di FILIPPO BOSCIA* - Sollecitato da più fronti ho registrato un mio personale ineludibile dovere di procedere con responsabilità ad un puntuale esame di quel che sta accadendo in corso di Covid-19, in riferimento al problema dell’aborto farmacologico per il quale si richiede una maggiore liberalizzazione, finalizzata a rendere ancor più facile e permissiva la pratica attuazione della legge sull’aborto.
La richiesta, posta con ostentata indifferenza bugiarda dai ginecologi territoriali, fa riferimento alle problematiche riguardanti la possibile diffusione del contagio, sostenendo che l’emergenza coronavirus metta a serio rischio la salute di quelle donne che intendono abortire in ospedale per l’alta contagiosità di questo luogo.
Si chiedono deliberazioni urgenti, dichiarando che al momento gli ospedali non sono in grado di soddisfare a pieno la pratica attuazione della legge 194/78 sull’aborto. Dichiarazioni queste assolutamente false e tendenziose: in realtà su queste grava un consistente profilo ideologico e una pressione politica mirante a far includere nei decreti “Cura Italia” decisioni di priorità assolute, tutte volte a sostenere maggiore libertà nel manipolare, in senso destruente, l’inizio della vita.
Con vigore dichiaro che proporre queste istanze proprio in questo particolare momento, ovvero proprio nel corso di questo doloroso e drammatico evento, legato alla pandemia da Covid, rappresenta una vera e propria violenza e una fastidiosa aggravante: stiamo parlando di un tremendo problema che lascia aperte ampie ferite, nonché margini di amarezza e di inquietudine, sia che lo si risolva in senso antiabortista che in senso abortista.
In una pacata e serena discussione desideriamo individuare il cuore del problema, cercando di proporre anche delle soluzioni, ma ponendoci specifici interrogativi:
1. Qual è il peso che può generarsi nella donna nell’elaborazione di quel dramma personale quando si trova ad iniziare o ad aver già iniziato una gravidanza non voluta?
2. Possono concretizzarsi sentimenti di amarezza e di inquietudine quando si è chiamati ad agire sul concepito, che è uno di noi, cioè un essere umano nel cui codice genetico è già contenuto il futuro sviluppo della persona?
3. Deve prevalere sempre l’interesse primario di chi è più forte (ossia la madre) sul più debole (ossia il concepito)?
4. Quando sarà con forza e senza rinvii ristabilita la difesa della vita ristabilendo piena simmetria tra la madre e l’embrione?
5. Siamo o non siamo nella condizione di conoscere perfettamente il valore di quel progetto di vita che sta per essere violato o deve essere bruscamente interrotto?
Dobbiamo dirci senza mezzi termini che quel progetto originario di vita viene irrimediabilmente leso in caso di IVG, viene infranto quel progetto che il feto in tutta autonomia sta pilotando, atteso che l’aborto spezza quelle importanti caratteristiche di relazione e di comunicazione, insite nella splendida inscindibile unità materno-fetale, sintesi di eventi inarrestabili biochimici, biofisici, nutrizionali, psicofisici ed endorfinici.
L’aborto volontario si inserisce brutalmente in quel coordinato, armonico e preordinato sviluppo: lo infrange, lo spezza, lo danneggia, lo ferma!
Tutto ciò si realizza sempre e comunque, indipendentemente dalla tecnica utilizzata, chirurgica, chimica, farmacologica, ecc.; sempre e comunque, indipendentemente dal fatto che sia più o meno traumatica, più o meno efficace, più o meno rapida e risolutiva.
Quello che oggi accade è sotto il nostro sguardo, ed è uno strappo scandalosamente volontario, uno sradicamento traumatico di una vita da un terreno fecondo: vengono recise e interrotte le radici nutrizionali ed in aggiunta emboli antiormonali interrompono ogni possibile labile sostegno vitale: ostacolate le fasi di nutrizione e idratazione, inevitabilmente si giunge alla mortale conclusione, in perfetta obbedienza a malefiche volontà pro-eutanasiche.
Perverse motivazioni operano volontarie opzioni di scarto, sia per il mancato gradimento di un dono, ma sempre più spesso perché non si riconoscono in quell’embrione, che è uno di noi le caratteristiche di qualità richieste, non riconoscendo in lui i prescritti canoni di normalità .
