di FRANCESCO GRECO - “Arrivederci, miei cari. / Addio, Wuhan, mia città natale… Non voglio essere un eroe, / ma solo un medico…”. Cos’è mai il Covid-19 se non un’infida palude da cui usciremo trasfigurati, uno a uno e il mondo intorno, e le categorie culturali, politiche, filosofiche, spirituali riscritte? Nulla sarà più come prima, tutto sarà reinventato, in primis noi stessi, altro che tornare alla vita di ieri. La ferita continuerà a sanguinare: un anno zero dcv (dopo coronavirus).
“Spero che, dopo il disastro, / imparerai cosa significa essere giusti…/ Quando questa battaglia sarà finita, / io guarderò il cielo, / con lacrime che sgorgheranno come pioggia… ”.
Il dottor Li Wen Liang aveva solo 33 anni, figli e la moglie era di nuovo incinta. Aveva appena comprato una bella casa a Wuhan, dove c’è un laboratorio di biosicurezza di alto livello, BSL-4, ma a 280 metri anche il wet market dove si uccidono animali, come nel Medioevo: che combinazione! Stava pagando il mutuo. Quando scrive questa lettera ha coscienza del “the end”.
Ammonì la Cina, e il mondo, del pericolo. Non gli hanno creduto: l’hard capitalismo comunista non può rallentare per queste inezie, la merce prima dell’uomo. E comunque le vere minacce verranno proprio dalla classe media del medico, in una Cina “bomba a orologeria riguardo al trattamento dei campioni di virus patogeni”.
“Anche se stanno morendo, / mi guardano sempre negli occhi, con la loro speranza di vita…”.
Li fu arrestato a dicembre 2019 per due parole scritte sui social. Fu “recuperato”, tornò in corsia, si infettò: è morto il 7 febbraio. La verità ufficiale. Ce n’è un’altra: assassinato? Nel paese di Tien An Men, dove si dà l’allarme in ritardo e si mente sul numero dei morti, non è un’ipotesi folle. Specie se una simulazione di “Event 201”, ottobre 2019, di una pandemia, aveva calcolato 65 mln di morti in 18 mesi.
Francesca Totolo mette il suo testamento spirituale come introduzione: il controcanto lo affida a Manzoni, preferito a Camus. La parabola amara del dottor Li Wen Liang è l’input dell’istant-book “Coronavirus” (Tutto ciò che non torna sull’epidemia che ha scosso il mondo) Altaforte Edizioni, Roma 2020, pp. 176, euro 13,00, cover di Marta Galimberti.
E son tante le cose che non tornano, modulate su fonti istituzionali e sulle tesi complottiste, senza pretese medico-scientifiche, anche perché quello è un livello su cui, alla Flaiano, le idee sono poche ma assai confuse (in tv tanti “esperti” in cattedra). E se prevale il format perverso dell’ideologia nel paese dove, grazie alla rete, siamo tutti virologi, infettologi, epidemiologi, esperti di vaccini, ciarlatani da bar sport e bisogna fare i conti con l’austerity assassina di Monti e Letta, servi dell’UE: meno 37 mld, meno 8mila medici, 37mila infermieri.
Ma davvero tutto è iniziato al mercato del pesce di Huanan? O il virus (“arma da guerra biologica, potenzialmente letale”, Francis Boyle) ha percorso altre vie? L’OMS, che gestisce 3 mld di $ ed è finanziata dalle principali case farmaceutiche mondiali: un conflitto di interessi grande quanto un grattacielo a Manhattan (“non poteva non sapere”, “un’altra pandemia di influenza è inevitabile”) e le autorità sanitarie (che spesso contrastano le fake news con altre fake news, o con la propaganda e l’ideologia) lo hanno sottovalutato, derubricandola a “normale influenza”. Ma l’11 marzo diventa pandemia (bruciando i “Pandemic bond”), la seconda del millennio (dopo la Sars, 2009), e quindi non si può più fare sociologia.
Siamo stati capaci, all’italiana, di declinare nel politically correct anche il Covid-19. Delirante lo spot di Mirabella nel ristorante cinese: “Non è facile il contagio…”. No? Chiedere ai medici infettati negli ospedali, veri focolai. Come il rassicurante Zingaretti (“normale influenza”). Mattarella fra i bimbi cinesi (italiani) all’Esquilino, Prodi che lecca, Di Maio sulla via della seta che contro il “vairus” invia mascherine che servono a noi e che poi ci restituiscono. Massimo Giannini e Francesco Boccia che accusano Salvini “sparge paura” (sottinteso: il virus è lui, tranquilli).
Abbiamo assistito allibiti alla trasfigurazione, via ideologica, del virus in razzismo. Lo stesso NYT ha detto che “l’Italia ha sbagliato tutto”, Caporetto per la comunicazione/narrazione: da negazionista a terrorista.
