Il Buddismo spiegato ai bambini. A chi, in Occidente, ne ha solo vagamente sentito parlare e poco e nulla sa di una confessione religiosa che mosse i primi passi nel VI secolo a. C. e da cui poi il Cristianesimo mutuò delle interfacce significative, variandone però la semantica, rimodulando la simbologia, riscrivendone l’essenza escatologica.
Che anche questo è “Cos’è il Buddismo”, di Jorge Luis Borges, Piano B Edizioni, Prato 2020, pp. 116, euro 12 (con una premessa di Alicia Jurado, che ha riordinato gli appunti materia di conferenze e dice di un “criterio personalissimo” da parte di Borges).
Una proposta che si colloca in un contesto di relativismo ideologico, culturale e spirituale, che non tocca solo l’Occidente, ma anche gli altri continenti, poiché la globalizzazione scuote dalle fondamenta l’ecumene, le società e l’uomo nella loro complessità, sino a farci smarrire il “tao” (via).
Borges ha il merito di sottrarre agli esegeti e ai teologi di mestiere un credo spirituale tanto arcaico e per certi aspetti ancora “nuovo”, e di porgerlo con un intento pedagogico al lettore secolarizzato o quasi. Sedotto da nuove forme di spiritualità si direbbe panteiste.
Non da solo, ovvio, non sarebbe nella logica della sua prosa e del suo essere scrittore e poeta, una delle voci più pure del continente latinoamericano, dove lui stesso diceva “non c’è niente” (ma questo può anche essere un vantaggio), ma poggiando su una bibliografia sostanziosa, di chi prima di lui ha speculato sul tema, quando però la carie del relativismo ancora non era apparsa all’orizzonte.
In una continua dialettica con i grandi pensatori di ogni tempo: da Sant’Agostino (“Ama e fà ciò che vuoi”) a Epicuro e Voltaire, da Spinosa a Parmenide e Schopenhauer, ecc.
Curiosa, per dirne solo una, l’etimologia dei Veda, che da maschile diventa femminile e vuol dire “saggezza”, e dà poi la radice a Vedanta, che significa “fine”. Ma noi sappiamo bene che per il buddismo la fine altro non è che un nuovo inizio, in una concezione circolare del tempo e della vita che ci ha fatti arrivare sin qui. E’ il mito dell’”eterno ritorno” dei filosofi cinesi, contigui al Buddha e a Siddharta.