Quale cultura in un tempo “dominato“ da Re Covid-19?

di SANTA FIZZAROTTI SELVAGGI - Maritain ha scritto che è necessario «fare in modo che la terra sia il regno degli uomini…»: in questa affermazione c’è il frutto di un’intensa riflessione sull’opportunità, ormai inderogabile, di lavorare per l’uomo, inteso nella sua dimensione di persona, nella dinamicità del suo essere e della sua stessa identità. Il pensiero di Maritain è oggi più che mai attuale all’interno delle varie problematiche culturali e sociali. È soltanto attraverso la conoscenza, il processo culturale – l’incivilimento di cui parla Freud – che l’uomo, l’“essere parlante”, si distingue dagli altri esseri viventi. Si chiarisce pertanto che l’idea di cultura contempla l’“intelligere” quale strumento critico di continua revisione di se stessi. La ragione si articola sul concetto di coscienza quale consapevolezza sempre parziale di sensazioni e di percezioni provenienti dal mondo esterno in stretta relazione con le risonanze presenti nel mondo interno di ciascun essere umano.

Il Covid-19 ha aperto la voragine della fragilità, risonanze che scaturiscono da arcaiche percezioni, da lontanissime indistinte emozioni di cui l’essere umano è “impregnato” sin dall’alba dei secoli, dalla vita prenatale. Ci si è trovati improvvisamente a dover fare i conti con una profonda  ferita narcisistica che ha lacerato profondamente  il sentimento di onnipotenza di cui si è nutrita  la cosiddetta civiltà alla deriva di un mondo virtuale fondato sulle immagini di paradisi artificiali facilitanti mercificazioni e consumismo, oltre che il conseguente consumo di violenza .

La cultura è, secondo la nostra ottica, lo svelamento pieno dell’essere nella sua più profonda intimità, il processo dinamico secondo il quale l’essere si manifesta nella sua realizzazione individuale e storica: la cultura è sostanza di pensiero senza orizzonti e gerarchie. Non è globalizzazione e asservimento al pensiero unico o ancor di più binario , anticamera se non proprio ingresso di Madonna Tirannia sotto mentite spoglie.

Ecco il Covid-19 è un prodotto della globalizzazione, come leggiamo in un articolo di Jean- Luc Nancy (20 / 3/2020): un prodotto che ha fermato il tempo, lo scorrere del tempo, il divenire delle cose e la cultura  è apparsa improvvisamente persa nel gran mare di discorsi mediatici, impoverita di sostanza. Il Virus  è innanzitutto entrato nella nostra mente , dominando la nostra vita, limitando per alcuni aspetti gli orizzonti evidenziando il senso di quella impotenza che da sempre ci accompagna e che nascondiamo a noi stessi. Il che appare assai pericoloso perché deprime sempre più i nostri poteri di difesa e resilienza, annienta il pensiero critico e costruttivo, compresa  la capacità dell’individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. All’inizio, devo confessare , percepii subito il pericolo ma  una  collega, forse in modo poco attento, mi tacciò di catastrofismo. E invece un cambiamento epocale, almeno al momento , si è verificato. A volte la saccenteria psicologistica  obnubila la visione della realtà che certo non deriva esclusivamente dalla presenza di un Virus , in ogni caso sempre pericoloso ma come tanti altri virus.

L’universo umano per un verso si è ritrovato in una landa ingrata “dove si trovano strage e livore e di altri lutti le stirpi”» e per l’altro in un  contesto storico e sociale  in cui il dolore sembra avere un passo più lungo della speranza. Oggi gli aspetti problematici, quali espressione di un’epoca di angoscia, emergono  disarticolando linguaggi, codici, culture, comportamenti. Con Madre Natura urge rispetto : violarla significa poi renderla Matrigna nella sua accezione più inquietante. Ma tra i vari aspetti uno in modo particolare ha sollecitato in me considerazioni come per esempio quella di percepire  l’individuo inizialmente sano, la cui armonia viene turbata da «un agente esterno» “ invisibile “ che disturba le difese del suo corpo e della sua mente. La malattia  è divenuta subito l’equazione del “danno ” e delle difese del corpo: un oggetto esterno “cattivo” che devasta un soggetto “buono”. Probabilmente la magia primitiva, l’idea dello stregone, in grado di curare e di guarire, scaturiscono da questa arcaica convinzione. Di qui l’attribuzione di Eroi al personale medico e infermieristico che per statuto deontologico e giuramento di Ippocrate e per missione fanno questo da sempre..  M. Balint, non a caso in relazione al  Paziente e alla Malattia, spesso fa riferimento alla “funzione apostolica” del medico , una funzione che ha bel altra valenza in riferimento a quella dello stregone e dell’eroe .