Ruolo importante hanno le povertà economiche non risolte e le odiose discriminazioni di ogni tipo, ulteriori e nefasti ingredienti.
La puntualità di tale evento colpisce al cuore!
La rapidità di esecuzione nasconde l’evento, lo fa evolvere in solitudine: l’embrione, poverino, si trova all’improvviso nel posto sbagliato nel momento sbagliato ed un cecchino è pronto a disintegrarlo.
Non è un mistero per nessuno che sempre più spesso nelle strutture pubbliche o in quelle private convenzionate si favorisca in ogni modo l’aborto! Risulta da più parti che non si ha tempo per l’ascolto, per un colloquio! Nessuno da aiuto o promuovere una pur possibile dissuasione!
Escludendo del tutto percorsi di prevenzione, si giunge ad agevolare l’aborto, a renderlo più facile, a banalizzarlo, quasi si stesse realizzando un’azione di sbrigativa pulizia di una qualsivoglia stoviglia.
Proprio nel momento storico che stiamo vivendo riemerge l’importanza dell’ascolto: sono in tanti a denunciare che sempre più di frequente la frettolosità nei consultori è sovrana e mancano tempi e modi per gestire interventi in difesa della vita.
Certamente è più facile, rapido e sbrigativo agire in senso distruttivo, creando vere e proprie “catene di smontaggio” della vita umana sul nascere.
Lo chiamano il “grumo di cellule”! E ciò avviene proprio nella nostra contemporaneità nella quale le innovazioni tecnologiche e le conoscenze certamente non mancano. Tutti sanno che in quell’utero c’è una vita, che è al contempo mistero ed essenza. Tutti lo sanno, ma tutti fingono di non sapere che abortire significa uccidere.
Un omertoso silenzio accoglie la donna in crisi, nessuno si spinge a contrastare il “male d’aborto”, sicchè oggi si parla sempre più spesso, e in malafede, di azioni di intralcio all’aborto e di legge 194 in pericolo.
Siamo proprio di fronte ad una totale indifferenza sociale che si rende ancora più acuta in un momento nel quale il mistero dell’inizio della vita con l’ecografia può essere meglio conosciuto, datato, studiato e apprezzato; in un momento in cui le emozioni possono farsi più forti, nel senso della difesa della vita, le ecografie tridimensionali vengono anche delittuosamente omesse.
Molti protocolli e linee guida hanno lo scopo di agevolare la propensione all’aborto, e sempre più spesso l’ecografia viene utilizzata come strumento tendente a suddividere la vita umana sul nascere in vita degna o non degna di essere vissuta, cui si collegano sentimenti ambivalenti di accettazione e rifiuto.
Oggi poi, approfittando della pandemia del coronavirus e facendo riferimento ad una sterile “economia di mercato”, da taluni equiparata ad una “economia di guerra”, sempre più spesso si parla di intralcio all’aborto e di legge 194 inevasa. Sono in molti, in questi contesti, a spingere l’acceleratore verso processi di liberalizzazione e di facilitazione dell’aborto con metodo farmacologico chiedendo addirittura, la domiciliazione delle metodiche, promuovendo così quel ricorso al “fai-da-te” auspicato da molti. Per dare forza a questo folle processo, alcuni ginecologi territoriali invocano l’attuale emergenza pandemica come determinante aggiuntivo di rischio contagio, che aumenterebbe seguendo la via ospedaliera.
V’è anche chi sostiene che la paura di contrarre infezioni ospedaliere sia causa di ridotto ricorso alle tecniche. Ma di fatto le cose non stanno cosi perché l’aborto è sempre garantito! Le chemio possono attendere, i tumori possono attendere, le patologie chirurgiche possono essere rinviate… tanto mese più, mese meno cosa volete che sia.
Va detto con chiarezza che la 194/78 oggi non è per nulla minacciata: la verità è che la si vuole ancora più libera, desiderando maggiore agilità nel manipolare l’inizio della vita. Ideologicamente, senza freni e senza sentimenti, si preferisce seguire quel malcostume imperante che giunge a banalizzare persino i reali rischi connessi alla somministrazione dei farmaci. Banalizzando non si aiuta a comprendere quanto ingiusto sia l’atto dell’aborto e quale dirompente azione disgregatrice svolga nel tessuto sociale e umano! E’ così che si giunge a privare la donna di ogni indispensabile vicinanza umana, evitando ogni possibile sostegno, vicinanza e cura!
