Antonio Decaro (intervista): "Preoccupato per l'emergenza sanitaria che sta diventando emergenza sociale"
di NICOLA RICCHITELLI – Le immagini che arrivano dai reparti di rianimazione, i numeri che come una condanna si sono divisi tra vittime e contagiati, le bare ordinatamente disposte nelle camere mortuarie e le strade deserte, le serrande abbassate, le distanze di un metro e a far la spesa solo se è necessario con guanti e mascherine.
Gli irresponsabili a prendere il sole in spiaggia, a leggere il giornale seduti sulle panchine dei parchi, la quarantena e quel #iorestoacasa accompagnato da “Andrà tutto bene”, e poi i sindaci a far irruzione in ogni qualsiasi voglia parte delle città a dar battaglia a coloro che incuranti hanno pensato che in fondo non stava succedendo nulla.
Papa Francesco che bacia i piedi del Crocifisso in una piazza San Pietro tristemente deserta, ma anche polemiche e rimbalzi di responsabilità tra Presidenti di regione e Governo, il premier Giuseppe Conte che parla al Paese e quel darsi appuntamento per cantare tutti insieme dai balconi delle nostre case.
Sono solo alcune istantanee di un momento storico chiamato Coronavirus – o COVID-19 che dir si voglia – che ci porteremo dentro per tutta una vita e che molto probabilmente i posteri studieranno sui libri di storia.
Personalmente c’è una scena che farò fatica a rimuovere dalla mia mente e che probabilmente ricorderò quando ai miei figli parlerò di questo momento. Ricorderò le lacrime di un sindaco durante una diretta Facebook mentre percorre le vie della sua città, e allora grazie Ingegnere di quelle lacrime, perché quelle strade erano anche le strade della nostra città, e quelle lacrime sono state anche un po’ le nostre.
Sindaco Decaro, innanzitutto mi permetta di chiederle come sta?
R: «Sto bene, per quanto si possa star bene in questo momento. Sto fisicamente bene, ma sono inevitabilmente preoccupato per l'emergenza sanitaria che sta diventando insieme un'emergenza sociale grave, con migliaia di famiglie, specie nelle grandi città, che non riescono più a soddisfare i bisogni primari, a cominciare dal cibo e dai beni di prima necessità. Una condizione che tocca l'intero Paese, e pesa soprattutto sulle spalle delle persone più fragili».
Quanto pesa in un momento come questo la fascia di Sindaco?
R: «Pesa più che mai. Ho sempre detto che questa fascia rappresenta al contempo un grande onore e una grande responsabilità, e gli ottomila sindaci italiani sono chiamati in questo periodo ad un ruolo particolarmente delicato e doloroso: da un lato lavorare affinché le disposizioni del Governo per il contenimento del contagio vengano rispettate, dall'altro guidare la propria comunità attraverso una crisi che non ha precedenti nella storia recente. Non a caso la metafora più utilizzata è quella della guerra contro un nemico invisibile e silenzioso, il Covid-19, che non solo minaccia la nostra salute e quella dei nostri cari ma ha costretto il nostro Paese ad un lock down che sta avendo conseguenze gravissime sull'economia e sul mondo del lavoro».
Qualche settimana fa hanno fatto scalpore le sue lacrime mentre vedeva la sua Bari spenta e deserta. Quali sono le immagini che si porterà dentro tra qualche tempo di questo momento?
R: «Si è trattato di un momento di debolezza, perché, finito di lavorare in Comune, ero sceso in strada per verificare il rispetto del D.p.c.m. che aveva disposto la chiusura delle attività commerciali ma, una volta raggiunta una delle strade più vissute del quartiere murattiano, peraltro chiusa al traffico e riqualificata quando ancora facevo l'assessore, sono stato sopraffatto dallo sgomento. Vedere via Argiro deserta, le insegne spente, i gazebo chiusi, sentire quel silenzio carico di tensione, è stato un pugno nello stomaco. Di qui le lacrime, che però credo siano state comprese per quello che erano, un momento doloroso e autentico. Siamo sindaci, ma siamo prima di tutto uomini e donne in prima linea per il bene delle proprie comunità, un bene che oggi come non mai sembra essere messo a repentaglio. Quelle immagini resteranno scolpite per sempre dentro di me».
