“Artusi, il bello e il buono”. Intervista a Ketty Magni
FRANCESCO GRECO - MILANO. “Amo il bello e il buono, ovunque si trovino…”. Escatologico come un “manifesto”, un’epigrafe: è Pellegrino Artusi, che alla bontà e alla bellezza si dedicò per tutta la sua lunga vita: leggenda vuole che, sorpreso al ristorante da cospirazioni e disordini sociali, imperturbabile, continuò a mangiare la sua pasta. E quindi fu pure filosofo.
E’ uscito a marzo, in piena pandemia, il nuovo romanzo di Ketty Magni, la “scrittrice dal taglio liquido”, unica nel panorama italico delle lettere, con un’impronta originale e personale, fascinosa.
E come gli altri della quadrilogia storica culinaria (“Il Principe dei cuochi”, 2011, “Il cuoco del Papa”, 2013, “Arcimboldo, gustose passioni”, 2015 e “Rossini, la musica del cibo”, 2017), anche questo fa parte della stessa collana per i tipi di Cairo Editore.
E anche questo, dalla veste grafica elegante (pp. 254, euro 16,00, dedicato alla madre Paola e al padre Carlo, pioniere dell’industria degli apparecchi radiotelevisivi nell’Italia post-bellica, la migliore), è ambientato nel mondo dei grandi cuochi che hanno impresso un marchio indelebile al loro tempo, riuscendo ad arrivare sino a noi, che guardiamo a “Masterchef” e ai “5 ristoranti” di Alessandro Borghese come se fossero delle novità, e invece il passato che indaga Ketty è più ricco di personaggi, dinamiche storiche, più gustoso, contaminato, innovativo e intrigante di quel che le massaie da take away cucinano alla “Prova del cuoco”, anche oggi che saccheggiano lievito e farina per fare il pane pro domo loro.
“Artusi. Il bello e il buono” uscirà ufficialmente il 14 maggio, ma già sono in calendario presentazioni via Instagram, Skype, ecc. L’Italia riparte dalla cultura, la bellezza, il buon cibo: i lettori e le lettrici di Ketty, numerosissimi (tiene anche corsi di scrittura creativa molto seguiti) potranno gustarsi il nuovo, appassionato lavoro da cui, come sempre , si esce emozionati e arricchiti, e anche “sazi”, poiché in appendice vi sono le semplici e gustose ricette del Maestro, vere prelibatezze (l’idea di raccoglierle pare fu della governante toscana, Maria Sabatini, detta “Marietta”, Artusi era scettico: veniva da due insuccessi, su Leopardi e Giusti e gli editori lo fecero penare): dal maiale arrostito nel latte ai crostini di fegatini di pollo, sino alla zuppa con le cipolle alla francese, incluso il risotto alla milanese, di cui il Artusi dà tre versioni “senza la pretensione di prender la mano ai cuochi ambrosiani, dotti e ingegnosi in questa materia”, sino alla “bavarese lombarda”.
Artusi veniva dal commercio (di famiglia) delle sete e viaggiò molto. E fermiamoci qui: a questo punto i lettori sono abbastanza incuriositi e vorrebbero sapere le altre per poterle preparare, costretti dal virus ai domiciliari, a variare il menù quotidiano, ma anche per sapere che qb se lo inventò Artusi (“per lui il cibo era l’essenza della vita stessa”), perché si dice Porcus Trojanus, come ci si comporta con le uova, il latte, cosa sono i principii…
Nel 2021 saranno i 110 anni dalla morte, prepariamoci a festeggiare.
Domanda: Chi era Artusi e cos’ha scoperto su di lui?
Risposta: "Fu un appassionato gastronomo, nato a Forlimpopoli, nell’allora Stato Pontificio, e poi trasferitosi a Firenze, dove si dedicò a coltivare la sua passione culinaria. Qui scrisse e pubblicò “La Scienza in Cucina e l’Arte di mangiar bene”, un manuale pratico per le famiglie contenente ben 790 ricette. In poco tempo, le edizioni si susseguirono sempre più eleganti e corrette, a testimoniare il valore del testo e il grande apprezzamento del pubblico. Ben alimentandosi, Artusi morì nel 1911, alla veneranda età di 91 anni".
D. Quale fu la sua concezione di cucina e di cibo nel tempo che visse, non molto lontano dal nostro?
R. "Artusi riteneva la cucina un’arte inesauribile, “una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere…”. Occorreva scegliere ottima materia prima, unire tanta passione, pratica e impegno. Si augurava di riabilitare il senso del gusto, senza vergognarsi di soddisfarlo onestamente.
Dispensava consigli utili, basandosi su presupposti scientifici. Avvertire il bisogno di cibo era per lui un indizio di buona salute e pronostico di lunga vita.
“Il gelato non nuoce alla fine del pranzo, anzi giova, perché richiama al ventricolo il calore opportuno a ben digerire.” L’illustre poeta Olindo Guerrini, bibliotecario dell’Università di Bologna, nonché appassionato di bicicletta e capo console del Touring Club dall’anno 1897, suggeriva riferimenti storici culinari, che l’amico Artusi riportava nel suo manuale. La “Zuppa alla Stefani” è una ricetta del cuoco del Duca di Mantova alla metà del 1600, epoca nella quale si faceva in cucina grande uso e abuso di tutti gli odori e sapori. Lo zucchero e la cannella si mettevano ovunque: nel brodo, nel lesso e nell’arrosto. Tuttavia, Artusi era consapevole che i gusti nel tempo potevano modificarsi e nel suo manuale racconta come certe signore, sedute alla sua tavola, facessero delle boccacce da spaventare, solo per un po’ di odore di noce moscata".
D. Aneddoti curiosi della sua biografia?
R. "La sua vita è ricca di aneddoti, che non manca di raccontare nel manuale artusiano. Significativo è il soprannome di “Mangiamaccheroni”, che gli era stato affibbiato a Bologna, nella trattoria dei “Tre Re”, perché nel sentir parlare di cospirazioni in un luogo pubblico, lui rimase impassibile e continuò a mangiare il suo bel piatto di maccheroni che aveva davanti, senza farsi distrarre".
D. Qual è il suo metodo di lavoro quando affronta un personaggio storico? Prima si documenta e poi si mette a scrivere?
R. "Scrivere per me è una tendenza congenita per pormi in relazione con i lettori. Procedo con un metodo di ricerca rigoroso nella ricostruzione degli accadimenti, una fase che dura diversi mesi. Tengo a precisare che mi occupo in prima persona di questo lavoro e non dispongo di collaboratori esterni. Innanzitutto, seleziono accuratamente i libri storici, li studio, sottolineo gli argomenti che reputo degni di nota. Poi, procedo alla fase di stesura. Scrivo biografie, dunque rielaboro la materia documentata e scavo nell’intimo del personaggio, riportando con esattezza i fatti storici, le date, e gli elementi culinari. Quindi, lascio sedimentare il mio manoscritto e attuo la revisione, cercando di equilibrare l’aspetto romanzato con il discorso storico culinario, le parti narrate con i dialoghi. La prosa deve risultare fluida e armonica. Ritengo indispensabile che la tensione narrativa tenga il lettore con il fiato sospeso dall’inizio alla fine del libro. Questo è il mio principale compito di autrice con l’obiettivo della condivisione".
E noi siamo felici di condividere, like come si dice al tempo dei social e della cucina-spettacolo: senza odori, sapori, odori, narrazioni, semantica, identità, territorio, memoria, globale…
© Riproduzione riservata