di VALTER CANNELLONI - Bravo padre di famiglia con due figlioletti a carico, Antonio Ricci inaspettatamente trova lavoro all'Ufficio di Collocamento di Valmelaina come attacchino municipale del Comune di Roma.
L'uomo, però, è disperato: non è più disoccupato, è vero, ma per svolgere la sua nuova mansione ha bisogno di una bicicletta che non ha, visto che la sua l'ha impegnata per sfamare la moglie e la prole.
Sarà proprio Maria, la comprensiva consorte, a risolvere la situazione impegnando al Monte di Pietà il corredo di lenzuola di casa, per 7500 lire, con le quali Antonio riscatta la bicicletta.
Tutto sembra volgere al meglio, e Maria chiede al marito di accompagnarla in via della Paglia dove deve ricompensare la “santona”, una veggente che le aveva predetto che Antonio avrebbe trovato lavoro.
L'indomani, è il primo giorno di servizio per il neo-attacchino ma, mentre è intento, in via del Tritone, ad appiccicare al muro un manifesto di Rita Hayworth che interpreta il film “Gilda”, un giovane gaglioffo gli ruba proprio la preziosa bicicletta.
Antonio lo insegue, ma senza risultato, e allora si reca al Commissariato, dove un brigadiere di Polizia lo invita sì a sporgere denuncia, ma lo esorta altresì a provvedere per proprio conto alla ricerca della bici (!?).
Il giorno dopo, accompagnato dal figlioletto decenne Bruno, Antonio parte in cerca della bici: i due si recano al mercato di Piazza Vittorio, senza successo, e poi a Porta Portese, dove Antonio riconosce per un attimo il ladro. Non riesce a bloccarlo, ma in compenso tampina un vecchio con il quale il malvivente stava parlando.
Il vecchio è reticente ed evasivo, ma Antonio, pur di avere informazioni, lo segue fin presso un comitato di beneficenza per poveri dove il vecchio scompare, non senza aver prima indicato l'indirizzo del giovane che ha commesso il furto di bici: via della Campanella.
Dopo aver sgridato ingiustamente il figlio Bruno, e averlo “riconquistato” offrendogli una mozzarella in carrozza in una trattoria, Antonio si reca anche lui dalla “santona” che gli predice che la bici “o la trovi subito, o non la trovi più”.
Recatosi in via della Campanella, questa volta Antonio, dopo averlo inseguito in una casa di tolleranza, mette le mani sul ladro che, però colto una da crisi epilettica e spalleggiato dagli aggressivi vicini, smentisce di aver commesso il furto.
Il piccolo Bruno chiama un carabiniere che consiglia, dopo un'ispezione infruttuosa nella casa del malvivente, di rinunciare ad ogni azione visto che non ha né prove né testimoni. Bruno e Antonio, sbeffeggiati dagli abitanti di via della Campanella, si allontanano con le pive nel sacco.
Di fronte a tanta ingiustizia, che assume quasi i connotati di una condanna metafisica, ad Antonio non resta che il gesto estremo: giunto nei pressi dello Stadio comunale dove si sta svolgendo la partita Roma-Modena valevole per il campionato di serie A, l'uomo ruba a sua volta una bicicletta, ma viene fermato e malmenato dai passanti inferociti.
Umiliato e svergognato di fronte agli occhi del figlioletto, ma “graziato” dal proprietario della bici rubata solo grazie al bambino, Antonio sente su di sé il peso della vergogna e dell'ingiustizia subìta.
Il film si conclude con padre e figlio che tornano a casa, mescolandosi ai tifosi dello stadio, e piangendo entrambi silenziosi.
Ebbe a scrivere Cesare Zavattini, co-autore della sceneggiatura e ideatore del soggetto (tratto da un delicato romanzo di Luigi Bartolini): “Che cos'è una bicicletta? A Roma ci sono tante biciclette quante mosche. Ogni giorno se ne rubano decine e decine, senza che i giornali neppure ne facciano cenno. Ma forse i giornali sono in grado di stabilire la gerarchia dei fatti? Nel caso di Antonio, per esempio, avrebbero dovuto annunciare il furto della sua bicicletta con un titolo a sei colonne, perché essa rappresentava per lui un provvidenziale strumento di lavoro”.
Il film, che si basava su una storia apparentemente banale, ma in realtà nuovissima, quella di un uomo che cerca una cosa che gli appartiene in una grande città per ben 24 ore, ebbe un'enorme influenza sul piano internazionale.
Questa situazione fu ripresa in dieci Paesi da 50 sceneggiatori ed ebbe un'importanza storica non sminuita dal tempo. Tema immediato del film era la disoccupazione, in un Paese che contava milioni di persone senza lavoro, ma in realtà finisce per essere un apologo quasi kafkiano sulla solitudine dell'individuo, in una società in cui nessuno presta attenzione, se non in modo distratto, alle angosce degli altri.
Prodotta nel 1948 dallo stesso Vittorio De Sica, che non aveva più finanziatori dopo l'insuccesso commerciale di “Sciuscià”, la pellicola si avvale della straordinaria, austera e sentita interpretazione di Lamberto Maggiorani, operaio in una grande fabbrica di Roma e disoccupato prima e dopo le riprese cinematografiche.
Gli eventuali produttori americani avrebbero voluto che il ruolo di protagonista fosse affidato a Cary Grant, ma la scelta di Maggiorani fu una delle chiavi di successo del film.
Accanto a lui spicca il piccolo, espressivo Enzo Staiola, al quale si dice che il regista mettesse dei carboni ardenti nella mano per farlo piangere sul set: ma questa, forse, è già leggenda.
Il film ebbe, come detto, grande successo planetario e fu guardato con ammirazione dai circoli intellettuali di Parigi e New York. “Ladri di biciclette” resta a tutt'oggi una pietra miliare di quel Neorealismo Italiano che scendeva nelle strade per esporre le proprie tematiche, e che diede al cinema di casa nostra un lustro e un orgoglio di cui si parla ancora oggi, a settant'anni dalla sua affermazione
Regia: Vittorio De Sica, sceneggiatura: Vittorio De Sica, Cesare Zavattini, Oreste Biancoli, Suso Cecchi D’Amico, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi, Gerardo Guerrieri, fotografia: Carlo Montuori, musica Alessandro Cicognini, interpreti: Lamberto Maggiorani, Enzo Staiola, Lianella Carrel. Produzione: Italia 1948.