “Praxis” è un testo del IV secolo e la utilizzano come fonte storica.
In conclusione: dato che prima del X secolo, c’è una marea di scritti nicolaiani (encomi, canoni, ‘Vite” di Metodio e di Giovanni Diacono napoletano, senza parlare delle prime commistioni con la “Vita Nicolai Sionitae”), è del tutto inconcepibile che di San Nicola si conoscesse solo la “Praxis de stratelatis”. Per cui se Beatillo, scrive padre Cioffari, è esagerato nel fare risalire Michele Archimandrita al V secolo d.C., sono in errore anche tutti coloro che vogliono datare la Vita di San Nicola di Michele Archimandrita a dopo l’VIII secolo.