Particolari insegnamenti del Covid-19


SANTA FIZZAROTTI SELVAGGI - Siamo nella Fase 2, verso una fase 3, di un periodo claustrale dovuto ad un invisibile organismo dal nome altisonante: Coronavirus, per gli amici detto Covid-19. Un infinitamente piccolo virus che oltre  a nutrirsi del nostro corpo ha avuto il potere di entrare nella nostra mente. Lo hanno inserito nei nostri pensieri in modo che ci tenesse una inquietante compagnia.

Ho letto da qualche parte che siamo circondati da virus e sembra che in noi  ve ne siano alcuni latenti. Questo virus, dal nome altisonante, è giunto dall’esterno, da un paese lontano, eppur così vicino da diffonderlo massivamente. Il mondo è diventato davvero un granello di sabbia se in così poco tempo si è ritrovato con un ospite misterioso: un Nemico in casa.

Un senso di estraneità ha colto gran parte degli esseri umani rendendo finanche l’atmosfera poco respirabile. I cuccioli  escono senza museruola, ma a noi esseri umani necessita uscire con la mascherina. Sembra quasi che tutta l’aria sia infetta e abitata dal virus. Alcuni indossano la maschera naturale che  però certo non protegge da sua maestà Covid -19. Doppia maschera dunque : nessun sorriso ipocrita sulle labbra. Notizie false, dette con anglicismo a me non gradito, fake news, dati allarmanti, parole rasserenanti, tante persone defunte dopo lungo calvario in terapia intensiva la cui dipartita “sembra" essere stata causata dal virus protagonista del 2020, lutti non elaborati a causa dei mancati riti di commiato, persone in isolamento, coprifuoco diurno e notturno, speranze deluse, speranza riaccese, persone avanti con gli anni (molti nel corso della vita  non ci arrivano) in stato di tensione con rischio di ulteriore marginalizzazione come se la fragilità non appartenesse anche a tante persone più giovani, case di riposo contagiate, il lavoro in ginocchio e per molti perso, depressioni e anche qualche suicidio come estrema risoluzione del problema, violenze famigliari, impossibilità a stare con se stessi. E in tutto questo scenario apocalittico in cui il sole dell’estate invita a godere dei suoi raggi per altro salutari c’è anche chi  attribuisce alle restrizioni il grave disagio dei bambini impediti di uscire e giocare liberamente. Certo il problema esiste, ma esistono anche altre forme di gioco spesso dimenticate. 

In questo lungo maggese che avrebbe dovuto produrre un  ripensamento dell’essere umano su tanti aspetti della sua esistenza non sempre si è verificata una rigenerazione come accade per Madre Terra. A causa del lavoro in grave crisi alcuni hanno fatto emergere gli aspetti più e avidi di sé, altri  hanno toccato con mano che poca cosa siamo nei confronti di tanti eventi  improvvisi. I luoghi di culto  sono rimasti  chiusi per tanto tempo e il Signore di tutti gli Universi è stato invocato in tutta solitudine. La comunità orante  è stata dispersa. Una sorta di diaspora. Sono state consentite le corse, le toilette per gli  animali di piccola taglia e altro. Tanti, invero, sono fuggiti per troppo tempo da se stessi dimenticando di esistere avvalendosi di un  frenetico attivismo,  immemori che dall’incontro dell’uomo con se stesso sono scaturite, attraverso i secoli, le forze più fertili e immaginative della nostra cultura.

Con Andreas Giannakoulas ebbi a scrivere  che “con il testo L’interpretazione dei sogni Freud, attribuendo all’individuo la proprietà esclusiva del suo sogno, al principio del secolo ventesimo, cambiò profondamente la qualità della consapevolezza umana con l’inevitabile sofferenza inclusa nel senso dell’esistenza (il sé) e segnò il principio della vera individualizzazione.” Abbiamo smesso di sognare sommersi e divorati dalle immagini, lasciando che altri sognassero per noi mondi diversi  talora  da proporre  con varie strategie di mercato:  ma è  solo nello scenario intimo ed esclusivo del sogno che l’uomo ritrova le figure, le immagini, gli eventi e i simboli che hanno costituito i temi intorno ai quali si struttura  il sé (la persona).  I bambini sono, insieme alle persone non più giovani, quelli che hanno perso ogni sogno e tutto ciò è emerso durante questo non facile periodo. L’immaginazione è l’elaborazione di una fantasia corporea. E quando questa fantasia per tante variabili si sfalda anche la capacità di giocare si vanifica lasciando spazio solo al mondo virtuale  e alla noia che fatalmente ne consegue.