IL risultato? Si ghettizza l’atto abortivo in una triste solitudine domestica, e lo si fa percepire l’embrione, non come vita da salvare, ma come un fastidio del quale liberarsi.
Non si può non sottolineare che l’aborto farmacologico risulta 10 volte più pericoloso di quello chirurgico: rischio di emorragia (procurarsi un aborto spesso comporta la complicanza non inedita di fare un bagno di sangue), rischi infettivi (infezione da Clostridium Sordelli), rischi di immunodepressione, di danno psicologico persistente (che certamente ha a che fare con l’equilibrio psicofisico e con l’immaginario), rischio del vivere il dramma di una condizione di occulta emarginazione, consumata in assoluta in solitudine nel corpo di una madre sola, dichiarata consenziente...
L’embrione deve essere qualcuno, non può essere qualcosa – è un bambino, non è materiale!
Violare il mistero dell’inizio della vita, protetto da quel sacro rispetto non negabile ad alcuno, renderlo profanabile o oggetto di scarto apre uno scenario nascosto che tutti temiamo diventi ingestibile solitudine: uno scenario che espone ad emozioni vorticose, foriere di grandi inquietudini sia nel presente che nel futuro.
In questo “furore abortivo” spesso si svolgono molti atti che sfuggono ad ogni controllo, che non sono né verificabili, né evitabili, quasi a ricostruire un ritorno ad un drammatico passato di abortività clandestina.
La banalizzazione dell’aborto in realtà lo rende nascosto, facilmente eludibile da ogni dettato di legge, sottratto ad ogni possibile aiuto e ad ogni giusta vigilanza.
Il fatto che l’assunzione di un preparato farmacologico possa essere compiuto dall’interessata nella sua abitazione, con il solo ausilio di un bicchier d’acqua, costituisce un grave vulnus ai contenuti delle norme della 194/78:
Si avverte una sensibilità violata, una mancanza di colloquio, un lutto che si consuma lentamente in disperata solitudine e che può far perdere ogni sensato senso di pietà ! Di fronte abbiamo un embrione di un mese o di tre mesi che sia, solo ed inerme. Si è incapaci di distinguere lo straordinario dall’ordinario e lo si fa con una ostentata indifferenza bugiarda.
Resta anche l’inquietudine per l’eventualità che il feto percepisca il dolore da aborto e soffra inesorabilmente, prima di concludere traumaticamente la sua vita!
Il registro neurosensoriale del feto è presente in ogni momento della sua vita: Noi non vogliamo occultarlo, desideriamo sottolinearlo e gridare a gran voce che bisogna cominciare a parlare di dolore del feto!
Occorre anche ricordarsi che ogni madre nel futuro si troverà inesorabilmente a rielaborare quell’evento! Di quel lutto realmente vissuto rimarranno sempre profonde ferite e cicatrici: mai quel lutto nell’immediato dell’atto abortivo sarà percepito nella sua reale gravità ! E non dimentichiamo poi la ricorrenza di tanti altri eventi, purtroppo percepiti solo a distanza di tempo, quando le sterilità e le infertilità post-abortive si manifesteranno.
Oggi il mistero dell’inizio della nostra esistenza è diventato “pietra d’inciampo”. Ci preoccupa la persistente incapacità di un sistema sanitario che non sa e non ha saputo ancora organizzare la prevenzione e che, ancor peggio, non vuole rendersi conto di quale terremoto emotivo sia insito nella decisionalità dello “scarto”. Di questo scarto, quasi sempre nascosto e ritenuto mero fatto privato, rimarrà il ricordo inumano, vissuto in solitudine e abbandono.
Di questo abbandono noi vogliamo parlare, affinché venga sancito un nuovo patto, a “garanzia della vita”, unico antidoto a quel grave, pesante e vero malcostume banalizzante, oggi diventato emergenza sociale.
Noi desideriamo fermare arroganza e diffuso malcostume, ma soprattutto desideriamo ostacolare manovre e azioni di chi, allergico agli affetti, alla saggezza e al bon-ton, desidera servire il furore abortivo.
