Monologo di Santa Fizzarotti Selvaggi per, in quel di Rudiae, Otacilia Secundilla

BARI - La poetessa-scrittrice Santa Fizzarotti Selvaggi nel mese di febbraio 2020, quindi prima delle notizie della presenza inquietante del coronavirus, ha compiuto una meravigliosa visita al parco archeologico di Rudiae (paesaggio rurale della Valle della Cupa nel Salento), in compagnia di Amici carissimi, ai quali si sente profondamente grata per il dono di questa esperienza; nel mentre procedeva in questo affascinante scenario si è sentita immersa in un ‘sogno’ e, in contemporanea con il vento che muoveva delicatamente le piccole foglie degli ulivi, ha sentito emergere in lei una tenera voce che le raccontava di una donna meravigliosa: Otacilia Secundilla.



Monologo di Otacilia Secundilla


             Al chiaror della luna 
             ...tra le pietre del tempo ... 


In questa terra di sole e di vento ho vissuto in candida veste e sogni d’eterno.

Messapia di mistero, tra i mille colori dei due mari, distesa, quale fremente amante, sotto l’azzurro del cielo laddove finisce ogni roccia protesa ad Oriente in compagnia del canto del gallo. Messapia come la pianura della Messarà a Creta, la pianura di Epimenide, la pianura di Aletheia. La pianura fertile di Aghia Triada, di Festos, di Gortyna dalle iscrizioni che regolano le disposizioni circa il matrimonio e dove, come si racconta, Zeus amò Europa all’ombra di un platano. Tra le luci e le ombre della storia emerge il volto chiaroscurale della verità.

Io invece nacqui tra il fuoco e le ceneri tra le braccia di Partenope in equilibrio tra la vita e la morte. Ricorderete tutti le vicende di Pompei ed Ercolano. Luogo tellurico che fa sentire ogni giorno come se fosse sempre un ultimo giorno.

Il mio nome, “Ah , un nome dolcissimo ...piu’ dolce di una caramella”: Otacilia Secundilla.

La mia era una famiglia patrizia. Amavo mio padre: Marcus Otacilius Secundus, senatore con l’imperatore Domiziano. Mia madre ...non la ricordo…Un’altra al suo posto! Ma ogni essere umano ha diritto alla felicità.

Lo amavo tanto. Io ero bella dalla carnagione di luna. E questo amore paterno ho rispettato e ricambiato.

Dovete sapere, Signori e Signore, che eravamo proprietari di alcune campagne in Rudaie nei pressi di Lupiae, l’attuale Lecce per tanti anni protetta dall’imperatore Cesare Augusto.

Io avevo da quelle parti una residenza: i Messapi in origine erano giunti da Sparta, non erano facili, erano particolarmente forti come quegli indomiti guerrieri.

Mi piaceva respirare quell’aria tiepida e profumata di Mediterraneo, di erbe aromatiche, di cieli che mi sembravano infiniti. Mi piacevano le notti stellate. La luna vestiva la mia pelle e io mi nutrivo di felicità.

In quel tempo si usava divertirsi con le “venationes”, pensate un po’. Gladiatori e fiere. Nel Ventunesimo secolo diversi sono i giochi ma certo le efferattezze non mancano.

Ero molto vicina al cuore della gente di Rudiae, una famiglia per me. Quella famiglia di cui avevo lontana memoria. Qualche ricordo come strale nell’anima mia.

Trascorrevo il mio tempo in campagna, una campagna assolata in pieno concerto di cicale. Un frinire continuo e assordante. Mi tenevano però compagnia mentre assistevo talora senza parola alcuna dinanzi a quelle baruffe di villaggi vicini, talora baruffe cruente.

A Rudiae è nato nel 239 a .C. nel giorno 16 luglio Quinto Ennio, considerato (pensate un po’) il padre della letteratura latina. Egli possedeva “tre cuori” “tria corda”: greco, latino e osco. Nella seconda Guerra Punica conobbe Catone il censore che lo portò con sé a Roma. Negli Annales si legge “Nos sumus Romani qui fuimus ante Rudini”.

E visse la sua vecchiaia in miseria sperando in qualche sesterzio dovuto al suo essere scrittore e poeta. Fu sepolto nella tomba degli Scipioni, sulla antica via Appia.

Signori e Signore, certamente mi avete perdonato la digressione, ma era un atto dovuto ad Ennio e alla Messapia, questa terra ancor oggi custode dei segreti della storia e dei segreti della mia vita solitaria e talora austera. Una storia scritta sulle belle pietre morbide con le quali sono stati costruiti i sacri templi. Pietre che formano il selciato della strada che da un mare conduceva ad un altro mare.

