Son tornato a sentire
Il garrire delle rondini
sulle nostre megalopoli
a motori spenti.
Sorprese, più di noi,
difronte al timore di non avere
paure,
nel rispetto.
Se solo potessimo
parlarci
o almeno capirci
sarebbe tutto più
bello.
Enzo Quarto ( Primavera 2020) 4 maggio
LIVALCA - Quando Santa Fizzarotti Selvaggi alcuni giorni fa chiudendo una telefonata mi ha detto: «Ricordati di Delre di Mola» ho avuto un ‘sussulto’ di quelli che alla mia età possono risultare fatali. Per me Mola di Bari è sempre la Manhattan del territorio (Vincenzo autore del ‘Il mondo nuovo’ di Levante sei contento?) e mi sono ricordato di questo talentuoso crooner che vedremo di mandare il prossimo anno a Sanremo, magari con un testo di Enzo Quarto. Quarto, un giornalista tarantino per nascita che conosco da sempre in Rai, nelle stesse ore mi ha fatto giungere su WA i versi di “Primavera 2020”, che mi hanno affascinato per profondità e fecondo spirito caritatevole (Certo se a declamarli ci fosse la voce inconfondibile di Sua Maestà Vito Signorile, il poliedrico direttore artistico del Nuovo Teatro Abeliano, sarebbe quel tocco di classe che si chiama talento e che ti permette di rendere una pietanza più gustosa).
Ho telefonato alla poetessa-scrittrice Grazia Stella Elia, regina incontrastata di Trinitapoli, per avere una copia della recensione che fece, su mio invito, al libro di Quarto di cui vi parlerò fra poco. Scriveva colei che è nota nel mondo per il «Dizionario del dialetto di Trinitapoli» (Levante, Bari) “una poesia dalla cifra alta, senza dubbio; una poesia che diventa pedagogia in quanto cristiano insegnamento alla comunicazione e all’empatia, in chiara consonanza con il pensiero di Papa Francesco”. Anni fa ho contattato Quarto per le uscite dei libri di Vito Maurogiovanni, cui diede un supporto discreto e autorevole. Enzo con me fu gentilissimo e io, come ho sempre fatto memore dei consigli paterni, gli feci presente che noi accompagnavamo l’autore, senza avere mai la pretesa di ‘precederlo’.
Il rapporto instaurato fu magnifico e, nonostante l’abbandono di Vito per chiamata divina, continua il legame Quarto Maurogiovanni, in forme sempre affettive sul capace e indistruttibile asse Cielo-Terra. Un paio di anni fa Quarto ha pubblicato il libro di cui sopra, un testo di poesie bilingue (traduzione in serbo del prolifico e famoso Dragan Mraovic) dal titolo ‘Je suis Janette’ (Secop-Corato), da lui stesso definito canzoniere. Questo libro aveva una dedica che Tolstoi ha ben rappresentato:« La sposa è per il buon consiglio; la suocera per la buona accoglienza; ma niente vale una dolce mamma», ma che Enzo ha reso sublime con questi versi che cito a memoria «A mia madre»: “Se avessi assaggiato/ la tua ultima lacrima/avrei assaporato alba/ e tramonto insieme./ Già saperlo/mi consola”. Impossibile commentare queste parole, se vi fate guidare dal vostro istinto mentre leggete…i termini-sentimenti troveranno la loro giusta collocazione in maniera autonoma.
Torniamo al Maestro Beppe Delre, cantante, compositore, musicista di formazione classica, poi convertitosi al Jazz, tanto è vero che ha insegnato presso il Conservatorio di Bari ‘Canto Jazz’. Penso che due lustri fa mi parlò di lui proprio il molese Sabino, autore con la sorella Isa, di un poderoso volume ‘Rassegna antologica’ dedicata alla sua città (Levante, Bari), perché era in uscita un disco in cui l’artista si cimentava come cantautore, il titolo “Domani”. La vita è fatta di attimi, occasioni, situazioni e quando ti trovi al cospetto di segnali che portano tutti alla meta, ma seguendo strade diverse, scagli la prima pietra chi è convinto di aver effettuato il percorso giusto…un Santo forse, ma i Santi non sono la regola.
Lo scorso anno ho ascoltato Delre in una originale interpretazione di ‘My way’, con un arrangiamento che mi è parso adatto al contesto, ma ho immaginato il nostro affabile cantante accompagnato da un’orchestra completa: verrebbe fuori una memorabile interpretazione da brividi. A conferma di ciò, mi dicono coloro che sanno di musica, che il dotato cantante confidenziale ha tenuto concerti in tutta Europa, dove è molto più conosciuto che in Italia. Pare che un altro cavallo di battaglia sia ‘Night and day’, per cui mi è venuta una di quelle idee ‘malsane’ solo per chi è in mala fede, ma che in realtà sono radicate sulla terra e che hanno il pregio di aiutarci a sognare. Tutti conoscono Maurice Ravel ma, tolto il troppo esaltato «Boléro», non penso che qualcuno ricordi il titolo di un’altra opera del musicista francese, nato a Ciboure cittadina dei Pirenei, contemporaneo di Debussy (altro livello, affermazione di un ‘profano’!), che aveva una madre basca, per cui volle ispirarsi alla danza spagnola per la sua opera. Nato come balletto il brano, con il trascorrere degli anni, è diventato un motivo di culto in ogni concerto.