*Presidente Nazionale AMCI – Presidente Onorario SIBCE
Opera: A.Argentina 'Madonna con Bambino' - Olio su tela 40x50
La richiesta, posta con ostentata indifferenza bugiarda dai ginecologi territoriali, fa riferimento alle problematiche riguardanti la possibile diffusione del contagio, sostenendo che l’emergenza coronavirus metta a serio rischio la salute di quelle donne che intendono abortire in ospedale per l’alta contagiosità di questo luogo.
Si chiedono deliberazioni urgenti, dichiarando che al momento gli ospedali non sono in grado di soddisfare a pieno la pratica attuazione della legge 194/78 sull’aborto. Dichiarazioni queste assolutamente false e tendenziose: in realtà su queste grava un consistente profilo ideologico e una pressione politica mirante a far includere nei decreti “Cura Italia” decisioni di priorità assolute, tutte volte a sostenere maggiore libertà nel manipolare, in senso destruente, l’inizio della vita.
Con vigore dichiaro che proporre queste istanze proprio in questo particolare momento, ovvero proprio nel corso di questo doloroso e drammatico evento, legato alla pandemia da Covid, rappresenta una vera e propria violenza e una fastidiosa aggravante: stiamo parlando di un tremendo problema che lascia aperte ampie ferite, nonché margini di amarezza e di inquietudine, sia che lo si risolva in senso antiabortista che in senso abortista.
In una pacata e serena discussione desideriamo individuare il cuore del problema, cercando di proporre anche delle soluzioni, ma ponendoci specifici interrogativi:
1. Qual è il peso che può generarsi nella donna nell’elaborazione di quel dramma personale quando si trova ad iniziare o ad aver già iniziato una gravidanza non voluta?
2. Possono concretizzarsi sentimenti di amarezza e di inquietudine quando si è chiamati ad agire sul concepito, che è uno di noi, cioè un essere umano nel cui codice genetico è già contenuto il futuro sviluppo della persona?
3. Deve prevalere sempre l’interesse primario di chi è più forte (ossia la madre) sul più debole (ossia il concepito)?
4. Quando sarà con forza e senza rinvii ristabilita la difesa della vita ristabilendo piena simmetria tra la madre e l’embrione?
5. Siamo o non siamo nella condizione di conoscere perfettamente il valore di quel progetto di vita che sta per essere violato o deve essere bruscamente interrotto?
Dobbiamo dirci senza mezzi termini che quel progetto originario di vita viene irrimediabilmente leso in caso di IVG, viene infranto quel progetto che il feto in tutta autonomia sta pilotando, atteso che l’aborto spezza quelle importanti caratteristiche di relazione e di comunicazione, insite nella splendida inscindibile unità materno-fetale, sintesi di eventi inarrestabili biochimici, biofisici, nutrizionali, psicofisici ed endorfinici.
L’aborto volontario si inserisce brutalmente in quel coordinato, armonico e preordinato sviluppo: lo infrange, lo spezza, lo danneggia, lo ferma!
Tutto ciò si realizza sempre e comunque, indipendentemente dalla tecnica utilizzata, chirurgica, chimica, farmacologica, ecc.; sempre e comunque, indipendentemente dal fatto che sia più o meno traumatica, più o meno efficace, più o meno rapida e risolutiva.
Quello che oggi accade è sotto il nostro sguardo, ed è uno strappo scandalosamente volontario, uno sradicamento traumatico di una vita da un terreno fecondo: vengono recise e interrotte le radici nutrizionali ed in aggiunta emboli antiormonali interrompono ogni possibile labile sostegno vitale: ostacolate le fasi di nutrizione e idratazione, inevitabilmente si giunge alla mortale conclusione, in perfetta obbedienza a malefiche volontà pro-eutanasiche.
Perverse motivazioni operano volontarie opzioni di scarto, sia per il mancato gradimento di un dono, ma sempre più spesso perché non si riconoscono in quell’embrione, che è uno di noi le caratteristiche di qualità richieste, non riconoscendo in lui i prescritti canoni di normalità .
Ruolo importante hanno le povertà economiche non risolte e le odiose discriminazioni di ogni tipo, ulteriori e nefasti ingredienti.
