FRANCESCO GRECO - Incipit promettente: “Prima ancora di essere umani siamo stati dei bevitori”. Ai battesimi, i matrimoni, i compleanni, i funerali.
L’impassibile, algida signora Thatcher, era una spugna. Non sapevamo che in Kenya la tribù dei Tiriki spruzza birra sulle tombe degli avi, assetati. Dovremmo farlo anche noi col Negroamaro. Che i vichinghi (Odino padre degli dei in primis) bevono forte; ci risulta nuovo che gli sciamani della vecchia Cina erano mezzi alcolizzati (per la trance?): i corredi funerari delle sepolture però li tradiscono senza ombra. In Etiopia i Suri prima bevono poi lavorano (motto da like: “Dove non c’è birra non c’è lavoro”), cosa opposta nel Regno Unito dove fan tutto all’incontrario e, posati gli arnesi, i sudditi eccoli al pub per una pinta fresca (ieri eran devoti a Madame Geneva).
“Non conoscere la birra non è normale”, proverbio sumero. Like da molti follower.
Se “In vino veritas”, gli antichi persiani discutevano affari di Stato e prendevano importanti decisioni prima sobri, poi alticci: strano, spesso arrivavano alla stessa conclusione… Anche i germani, ce lo dice lo storico romano Tacito (non sappiamo se Hitler & soci alzassero il gomito). I nostri politici invece o sobri o bevuti restano nanetti da giardino, mani sottratte alle campagne. Se è vero che i nostri antenati, 4 miliardi di anni fa, organismi monocellulari, erano sempre fatti di alcol, non era ancora stata scritta la storia, il ruolo avuto nei millenni del perché beviamo, e a volte ci ubriachiamo, statisti inclusi (ricordate Boris Eltsin? E oggi Juncker?).
Fortunatamente ci ha pensato Mark Forsyth in “Breve storia dell’ubriachezza”, il Saggiatore, Milano 2018, pp. 290, euro 17, collana “La Cultura”, bella, essenziale traduzione di Francesca Crescentini. Senza la pretesa, dichiarata con onestà intellettuale, di essere enciclopedica: avrebbe richiesto il sacrificio di molte foreste per trarne la carta occorrente, e già asfaltiamo jungle per leggere mucchi di cazzate di fregnacciari autoreferenziali.
I Sumeri lo dicevano: “E’ timoroso, come un uomo che non ha familiarità con la birra”, altri like al tempo di decanter e sommelier.
L’alcol ha una storia indissolubilmente intrecciata, un enorme nodo gordiano, a quella dell’uomo, e degli animali (bevono elefanti, topi, scimmie, formiche, moscerini della frutta). Polisemicamente ricca: c’è un risvolto mistico, a dire di B. Franklin (padre della patria USA) infatti “il vino è la prova che Dio ci ama, e ama vederci felici” (prima del proibizionismo e di Al Capone), e gli stessi Aztechi (con Egizi e Cinesi) davano una valenza divina alle loro ubriacature.
E politico: alcune dinastie cinesi collassarono perché troppo devote al vino, come le culture autoctone americane (indiani) corrotte dall’acqua di fuoco. E coloniale: come nacque l’Australia?
Si pensa che Alessandro Magno (“conquistò il mondo conosciuto immerso in una sorta di foschia”) dipartì dopo una sbronza colossale per festeggiare le conquiste. E’ solo una delle tante ipotesi (altrettante ce ne sono per la scomparsa di Atlantide, dove non sappiamo se c’erano vigne, e sui mandanti dell’omicidio di Moro).
Mentre è certo che Socrate sopportasse il vino (allungato con l’acqua): restava sobrio come il “collega” Confucio, pare anche Stalin, ma forse è propaganda. In Cina a bere più di cinque bicchieri si rischiava la testa. Vino protagonista anche nel cristianesimo: dalle nozze di Cana (450 litri di ottimo vino dall’acqua, roba che manco il mago Othelma), all’ultima cena, al “Prendete e bevetene tutti”.
Nelle sure del Corano è scritto che nel Giardino (solo lì, in questa valle di lacrime si beccheranno 80 frustate) i “beati” berranno vino, i “dannati” acqua: peggio per loro, così imparano a fare i kamikaze in Europa. Forsyth demolisce un po’ di luoghi comuni retrò in materia, che una cultura ipocrita e parruccona ci avevano sedimentati in corpo, alleggerendo in tal modo qualche senso di colpa dei bevitori d’oggi, divinità escluse.
Ci informa di quel che accadeva davvero nelle taverne dei Sumeri a Uk, frequentate anche da donne, nei saloon del vecchio West, quelle col pianista e la sputacchiera, che cosa faceva una bella ragazza egizia quando la sera usciva con le amiche a bere un goccio sul Nilo, le ciance dei filosofi nei simposi greci e i convivi romani dove si ambiva essere invitati, anche per essere umiliati, nei conventi benedettini (Ora, labora e drink) e nelle birrerie inglesi nel Medioevo, ecc. “Sbronzi con un penny. Sbronzi marci con due. Dormita gratis”. Vodka a fiumi a Mosca sotto Stalin, che così (come Pietro il Grande e Ivan il terribile) controllava politicamente il governo e se rifiutavi un bicchiere ti mandava al gulag.
Sapevate, per dire, che l’aperitivo fa venir fame, anche se l’alcol è calorico e sazia? Che i turchi sono un popolo “ingordo e incline al liquore”? La birra, stando al mito, per caso, avrebbe dato lo start alla civiltà sumera, mente la nostra oggi sta pigliando d’aceto.
Un saggio bellissimo, dettagliato, in cui si mostra che non siamo mai stati sobri e alla fine del quale riderete delle falangi di “esperti” di vino della domenica che conosciamo, a cui, se si versa una ciofeca che sa di tappo, credono sia cognac d’annata. O tempora, o mores!
Asciutti o bagnati, allora, in alto i calici, ubriachi come i maiali della “Fattoria” di Orwell, i 400 conigli in Messico, gli astronauti secondo la Nasa, non badate alla prova del palloncino e sacrificate a Ninkasi, la dea della birra presso i Sumeri, forse sorella del Dioniso greco e del Bacco romano.
Il gatto si morde la coda, dopo un goccio, ovvio…