La Scienza Medica richiede, quasi per sua stessa natura,  radicandosi nell’ humanitas comportamenti che prescindono da qualsiasi agente o virus . Tanti articoli ho letto in questi giorni sulle varie prospettive di cura di pazienti che hanno incontrato (ahimè) Re Covid 19.  Pazienti avanti con gli anni e pazienti più giovani: ma di che cosa si sta in realtà discettando? Su chi ha diritto di vivere e chi no? Ecco , la cultura nella sua più ampia accezione ha perso ogni sostanza . La prima regola , infatti , è che il medico e il personale paramedico percepiscano di non essere soltanto dinanzi ad un virus , ad un organo, e cioè ad una parte del paziente, bensì dinanzi ad una persona che soffre. Winnicott afferma che riconoscere il malato pone «nel ruolo di chi dà una risposta al bisogno, cioè di adattamento, di sollecitudine e di affidabilità; di cura nel senso di prendersi cura». Prendersi cura dell’Altro è anche in parte prendersi cura di Sé. In Winnicott si legge: «Abbiamo bisogno dei nostri pazienti tanto quanto loro hanno bisogno di noi». Fondamentale ci sembra, da parte del medico, la comprensione non solo della patologia del paziente, ma anche la dinamica sottostante, i conflitti e i problemi. Si tratta, infatti, della totalità del paziente. Un paziente che è persona sempre, anche al temine della sua esistenza.  Nel delicato rapporto che si stabilisce tra medico, infermiere e paziente, oltre che personale volontario, emergono davvero  problematiche che rendono il rapporto complesso soprattutto in condizioni di una emergenza sanitaria come quella che stiamo esperendo. 

Ma proprio questa “ difficile e infelice “ condizione può’ trasformarsi in esperienza estremamente costruttiva per tutti, nonché fondamentale e per le Istituzioni (spesso dimentiche di principi e assunti)  e per una diversa prospettiva del vivere una vita (talora alla deriva di una straniante disidentita’) e per le strutture sanitarie in fondo quasi obbligate ora ad una riflessione sul cambiamento. Sia chiaro a tutti che intervenire  sul paziente significa entrare in relazione innanzitutto con se stessi, con le proprie paure, il proprio narcisismo, le proprie regressioni: insomma con il proprio Sé. Nei curricula formativi universitari si pensi seriamente alla formazione del medico e del personale tutto. L’attraversamento del dolore, in tutte le sue sfumature e in tutti i suoi piani, per quanto possa costarci, è l’unico strumento per avvicinarsi realmente ed empaticamente al paziente come persona. 

Pontalis non a caso scrive che il dolore “ci sveglia” e “sveglia” il corpo del paziente. Il dolore, dunque, ci pone a contatto con l’originaria lacerazione dell’essere in quanto tale: in primis del nostro essere. Ma questo virus  dal nome Covid 19 , da tempo mi par di comprendere in giro dalle nostre parti, dovrebbe poter svegliare le coscienze  di tutti al rispetto della vita di tutti. E forse poter anche riaprire i luoghi di culto  (di qualsiasi confessione religiosa ) affinché coloro che al Signore degli Universi si affidano possano ritornare ( con le dovute cautele ovviamente ) ad essere una Comunità orante  alla ricerca dell'individualità perduta in grado ancora di sentire in autonomia  e sostanza di pensiero .

(Alessandro Argentina "Senilità!"- Disegno acquerellato 30x40, realizzato nel 1997 dall'artista ad Ambelonas-Corfù)   
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