La puntualità di tale evento colpisce al cuore!
La rapidità di esecuzione nasconde l’evento, lo fa evolvere in solitudine: l’embrione, poverino, si trova all’improvviso nel posto sbagliato nel momento sbagliato ed un cecchino è pronto a disintegrarlo.
Non è un mistero per nessuno che sempre più spesso nelle strutture pubbliche o in quelle private convenzionate si favorisca in ogni modo l’aborto! Risulta da più parti che non si ha tempo per l’ascolto, per un colloquio! Nessuno da aiuto o promuovere una pur possibile dissuasione!
Escludendo del tutto percorsi di prevenzione, si giunge ad agevolare l’aborto, a renderlo più facile, a banalizzarlo, quasi si stesse realizzando un’azione di sbrigativa pulizia di una qualsivoglia stoviglia.
Proprio nel momento storico che stiamo vivendo riemerge l’importanza dell’ascolto: sono in tanti a denunciare che sempre più di frequente la frettolosità nei consultori è sovrana e mancano tempi e modi per gestire interventi in difesa della vita.
Certamente è più facile, rapido e sbrigativo agire in senso distruttivo, creando vere e proprie “catene di smontaggio” della vita umana sul nascere.
Lo chiamano il “grumo di cellule”! E ciò avviene proprio nella nostra contemporaneità nella quale le innovazioni tecnologiche e le conoscenze certamente non mancano. Tutti sanno che in quell’utero c’è una vita, che è al contempo mistero ed essenza. Tutti lo sanno, ma tutti fingono di non sapere che abortire significa uccidere.
Un omertoso silenzio accoglie la donna in crisi, nessuno si spinge a contrastare il “male d’aborto”, sicchè oggi si parla sempre più spesso, e in malafede, di azioni di intralcio all’aborto e di legge 194 in pericolo.
Siamo proprio di fronte ad una totale indifferenza sociale che si rende ancora più acuta in un momento nel quale il mistero dell’inizio della vita con l’ecografia può essere meglio conosciuto, datato, studiato e apprezzato; in un momento in cui le emozioni possono farsi più forti, nel senso della difesa della vita, le ecografie tridimensionali vengono anche delittuosamente omesse.
Molti protocolli e linee guida hanno lo scopo di agevolare la propensione all’aborto, e sempre più spesso l’ecografia viene utilizzata come strumento tendente a suddividere la vita umana sul nascere in vita degna o non degna di essere vissuta, cui si collegano sentimenti ambivalenti di accettazione e rifiuto.
Oggi poi, approfittando della pandemia del coronavirus e facendo riferimento ad una sterile “economia di mercato”, da taluni equiparata ad una “economia di guerra”, sempre più spesso si parla di intralcio all’aborto e di legge 194 inevasa. Sono in molti, in questi contesti, a spingere l’acceleratore verso processi di liberalizzazione e di facilitazione dell’aborto con metodo farmacologico chiedendo addirittura, la domiciliazione delle metodiche, promuovendo così quel ricorso al “fai-da-te” auspicato da molti. Per dare forza a questo folle processo, alcuni ginecologi territoriali invocano l’attuale emergenza pandemica come determinante aggiuntivo di rischio contagio, che aumenterebbe seguendo la via ospedaliera.
V’è anche chi sostiene che la paura di contrarre infezioni ospedaliere sia causa di ridotto ricorso alle tecniche. Ma di fatto le cose non stanno cosi perché l’aborto è sempre garantito! Le chemio possono attendere, i tumori possono attendere, le patologie chirurgiche possono essere rinviate… tanto mese più, mese meno cosa volete che sia.
Va detto con chiarezza che la 194/78 oggi non è per nulla minacciata: la verità è che la si vuole ancora più libera, desiderando maggiore agilità nel manipolare l’inizio della vita. Ideologicamente, senza freni e senza sentimenti, si preferisce seguire quel malcostume imperante che giunge a banalizzare persino i reali rischi connessi alla somministrazione dei farmaci. Banalizzando non si aiuta a comprendere quanto ingiusto sia l’atto dell’aborto e quale dirompente azione disgregatrice svolga nel tessuto sociale e umano! E’ così che si giunge a privare la donna di ogni indispensabile vicinanza umana, evitando ogni possibile sostegno, vicinanza e cura!