Bari e baresi: quale la Bari che applaude e quale la Bari che qualche giorno fa le ha fatto parlare di sconfitta quando ha deciso di recintare e chiudere parchi e ville?
R: «Bari ha 320mila abitanti, e a fronte di una stragrande maggioranza che, sebbene a fatica, si è e rassegnata a questa dimensione di confino domestico, esiste una minoranza di incoscienti che continuano ad assumere comportamenti rischiosi per sé e per gli altri, quasi le immagini drammatiche che vediamo da settimane, relative ad altre città italiane, fossero un film di fantascienza. Sin dall'inizio dell'emergenza giro per la città per rendermi conto di persona della situazione e per verificare le decine di segnalazioni che arrivano ogni giorno sulla mia pagina fb: il giorno in cui ho deciso di chiudere al pubblico parchi e giardini l'ho fatto perché erano pieni di ragazze e ragazzi che si godevano il sole come in una qualsiasi domenica di bel tempo nella nostra città, e questo non è possibile, visto che abbiamo a che fare con un virus altamente contagioso, e che ciascuno di noi può esserne vettore inconsapevole. Meglio una città con spazi pubblici interdetti, per quanto faccia male, di una città piegata dal contagio».
Sindaco, chiudiamo con un appello: #iorestoacasa perchè?
R: «#iorestoacasa è il mantra che dobbiamo ripetere e ripeterci senza stancarci, perché al momento è l'unica, e sottolineo l'unica, possibilità che abbiamo di arrestare la diffusione del virus. Si tratta di una condizione difficile per tutti, ma in questo momento è la strada da percorrere per poter tornare, progressivamente, alla normalità. Non c'è altra soluzione: ce lo dicono i medici, i virologi e l'esperienza di chi ha vissuto questa emergenza prima di noi».
CONTACTS:
https://www.facebook.com/antdecaro/
https://www.instagram.com/antonio_decaro/
Gli irresponsabili a prendere il sole in spiaggia, a leggere il giornale seduti sulle panchine dei parchi, la quarantena e quel #iorestoacasa accompagnato da “Andrà tutto bene”, e poi i sindaci a far irruzione in ogni qualsiasi voglia parte delle città a dar battaglia a coloro che incuranti hanno pensato che in fondo non stava succedendo nulla.
Papa Francesco che bacia i piedi del Crocifisso in una piazza San Pietro tristemente deserta, ma anche polemiche e rimbalzi di responsabilità tra Presidenti di regione e Governo, il premier Giuseppe Conte che parla al Paese e quel darsi appuntamento per cantare tutti insieme dai balconi delle nostre case.
Sono solo alcune istantanee di un momento storico chiamato Coronavirus – o COVID-19 che dir si voglia – che ci porteremo dentro per tutta una vita e che molto probabilmente i posteri studieranno sui libri di storia.
Personalmente c’è una scena che farò fatica a rimuovere dalla mia mente e che probabilmente ricorderò quando ai miei figli parlerò di questo momento. Ricorderò le lacrime di un sindaco durante una diretta Facebook mentre percorre le vie della sua città, e allora grazie Ingegnere di quelle lacrime, perché quelle strade erano anche le strade della nostra città, e quelle lacrime sono state anche un po’ le nostre.
Sulle pagine di Giornale di Puglia e La Voce Grossa quest’oggi abbiamo il piacere di ospitare la testimonianza del presidente ANCI e sindaco di Bari, Antonio Decaro.
Sindaco Decaro, innanzitutto mi permetta di chiederle come sta?