L’originaria unità madre-bambino – l’invisibile unità  è il un punto di partenza. La differenziazione poi  crea lo spazio: uno spazio che consente  poi di cercare quella unità perduta attraverso il gioco sì da rendere visibile il déja vu, diventato invisibile. La creatività è quella modalità che porta ad esistere parti di sé : uno scambio tra il fuori e il dentro.  L’area dei fenomeni transizionali, all’interno della quale  si struttura  il gioco “costituisce uno spazio psichico proprio tra il fuori e il dentro, spazio potenziale, dove Winnicott rintraccia l’origine della creatività.

Nel suo saggio del 1908   Sogno di un poeta ad occhi aperti, Freud mette in risalto la similarità poeta – colui che sogna ad occhi aperti – ed il bambino che gioca; emerge, così, una continuità tra le attività creative ed il normale funzionamento psichico della vita quotidiana.   In questa emergenza sanitaria si è potuto notare la perdita del gioco, quel gioco manuale attraverso il quale sia il bambino che l’adulto, a livelli diversi, comunicano tutto ciò che non può essere detto altrimenti. Non sempre, infatti, si possono trovare le parole per raccontare il proprio vissuto: il gioco, invece, spesso consente di riformulare insieme  il problema e disvelarne il nucleo originario. Ma, in ogni caso, la questione di fondo rimane sempre quella di imparare a vivere giocando creativamente per conoscere se stessi e il mondo in modo libero e dinamico.  Fondamentale si è’ rivelato  “l’uso del gioco” in una situazione come quella che abbiamo drammaticamente esperito e che non sembra ancora definitivamente terminata: il bambino necessita della mamma perché possa parlare così come necessita della mamma ( o figura di accudimento e riferimento) con la quale  segno dopo segno possa costruire una scena esterna che finisce per trasformarsi in una scena interiore, del tutto individuale, all’interno della quale possano essere giocate e conosciute le sofferenze, riconoscendo, così, se stessi, quali protagonisti, più o meno liberi, della realtà. (in La prova del fuoco, creatività e futuro,  a cura di S. Fizzarotti Selvaggi e F.P. Minerva, Schena editore, 2001).

Come poter pensare di sostituire gli “scarabocchi” che non sono mai privi di significato con il mondo dei tablet  o  con delega ai pur preziosi nonni? I bambini vogliono i loro genitori senza surrogati. E vogliono giocare con loro. Gli “scarabocchi” vengono rivestiti di simboli e di parole, mentre rappresentano la prima, diretta e “storica” esperienza che il bambino fa di sé nel mondo, come soggetto nel mondo e autore di se stesso... Ed è così che il bambino comincia a  dare un senso a quel primitivo segno che altri non è se non il primo rappresentante del suo “io”. In tal senso il “gioco” funziona da cerniera tra mondo interno e mondo esterno: lo spazio onirico, lo spazio immaginario trovano nel “gesto” vero e concreto  del giocare il sentiero creativo per comunicare nuclei psichici molto profondi. (Cfr. Ibidem)

Tutto questo, tra deleghe varie per motivi più disparati  ai nonni, ai tablet, alla televisione , agli Smart phone , al mondo virtuale è andato in frantumi. Gli insegnamenti a distanza, necessari in momenti difficili, non possono se non essere assolutamente transitori perché, Signori e Signore, il Sé necessita di un Altro in presenza reale e non in presenza virtuale, onde essere e divenire se stesso. Urge ora riformulare non solo l’economia  per evitare tragedie epocali, ma il mondo ricentralizzando gli affetti, il gioco creativo funzionale allo sviluppo del pensiero, le relazioni, dando valore al tempo dilatandolo e non contraendolo con la folle corsa verso il nulla, verso  la morte, purificandoci dall’eccesso di consumismo e di alienazione  in festività che hanno invece ben altra sacralità. E tutto questo l’altisonante Covid-19 ( non certo ospite gradito, costruito o no in laboratorio poco importa per il nostro discorso )  ha tentato di insegnarcelo.

(ANGELA LAZAZZERA "Il telefono senza filo"- Olio su tela 100x31)
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