Senza pedigrèe, dunque, un cane di campagna, eppure il Maggiore lo compra e se lo porta a casa e lui ricambia tale fiducia, anche quando il padrone muore (“trovo il mio posticino infilando il naso nella sua mano che, nonostante la malattia e la morte, sa ancora di oceano e di fosforo…”) e Tassen resta solo con la signora Thorkildsen, che elabora il lutto attaccata alla bottiglia di “acqua di drago”.
Tassen prende in mano la situazione, facendo il filosofo, mettendo bocca nelle faccende della casa e racconta la sua vita quotidiana, le sue scoperte e riflessioni in “I cani buoni non arrivano al Polo Sud”, di Hans-Olav Thyvold, Solferino Editore, Milano 2020, pp. 298, euro 18,00, bella traduzione di Mauro Cazzolla.
Scritto in punta di penna dal giornalista e saggista, conduttore radio e tv norvegese, tenero, struggente, poetico, a tratti commuovente, modulato su una cifra, oltre che filosofica (“come fa un animale a diventare un essere umano?”), antropologica (“La dignità per noi cani è importante, anche se non si direbbe quando ci grattiamo il culo sul tappeto…”) e psicologica, lo scrittore dimostra che tra noi e gli animali c’è un filo continuo, che forse è solo un caso se ci ritroviamo sulla sommità della piramide, almeno oggi, non sappiamo se anche in futuro poichè “Arriva un punto in cui le persone e i cani finiscono col somigliarsi terribilmente…”.
“Agli animali manca solo la parola…”, ripeteva Antonietta, la mamma di chi scrive.
“Puoi andare di qua, puoi andare di là, ma il culetto sempre dietro ti sta”.
Parola di Tassen, il cane che vuole arrivare al Polo Sud (“un viaggio in mezzo al nulla”) per sapere chi ha vinto la “Grande gara di chi pisciò per primo in Antartide”. Procuratevelo subito e lo saprete anche voi…