Non discuto la pur discutibile tonalità in do maggiore, ma il testo ritengo sia appena sufficiente.
Recentemente Delre, con il virtuoso chitarrista Egidio Marchitelli, ha varato il progetto « Viviamo d’istanti», che è stato un notevole successo, ma di cui so poco perché rete, youtube e social sono cose fuori dalla mia portata. Io vivo il presente, l’istante, ma prendo le distanze da tutto ciò che si trova su fb ( fa niente se forse volevo dire altra cosa, facendo una figura ‘barbina’, ma i miei 389 lettori - benvenuto Michele Cristallo - conoscono i miei limiti-pregi).
La mia idea, sorretta anche dal fatto che Quarto ha scritto il testo di cinque opere (‘carezze’ autentiche) musicate dal maestro Giovanni Tamborrino, è quella di unire le forze di un ragazzo del ‘56 di Taranto, con uno del ’71 di Mola, per varare una canzone poetica ma semplice, intelligente ma non impegnata, musicalmente valida ma non ricercata, da inviare al Festival di Sanremo del prossimo anno.
Il riferimento deve essere una canzone del 1969, che porta la firma di Celentano, Beretta, Del Prete, dal titolo ‘Storia d’amore’ ( che emulò il successo del più famoso ‘Azzurro’, firmato da Pallavicini e Conte l’anno precedente) e di cui mi permetto di suggerire un titolo ‘Storia d’amore 2021’ e magari i primi due versi ‘Non sono Beppe, non sono Enzo, non sono Gianni/ ma sono cavalli del re da quattro anni/’.
Delre nel 1969 aveva due anni, Quarto 13 anni e Livalca un lustro in più e aveva sconfitto il suo ‘virus’, non ancora monarchico. Qualora riteniate che il mio ‘sclerotico’ disegno possa partorire una piccola concretezza ci vediamo il 16 luglio da Santa, altrimenti vorrà dire che tornerò ad occuparmi della mitica ‘Cantata per una città’ di Vito Maurogiovanni, per cui scrissi una breve presentazione, in due ore, una sera dei primi giorni di ottobre 2002 ( quella del vip ufficiale, non barese, incaricato dall’autore, nonostante una logorante ed estenuante attesa, non è mai pervenuta…so, per ammissione di Vito, che si è non scusato ma lamentato dell’affronto subito) su ‘ingiunzione’dell’autore del futuro leggendario ‘Come eravamo’ e di Mario Cavalli.
Non mi piange, ma mi scoppia letteralmente il cuore nel constatare che quello da me denunciato nel terzo periodo della prima pagina, dopo 18 anni, disturba ancora i miei giorni e le mie notti ‘a dispetto del nostro essere cittadini esemplari’ come scrissi allora e confermo ora.
Forse Fabrizio De Andrè non sarebbe diventato l’artista osannato da tutti se nel 1967 Mina, coadiuvata da Augusto Martelli che rielaborò con un arrangiamento sontuoso il pezzo, non avesse inciso ‘La canzone di Marinella’, uscita in silenzio tre anni prima e che il sottoscritto apprezzava in compagnia di non molti ragazzi dell’epoca. La musica della canzone era del maestro Gian Piero Reverberi, pensate un po’ si trattava di un bolero dal ritmo volutamente adagio, asciutto, oserei dire insignificante, che accompagnava un testo normale“ e come tutte le più belle cose/ vivesti solo un giorno come le rose/ma il vento che la vide così bella/ dal fiume la porto sopra una stella /, versi in cui è difficile riscontrare una magnificenza poetica di alto livello, ma comprensibili da tutti per l’umiltà con cui esponevano un vero fattaccio di cronaca.
Questo volevo trasmettere agli amici Enzo Quarto e Beppe Delre per ‘ratificare’ che, spesso, la felicità non sappiamo coglierla nel presente, ma, appena un ‘evento’ imprevedibile ci costringe a riflettere, constatiamo che faceva parte della nostra vita. La possibile-probabile nostra canzone non deve far ‘Rumore’ a Sanremo, ma invitare chi ascolta a considerare che ci accorgiamo dell’ospite denominato felicità, solo quando decide di spostarsi da un’altra parte.
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Cultura e Spettacoli