Ho assistito a risse anche sanguinose, talora ci si faceva giustizia (se di giustizia possiamo parlare) da soli. Un giorno dovette intervenire il Senato di Roma e lo stesso imperatore Nerone. Tacito racconta che “ Le autorità dell’Urbe avevano decretato la chiusura dell’anfiteatro per 10 anni e lo scioglimento dei Collegia, le associazioni che promuovevano l’organizzazione dei giochi.”

Mi faceva male veder scorrere il sangue che bagnava le zolle di terra, di una terra fertile pur senza acque se non del sottosuolo.

La Puglia, da Nord a Sud, da Est a Ovest, era povera di fiumi….piccoli alvei simili a torrenti se pur affascinanti: l’Ofanto, il Fortore, il Galeso, il Chidro…. Ma tutto accade nel seno della madre terra. Apulia, forse (e dico forse) da Apluvia, terra senza pioggia. Gli Apuli: le genti che abitavano questa meravigliosa terra di misteri. Ma vi sono tante interpretazioni che lascio agli studiosi, agli archeologi.

Devo dirvi però, Signori e Signore, che a Rudiae c’era un piccolo laghetto invero una grande pozza (simili a quelle di Conversano) formata dalle acque piovane: un invaso utile per le campagne sempre assetate come lo ero io assetata d’amore.

Si a Rudiae ho sognato un amore, non posso tacere di questo sogno. A tratti mi è sembrato di intravedere il suo volto tra le nuvole cullate dal vento. Desideravo qualcuno che mi amasse in modo assoluto, non dico paterno, ma assoluto.

Nessun uomo ha colto il mio cuore. Nessuno aveva compreso.

Lupiae aveva l’anfiteatro e Rudiae ne era priva…e allora una notte, in una di quelle notti che soltanto la terra di Puglia può donare, allora come ora, mentre mi lasciavo accarezzare dal chiarore della luna vidi nel cielo tra le stelle disegnare dagli Dei un sogno. Era una immagine confusa che cominciava a disgelare il mio cuore.

Ripensai a lungo a quel sogno, a quella visione, a quella immagine e così per non soffrire dinanzi a tanto sangue sparso per i giochi (che dovrebbero essere giochi di pace e non atti violenti) decisi di far costruire l’Anfiteatro a Rudiae.

Mio padre, alla sua morte, mi aveva lasciato in eredità un notevole patrimonio. E allora una piccola luce si accese nella mia mente: Atena sarà intervenuta insieme a Cipride sovrana. L’intuizione e l’amore, quell’amore che avrei voluto ricevere ma che io potevo donare a quella piccola città.

Decisi di far costruire l’Anfiteatro in onore di mio padre. Non era molto importante per me il denaro lasciatomi, era importante solo l’amore verso mio padre.

Nei primi decenni del II secolo misi a disposizione tutte le risorse di cui potevo disporre. Feci venire i muratori dalla mia terra d’origine, la Campania felix. Fu costruito un Anfiteatro più piccolo con un asse di 90 invece dei 110 di quello lupiense, più piccolo ma molto armonioso.

Le maestranze locali, abilissime nel tagliare il morbido calcare nelle vicine cave, lavorarono giorno e notte e Rudiae ebbe il suo Anfiteatro.

Per me fu una grande felicità assistere al primo gioco. Ero lì a guardare tra le radici dell’ulivo più vecchio con il cuore che mi batteva più forte lo svolgersi dei giochi.

Un sogno dipinto nel cielo si era realizzato. Avevo reso onore a mio padre e io avevo espresso il mio amore per la gente di Rudiae e la meravigliosa Messapia.

Questa storia di quasi duemila anni fa è emersa dagli scavi archeologici condotti con la direzione scientifica di Francesco D’Andria, che ringrazio per aver strappato all’oblio il mio nome inciso sui frammenti di marmo di una epigrafe in latino ai piedi dell’aditus meridionale dell’Anfiteatro. E’ così che il seme di un antico amore può dare i suoi frutti. (Santa Fizzarotti Selvaggi)

BIBLIOGRAFIA

Francesco D'Andria, Messapia illustrata. Immagini, racconti, attualità del Salento antico, Galatina, Congedo editore 2019, pp. 90-92,
Luigi Pirandello, Maschere, a cura di Italo Zorzi e Maria Argenziano, Newton Compton Editori, 2007
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