BARI - Le storie, come i gigli, possono fiorire tutto l’anno. E dietro ogni storia c’è una persona, con il suo vissuto, fatto di sogni, gioie e difficoltà. Sfumature che toccano anche la salute mentale, la fragilità esistenziale su cui ruota il video “Come i gigli” realizzato dal Circolo “In Luce Stories” di Gravina in Puglia e in concorso alla BIBART - Biennale Internazionale d’Arte di Bari 2020, sulla cui piattaforma sarà ufficialmente visibile a partire dal prossimo 12 luglio.
«“Come i gigli” – spiegano gli autori - narra le storie delle persone e del loro profondo legame con i luoghi che abitano e che vivono in quella meravigliosa terra della città di Gravina in Puglia, con il suo grande patrimonio storico, artistico e culturale che, ancora una volta, abbiamo colto l’opportunità di condividere e far ammirare, con il patrocinio del Comune di Gravina, in un contesto internazionale al quale il Festival si rivolge».
Il video è però solo l’ultima tappa di un percorso molto più lungo e articolato costruito nel Centro di Salute Mentale di Gravina, d’intesa con il direttore dell’Area 2 e del Dipartimento di Salute Mentale ASL Bari, Domenico Semisa. «Raccontare se stessi, la propria storia, utilizzando il linguaggio delle immagini – spiega Semisa - si è rivelata un’esperienza molto importante non solo per i protagonisti ma anche per la comunità. Guardare ed ascoltare queste storie è servito e serve ad abbattere alcuni pregiudizi, basati sulla non conoscenza dell’altro, che mostrano queste persone come imprevedibili, incapaci di relazioni positive, intendendole solo come portatrici di guai, dolore o lamento. Invece, si tratta di persone che raccontandosi, mostrano un’altra parte di sé, quella positiva e propositiva, le loro capacità, la possibilità, attraverso la condivisione e il sostegno della propria comunità, di costruire e progettare bene e insieme. Ed è per questo che è importante sottolineare la decisione del Comune di Gravina di abbracciare e sostenere questo progetto per riaffermarsi come comunità e riconoscere il diritto di cittadinanza e di appartenenza di queste persone».
“In Luce Stories” è anche e soprattutto il risultato del lavoro del Laboratorio permanente del Centro di Salute Mentale di Gravina, evoluto in circolo culturale per volontà degli stessi protagonisti, una ventina di utenti tra i 20 e i 50 anni (affetti da patologie quali schizofrenia, disturbo bipolare, disturbi di personalità, disturbi dell’affettività) desiderosi di poter disporre di un riferimento stabile e autonomo da affiancare al servizio pubblico. Con una propria pagina Facebook, alcuni short film realizzati assieme agli operatori del CSM e la fotografia per “guardarsi” dentro e fuori, raccontando se stessi e la propria terra sino ad allargare l’orizzonte ad una vera e propria attività di “riabilitazione territoriale”, perché ogni individuo modella il luogo in cui vive e ne è a sua volta modellato.
Il senso di tutto ciò lo racconta Maurizio Cimino, educatore professionale del CSM e animatore del laboratorio permanente: «L’idea di introdurre un laboratorio di fotografia in un progetto di riabilitazione psichiatrica non è nuova e ha dato luogo, per esempio, a memorabili reportage. Intrecciando la fotografia e la salute mentale è possibile elaborare e strutturare il progetto di un laboratorio rivolto a chi, per esperienza di vita, ha difficoltà a comunicare la propria condizione di essere umano». «E’ così – continua Cimino - che diventa possibile insegnare a utilizzare la fotografia come mezzo di affermazione della propria personalità ad alcune persone in carico ai Servizi di Salute Mentale, affinché questi la usino come linguaggio per comunicare all’esterno la propria condizione, il proprio disagio ma anche i sentimenti positivi, la propria visione di se stessi, degli altri e del mondo».
La fotografia può quindi essere strumento di espressione, comunicazione e terapia. E di condivisione, come gli utenti del CSM di Gravina hanno sperimentato attraverso l’incontro e il confronto con gli studenti dell’Istituto Superiore “V. Bachelet” di Gravina, diventando essi stessi – proprio attraverso lo strumento della fotografia - un invito ed un esempio a soffermarsi per pensare, allontanandosi seppure per poco dalla superficie della quotidianità, e riconoscersi nell’altro, attraverso il bisogno di attenzione e il rispetto degli inviolabili diritti di ogni persona.
Un percorso di crescita che conduce all’approdo successivo, in cui la fotografia è occasione e mezzo per la narrazione di persone e luoghi del territorio. «Narrazione e fotografia – dice ancora Cimino - in questo percorso offrono inoltre la possibilità di considerare o riconsiderare le modalità di relazionarsi, dei partecipanti, con gli altri e con l’ambiente circostante, ad esempio quello relativo alla propria città o quella in cui trascorrono una significativa parte della propria vita. E’ così che diventa concreta la possibilità di esplorare se stessi e il proprio stare al mondo nell’incontro con gli altri nei luoghi o tra i luoghi più significativi per lo sviluppo di un benessere che possa diventare quotidiano».
Benessere che, dal punto di vista terapeutico, significa ottenere miglioramenti nel funzionamento personale e sociale dei partecipanti, in particolar modo nella cura di sé e del proprio abbigliamento, nella cura della salute fisica e nella gestione della salute psichica, ma anche del proprio spazio di vita, delle attività socialmente utili, della qualità e tipo delle attività quotidiane, così come la partecipazione alla vita familiare, la vita affettiva e relazionale, sino al controllo dell’aggressività. Insomma, essere persone migliori che, come i gigli, possono sempre tornare a fiorire.
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