Con un brivido nella schiena, apprendiamo del business clandestino dei virus, del “contrabbando batteriologico”, del traffico internazionale da parte di “ricercatori senza scrupoli e industrie farmaceutiche”, tutti “pronti ad accumulare soldi e fama grazie alla paura delle epidemie”: un universo oscuro di cui poco si sa, molto si immagina, e di cui i governi dovrebbero occuparsi, anche perché, secondo i Nas, saremmo il “principale snodo del traffico di virus” e il tutto avviene sul filo della legalità, con la criminalità che sente odor di soldi e fa la sua parte in sinergia con i presentabili, tra “spionaggio accademico e industriale” e morti misteriose (il prof. Frank Plummer, il 4 febbraio scorso a Nairobi, doveva parlare di HIV: cosa avrebbe detto?).
Oltre all’ipotesi che “il vettore sia uscito per errore da un laboratorio vicino al wet market di Wuhan” (con i suoi apprendisti stregoni) o, opzione cinese, che l’abbiano portato gli atleti americani ai “World American Games” tenutisi a Wuhan. Propaganda e fake news, guerra biologica, commerciale, psicologica: un nodo gordiano duro da sciogliere su cui la Totolo getta una luce sinistra aprendo un mondo insospettato, di interfacce infinite (chi ricordava le parole profetiche di Jacques Attali, “Express”, maggio 2009), da sempre consigliere dell’Eliseo?
Un saggio incalzante, cifra divulgativa e appassionata che lo rende leggibile a tutti, impauriti e sgomenti, costretti fra quattro mura a sistemare rubinetti rotti e, i più fortunati, a curare l’orto. Arricchito alla fine dalla storia delle epidemie: da Atene (Pericle) a Milano (portata dagli alemanni). Peraltro ci convinciamo, in Puglia, che la xylella non è una maledizione divina: chi coltiva la cultura del sospetto non è un pazzo da legare.
“Ho combattuto la buona battaglia, / ho terminato la corsa, / ho conservato la fede. / Ora c’è in serbo per me la corona della giustizia”. Lo speriamo di cuore, caro dottor Li, ma il passato (Socrate, Giordano Bruno, Vanini e tanti altri) ci scoraggia. La nostra è un’epoca amara e mediocre, senza più spiritualità, di avidità, egoismo, squallore, consumo sfrenato, autoreferenzialità, in cui è facile far scivolare dietro le quinte dell’oblio le voci libere che disturbano i nostri pregiudizi.
In fondo il Covid-19 (“epidemia inevitabile e imminente”), può anche essere letto come una crudele allegoria che tiene in ostaggio la Terra, e costringerà noi inquilini a vedere come siamo ridotti. Altro che tutto come prima.
“Spero che, dopo il disastro, / imparerai cosa significa essere giusti…/ Quando questa battaglia sarà finita, / io guarderò il cielo, / con lacrime che sgorgheranno come pioggia… ”.
Il dottor Li Wen Liang aveva solo 33 anni, figli e la moglie era di nuovo incinta. Aveva appena comprato una bella casa a Wuhan, dove c’è un laboratorio di biosicurezza di alto livello, BSL-4, ma a 280 metri anche il wet market dove si uccidono animali, come nel Medioevo: che combinazione! Stava pagando il mutuo. Quando scrive questa lettera ha coscienza del “the end”.
Ammonì la Cina, e il mondo, del pericolo. Non gli hanno creduto: l’hard capitalismo comunista non può rallentare per queste inezie, la merce prima dell’uomo. E comunque le vere minacce verranno proprio dalla classe media del medico, in una Cina “bomba a orologeria riguardo al trattamento dei campioni di virus patogeni”.
“Anche se stanno morendo, / mi guardano sempre negli occhi, con la loro speranza di vita…”.
Li fu arrestato a dicembre 2019 per due parole scritte sui social. Fu “recuperato”, tornò in corsia, si infettò: è morto il 7 febbraio. La verità ufficiale. Ce n’è un’altra: assassinato? Nel paese di Tien An Men, dove si dà l’allarme in ritardo e si mente sul numero dei morti, non è un’ipotesi folle. Specie se una simulazione di “Event 201”, ottobre 2019, di una pandemia, aveva calcolato 65 mln di morti in 18 mesi.
Francesca Totolo mette il suo testamento spirituale come introduzione: il controcanto lo affida a Manzoni, preferito a Camus. La parabola amara del dottor Li Wen Liang è l’input dell’istant-book “Coronavirus” (Tutto ciò che non torna sull’epidemia che ha scosso il mondo) Altaforte Edizioni, Roma 2020, pp. 176, euro 13,00, cover di Marta Galimberti.
