Piano Casa, Casili (M5S): "Il rilancio dell’edilizia non passa da leggi regionali di sicura illegittimità, ma presuppone regole certe"


BARI - "La sentenza n. 70 del 24 aprile 2020, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune norme regionali sul Piano Casa, ha aperto un ampio dibattito sul tema. Le dichiarazioni di questi giorni però si fondano su una ricostruzione parziale degli istituti sottesi alla pronuncia e dell’iter normativo che ha portato ad approvare la norma oggi dichiarata incostituzionale. Per questo ritengo necessario ripercorrere tutti i passaggi. Il Piano Casa è stato approvato con la legge regionale del 30/7/2009, in seguito all’accordo del 1°aprile 2009 in conferenza unificata Stato-Regioni-Comuni “Misure per il rilancio dell’economia attraverso l’attività edilizia”. 
La legge regionale è stata oggetto nel tempo di interventi finalizzati sia a prorogarne il termine di efficacia, sia ad ampliare le possibilità originariamente concesse. In particolare con l’art. 2 della legge regionale n. 59 del 17 dicembre 2018 è stato previsto che la demolizione e ricostruzione di uno o più volumi potesse essere realizzata mediante ricostruzione con diversa soluzione planovolumetrica ovvero con diverse dislocazioni del volume dell’area all’interno dell’area di pertinenza. La norma è stata impugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri innanzi alla Corte Costituzione, contestandone anche la natura retroattiva, per questo la Regione Puglia è nuovamente intervenuta sulla questione con l’art.7 della legge regionale 5/2019, riproducendo sostanzialmente le disposizioni dell’art. 2 della legge regionale 59/2018, senza però attribuire alla norma natura interpretativa, ma esclusivamente innovativa. 

Anche questa norma è stata impugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri davanti alla Corte Costituzionale. Al momento dell’approvazione di entrambi gli articoli appena citati ho segnalato la sicura illegittimità costituzionale della previsione poiché contrastante con le definizioni delle tipologie di intervento edilizio contenute nel DPR 380/2001, che per la demolizione e ricostruzione impone il rispetto di sagoma e volume dell’edificio preesistente. Una imposizione funzionale a rendere chiara la distinzione tra nuova edificazione e ricostruzione, beneficiando la seconda fattispecie della possibilità di essere realizzata mediante SCIA e soprattutto di sottrarsi al rispetto delle norme sulle distanze. A questo punto voglio precisare che l’intervento del decreto cd. 

Sblocca Cantieri non ha fatto altro che sancire quanto già stabilito con riferimento al testo previgente dalla giurisprudenza, che nella ipotesi di demolizione e ricostruzione, anche escludendo il superato criterio della fedele ricostruzione, ha chiarito che la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, debba conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente. Infatti sul punto anche la circolare 7 agosto 2003 n. 4174 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, intitolata "Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 301. 

Chiarimenti interpretativi in ordine alla inclusione dell'intervento di demolizione e ricostruzione nella categoria della ristrutturazione edilizia" emanata a seguito dell’approvazione del d.l. 69/2013, che eliminava il riferimento alla “sagoma”, afferma espressamente: "non si ritiene che l'esclusione di tale riferimento possa consentire la ricostruzione dell'edificio in altro sito, ovvero posizionarlo all'interno dello stesso lotto in maniera del tutto discrezionale. La prima ipotesi è esclusa dal fatto che, comunque, si tratta di un intervento incluso nelle categorie del recupero, per cui una localizzazione in altro ambito risulterebbe palesemente in contrasto con tale obiettivo”. Ciò perché lo spostamento della collocazione del manufatto costituisce una nuova costruzione e non un intervento sull'esistente. È quindi in tale contesto normativo che si è espressa la Corte Costituzionale con una pronuncia dal contenuto assolutamente prevedibile. La Corte non ha peraltro, come da alcuni affermato, sostituito il legislatore, ma esercitato le proprie attribuzioni costituzionalmente garantite. 

Ciò che è accaduto è invece che il legislatore regionale abbia scientemente deciso di sostituirsi al legislatore statale in un ambito di competenza di quest’ultimo, peraltro insistendo su tale posizione senza tener conto della già intervenuta impugnazione dell’art. 2 LR 59/2018 e di quanto era stato fin dall’origine da me rappresentato non per posizione politica ma per ragioni tecniche. Quello che dispiace dell’intera vicenda è che oggi accadrà quanto da me paventato e cioè che le diverse amministrazioni comunali si ritroveranno nell’impossibilità di esitare favorevolmente procedimenti edilizi avviati sulla scorta della norma dichiarata incostituzionale e a dover effettuare una complessa, e dall’esito non scontato, valutazione sugli effetti della pronuncia della Corte sui titoli già rilasciati. A pagare le conseguenze di questa ostinazione saranno quindi gli enti e soprattutto gli imprenditori, che hanno impiegato tempo e risorse nella predisposizione dei progetti edificatori. La tutela dell’impresa e la necessità di misure che consentano il rilancio dell’edilizia non passano da tentativi normativi di sicura illegittimità, ma presuppone al contrario regole certe. Questo vale molto di più oggi che è necessario essere al fianco di tutti coloro che operano nel settore edilizio per salvaguardarlo e sostenerlo davvero".
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