R: «Sto bene, per quanto si possa star bene in questo momento. Sto fisicamente bene, ma sono inevitabilmente preoccupato per l'emergenza sanitaria che sta diventando insieme un'emergenza sociale grave, con migliaia di famiglie, specie nelle grandi città, che non riescono più a soddisfare i bisogni primari, a cominciare dal cibo e dai beni di prima necessità. Una condizione che tocca l'intero Paese, e pesa soprattutto sulle spalle delle persone più fragili».
Quanto pesa in un momento come questo la fascia di Sindaco?
R: «Pesa più che mai. Ho sempre detto che questa fascia rappresenta al contempo un grande onore e una grande responsabilità, e gli ottomila sindaci italiani sono chiamati in questo periodo ad un ruolo particolarmente delicato e doloroso: da un lato lavorare affinché le disposizioni del Governo per il contenimento del contagio vengano rispettate, dall'altro guidare la propria comunità attraverso una crisi che non ha precedenti nella storia recente. Non a caso la metafora più utilizzata è quella della guerra contro un nemico invisibile e silenzioso, il Covid-19, che non solo minaccia la nostra salute e quella dei nostri cari ma ha costretto il nostro Paese ad un lock down che sta avendo conseguenze gravissime sull'economia e sul mondo del lavoro».
R: «Si è trattato di un momento di debolezza, perché, finito di lavorare in Comune, ero sceso in strada per verificare il rispetto del D.p.c.m. che aveva disposto la chiusura delle attività commerciali ma, una volta raggiunta una delle strade più vissute del quartiere murattiano, peraltro chiusa al traffico e riqualificata quando ancora facevo l'assessore, sono stato sopraffatto dallo sgomento. Vedere via Argiro deserta, le insegne spente, i gazebo chiusi, sentire quel silenzio carico di tensione, è stato un pugno nello stomaco. Di qui le lacrime, che però credo siano state comprese per quello che erano, un momento doloroso e autentico. Siamo sindaci, ma siamo prima di tutto uomini e donne in prima linea per il bene delle proprie comunità, un bene che oggi come non mai sembra essere messo a repentaglio. Quelle immagini resteranno scolpite per sempre dentro di me».
Bari e baresi: quale la Bari che applaude e quale la Bari che qualche giorno fa le ha fatto parlare di sconfitta quando ha deciso di recintare e chiudere parchi e ville?
R: «Bari ha 320mila abitanti, e a fronte di una stragrande maggioranza che, sebbene a fatica, si è e rassegnata a questa dimensione di confino domestico, esiste una minoranza di incoscienti che continuano ad assumere comportamenti rischiosi per sé e per gli altri, quasi le immagini drammatiche che vediamo da settimane, relative ad altre città italiane, fossero un film di fantascienza. Sin dall'inizio dell'emergenza giro per la città per rendermi conto di persona della situazione e per verificare le decine di segnalazioni che arrivano ogni giorno sulla mia pagina fb: il giorno in cui ho deciso di chiudere al pubblico parchi e giardini l'ho fatto perché erano pieni di ragazze e ragazzi che si godevano il sole come in una qualsiasi domenica di bel tempo nella nostra città, e questo non è possibile, visto che abbiamo a che fare con un virus altamente contagioso, e che ciascuno di noi può esserne vettore inconsapevole. Meglio una città con spazi pubblici interdetti, per quanto faccia male, di una città piegata dal contagio».
Sindaco, chiudiamo con un appello: #iorestoacasa perchè?
R: «#iorestoacasa è il mantra che dobbiamo ripetere e ripeterci senza stancarci, perché al momento è l'unica, e sottolineo l'unica, possibilità che abbiamo di arrestare la diffusione del virus. Si tratta di una condizione difficile per tutti, ma in questo momento è la strada da percorrere per poter tornare, progressivamente, alla normalità. Non c'è altra soluzione: ce lo dicono i medici, i virologi e l'esperienza di chi ha vissuto questa emergenza prima di noi».
CONTACTS:
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