E son tante le cose che non tornano, modulate su fonti istituzionali e sulle tesi complottiste, senza pretese medico-scientifiche, anche perché quello è un livello su cui, alla Flaiano, le idee sono poche ma assai confuse (in tv tanti “esperti” in cattedra). E se prevale il format perverso dell’ideologia nel paese dove, grazie alla rete, siamo tutti virologi, infettologi, epidemiologi, esperti di vaccini, ciarlatani da bar sport e bisogna fare i conti con l’austerity assassina di Monti e Letta, servi dell’UE: meno 37 mld, meno 8mila medici, 37mila infermieri.
Ma davvero tutto è iniziato al mercato del pesce di Huanan? O il virus (“arma da guerra biologica, potenzialmente letale”, Francis Boyle) ha percorso altre vie? L’OMS, che gestisce 3 mld di $ ed è finanziata dalle principali case farmaceutiche mondiali: un conflitto di interessi grande quanto un grattacielo a Manhattan (“non poteva non sapere”, “un’altra pandemia di influenza è inevitabile”) e le autorità sanitarie (che spesso contrastano le fake news con altre fake news, o con la propaganda e l’ideologia) lo hanno sottovalutato, derubricandola a “normale influenza”. Ma l’11 marzo diventa pandemia (bruciando i “Pandemic bond”), la seconda del millennio (dopo la Sars, 2009), e quindi non si può più fare sociologia.
Siamo stati capaci, all’italiana, di declinare nel politically correct anche il Covid-19. Delirante lo spot di Mirabella nel ristorante cinese: “Non è facile il contagio…”. No? Chiedere ai medici infettati negli ospedali, veri focolai. Come il rassicurante Zingaretti (“normale influenza”). Mattarella fra i bimbi cinesi (italiani) all’Esquilino, Prodi che lecca, Di Maio sulla via della seta che contro il “vairus” invia mascherine che servono a noi e che poi ci restituiscono. Massimo Giannini e Francesco Boccia che accusano Salvini “sparge paura” (sottinteso: il virus è lui, tranquilli).
Abbiamo assistito allibiti alla trasfigurazione, via ideologica, del virus in razzismo. Lo stesso NYT ha detto che “l’Italia ha sbagliato tutto”, Caporetto per la comunicazione/narrazione: da negazionista a terrorista.
Con un brivido nella schiena, apprendiamo del business clandestino dei virus, del “contrabbando batteriologico”, del traffico internazionale da parte di “ricercatori senza scrupoli e industrie farmaceutiche”, tutti “pronti ad accumulare soldi e fama grazie alla paura delle epidemie”: un universo oscuro di cui poco si sa, molto si immagina, e di cui i governi dovrebbero occuparsi, anche perché, secondo i Nas, saremmo il “principale snodo del traffico di virus” e il tutto avviene sul filo della legalità, con la criminalità che sente odor di soldi e fa la sua parte in sinergia con i presentabili, tra “spionaggio accademico e industriale” e morti misteriose (il prof. Frank Plummer, il 4 febbraio scorso a Nairobi, doveva parlare di HIV: cosa avrebbe detto?).
Oltre all’ipotesi che “il vettore sia uscito per errore da un laboratorio vicino al wet market di Wuhan” (con i suoi apprendisti stregoni) o, opzione cinese, che l’abbiano portato gli atleti americani ai “World American Games” tenutisi a Wuhan. Propaganda e fake news, guerra biologica, commerciale, psicologica: un nodo gordiano duro da sciogliere su cui la Totolo getta una luce sinistra aprendo un mondo insospettato, di interfacce infinite (chi ricordava le parole profetiche di Jacques Attali, “Express”, maggio 2009), da sempre consigliere dell’Eliseo?
Un saggio incalzante, cifra divulgativa e appassionata che lo rende leggibile a tutti, impauriti e sgomenti, costretti fra quattro mura a sistemare rubinetti rotti e, i più fortunati, a curare l’orto. Arricchito alla fine dalla storia delle epidemie: da Atene (Pericle) a Milano (portata dagli alemanni). Peraltro ci convinciamo, in Puglia, che la xylella non è una maledizione divina: chi coltiva la cultura del sospetto non è un pazzo da legare.
“Ho combattuto la buona battaglia, / ho terminato la corsa, / ho conservato la fede. / Ora c’è in serbo per me la corona della giustizia”. Lo speriamo di cuore, caro dottor Li, ma il passato (Socrate, Giordano Bruno, Vanini e tanti altri) ci scoraggia. La nostra è un’epoca amara e mediocre, senza più spiritualità, di avidità, egoismo, squallore, consumo sfrenato, autoreferenzialità, in cui è facile far scivolare dietro le quinte dell’oblio le voci libere che disturbano i nostri pregiudizi.
In fondo il Covid-19 (“epidemia inevitabile e imminente”), può anche essere letto come una crudele allegoria che tiene in ostaggio la Terra, e costringerà noi inquilini a vedere come siamo ridotti. Altro che tutto come prima.