IL risultato? Si ghettizza l’atto abortivo in una triste solitudine domestica, e lo si fa percepire l’embrione, non come vita da salvare, ma come un fastidio del quale liberarsi.
Non si può non sottolineare che l’aborto farmacologico risulta 10 volte più pericoloso di quello chirurgico: rischio di emorragia (procurarsi un aborto spesso comporta la complicanza non inedita di fare un bagno di sangue), rischi infettivi (infezione da Clostridium Sordelli), rischi di immunodepressione, di danno psicologico persistente (che certamente ha a che fare con l’equilibrio psicofisico e con l’immaginario), rischio del vivere il dramma di una condizione di occulta emarginazione, consumata in assoluta in solitudine nel corpo di una madre sola, dichiarata consenziente...
L’embrione deve essere qualcuno, non può essere qualcosa – è un bambino, non è materiale!
Violare il mistero dell’inizio della vita, protetto da quel sacro rispetto non negabile ad alcuno, renderlo profanabile o oggetto di scarto apre uno scenario nascosto che tutti temiamo diventi ingestibile solitudine: uno scenario che espone ad emozioni vorticose, foriere di grandi inquietudini sia nel presente che nel futuro.
In questo “furore abortivo” spesso si svolgono molti atti che sfuggono ad ogni controllo, che non sono né verificabili, né evitabili, quasi a ricostruire un ritorno ad un drammatico passato di abortività clandestina.
La banalizzazione dell’aborto in realtà lo rende nascosto, facilmente eludibile da ogni dettato di legge, sottratto ad ogni possibile aiuto e ad ogni giusta vigilanza.
Il fatto che l’assunzione di un preparato farmacologico possa essere compiuto dall’interessata nella sua abitazione, con il solo ausilio di un bicchier d’acqua, costituisce un grave vulnus ai contenuti delle norme della 194/78:
Si avverte una sensibilità violata, una mancanza di colloquio, un lutto che si consuma lentamente in disperata solitudine e che può far perdere ogni sensato senso di pietà ! Di fronte abbiamo un embrione di un mese o di tre mesi che sia, solo ed inerme. Si è incapaci di distinguere lo straordinario dall’ordinario e lo si fa con una ostentata indifferenza bugiarda.
Resta anche l’inquietudine per l’eventualità che il feto percepisca il dolore da aborto e soffra inesorabilmente, prima di concludere traumaticamente la sua vita!
Il registro neurosensoriale del feto è presente in ogni momento della sua vita: Noi non vogliamo occultarlo, desideriamo sottolinearlo e gridare a gran voce che bisogna cominciare a parlare di dolore del feto!
Occorre anche ricordarsi che ogni madre nel futuro si troverà inesorabilmente a rielaborare quell’evento! Di quel lutto realmente vissuto rimarranno sempre profonde ferite e cicatrici: mai quel lutto nell’immediato dell’atto abortivo sarà percepito nella sua reale gravità ! E non dimentichiamo poi la ricorrenza di tanti altri eventi, purtroppo percepiti solo a distanza di tempo, quando le sterilità e le infertilità post-abortive si manifesteranno.
Oggi il mistero dell’inizio della nostra esistenza è diventato “pietra d’inciampo”. Ci preoccupa la persistente incapacità di un sistema sanitario che non sa e non ha saputo ancora organizzare la prevenzione e che, ancor peggio, non vuole rendersi conto di quale terremoto emotivo sia insito nella decisionalità dello “scarto”. Di questo scarto, quasi sempre nascosto e ritenuto mero fatto privato, rimarrà il ricordo inumano, vissuto in solitudine e abbandono.
Di questo abbandono noi vogliamo parlare, affinché venga sancito un nuovo patto, a “garanzia della vita”, unico antidoto a quel grave, pesante e vero malcostume banalizzante, oggi diventato emergenza sociale.
Noi desideriamo fermare arroganza e diffuso malcostume, ma soprattutto desideriamo ostacolare manovre e azioni di chi, allergico agli affetti, alla saggezza e al bon-ton, desidera servire il furore abortivo.
*Presidente Nazionale AMCI – Presidente Onorario SIBCE
Opera: A.Argentina 'Madonna con Bambino' - Olio su tela 40x50
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