VITTORIO POLITO* - Che i baresi siano stati sempre amanti dei prodotti del mare e Bari sia stata sempre una città con un mare ricco di pesce, può considerarsi un fatto proverbiale, sostenuto anche da Orazio duemila anni fa nei versi di una sua satira che definiva la nostra città “pescosa”.
Vito Antonio Melchiorre (1922-2010), noto storico e studioso barese, racconta nel suo libro “Storie Baresi” (Levante), una curiosa nota di cronaca che mette in risalto, appunto, un episodio che negava ai baresi il piacere di gustare i prodotti del mare.
Nel 1796 i baresi erano esasperati dalla cattiva condotta dei proprietari delle ‘paranze’, che “allontanandosi e portandosi altrove a pescare, lasciavano perire esso pubblico”. Le lamentele non tardarono ad apparire fondate alle autorità, tanto che l’Udienza di Trani (una sorta di Tribunale), considerando che la famiglie avevano pur diritto di usufruire dei prodotti del “loro” mare, ordinò a tutti i proprietari dei pescherecci che almeno quattro ‘paranze’ al mese pescassero “per comodo e per servizio” della popolazione barese, fissando per gli inadempienti “la pena di 500 ducati, 6 mesi di carcere e la confisca della barca”. Ma, dopo un paio d’anni, la norma cominciava a non essere osservata ed allora i sindaci Carlo Tanzi e Giuseppe de Ritola fecero censire le ‘paranze’ che risultarono in numero di 24 e con pittoreschi soprannomi tipo ‘spagosottile’ e ‘ficanegra’. Due magistrati, confermando le disposizioni dell’Udienza e affinché il servizio si espletasse in piena regola, pubblicarono un bando con i nomi dei 24 padroni di paranze, indicando i turni assegnati mensilmente e fino cioè all’entrata in carica della nuova amministrazione. Il bando fu affisso “nel solito luogo”, probabilmente piazza Mercantile, perché tutti ne avessero conoscenza, costringendo i pescatori ad approvvigionare i mercati baresi.
«Tutto il mondo dovrebbe essere - barese – o pugliese per capire cosa significhi il frutto di mare. Slurpare lentamente un cannolicchio e risucchiarselo in bocca. Accarezzare con la lingua un allievo tenero come il burro e scioglierlo fra le labbra nel brivido dei sensi. Puntare con occhio erotico una frittura di calamaretti e servirsene voluttuosamente con le mani. Ordinare con attesa rosseggiante di desiderio una paranzella croccante. Titillare con lo sguardo un piatto rigonfio di accoglienti mitili a valve aperte. E tutto il mondo dovrebbe passare almeno una volta nella vita, come si fa con i santuari, per uno dei nostri paesi di mare rarefatti di sale, un pugno di case e un braccio di porto con le barche pigre, il profumo inimitabile dei ristorantini che sfornano promesse di felicità. Bisognerebbe passarci almeno una volta per dare un senso alla propria vita». Così scriveva Lino Patruno in una nota su “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 5 giugno 2010.
Anche il famoso poeta Orazio, prima della nascita di Cristo, lungo un viaggio diretto a Brindisi, passando nei pressi di Bari, scrisse che si trovava alle porte di una città “ricca di pesci” per via della pescosità delle sue acque. D’altro canto è notoria la ‘confidenza’ dei baresi col mare e con i suoi prodotti. Nel nostro mare, infatti, si trova il pesce migliore: dentici, orate, saraghi, triglie, alici, calamari, seppie, gamberetti, polpi, ma i baresi consumano abbondantemente grandi quantità di frutti di mare “crudi”: cozze, ostriche, polpi, seppioline (allievi), canestrelle, cozze pelose, tartufi di mare (taratuffi), cannolicchi, noci di mare, muscoli (musci), ricci, ecc.
L’Accademia del Mare, nata da un’idea di Matteo Gelardi, docente universitario di otorinolaringoiatria e noto citologo nasale, in collaborazione con Silvestro Carofiglio, imprenditore barese e titolare del Ristofish “La Pesciera”, non poteva che nascere in una come città come Bari, con sede presso lo stesso Ristofish (Via De Rossi, 159), che vede Silvestro Carofiglio, “Rettore”, lo stesso Gelardi “Preside” e Francesca De Santis “direttrice amministrativa”.
L’Accademia, istituita il 15 marzo 2017, non poteva avere sede migliore che a Bari, la vera patria della cultura del crudo e del pesce in generale, riconosciuta da chiunque in Italia e all’estero. La neo-associazione di studiosi e di cultori dei prodotti del mare, nasce in un momento in cui la “globalizzazione” ha prepotentemente portato nel nostro territorio culture gastronomiche che non hanno nulla a che vedere con il nostro “crudo”. I tanti ristoranti (cinesi o giapponesi) che sono sorti nelle nostre città, sono lontani anni-luce dalle nostre tradizioni, sapientemente tramandate dai nostri avi. Infatti i ristoranti citati preparano pietanze di pesce (sushi), spesso di dubbia provenienza e conservazione, manipolato e servito, mentre i baresi i frutti di mare li mangiano “in diretta”, senza manipolazione alcuna. Ma è anche un momento di incontro e formazione sulle bontà gastronomico-salutari dei prodotti del nostro mare. Insomma la tavola per i baresi “è un palcoscenico”, soprattutto la Domenica e nelle “feste terribele” (cioè le grandi ricorrenze), che non sono tali, per i baresi, se a tavola manca il “crudo”.
L’Accademia ha creato un corso a numero chiuso, che si svolge in 5 lezioni teorico-pratiche (una lezione al mese), con domande agli esperti, seguite da discussione e degustazione dei prodotti del mare. I temi trattati sono: “A volte crudo a volte cotto” “Il pesce azzurro: dall’alfa-anisakis all’omega-3”, “Il pesce bianco: quando è vero e quando è falso!”, “I crostacei: il sugo di pelosa è sempre buono?”, “Dalla zuppa alla frittura di mare: ‘frisce e mange’”.
Il prof. Matteo Gelardi, “Preside” della stessa Accademia, appassionato dei prodotti del mare, tiene dotte conversazioni, con dovizie di particolari pratici e scientifici, sulle varie qualità di pesce, illustrando, in collaborazione con il “Rettore” della stessa Accademia, Silvestro Carofiglio, e soffermandosi in particolar modo sulle varietà del pesce ‘azzurro’, più comune, cosiddetto “povero”, il più economico, e l’altro, definito ‘bianco’ (il più costoso), per la sua ‘carne’, con i loro benefici effetti e le loro proprietà nutrizionali.
Il pesce azzurro è rappresentato essenzialmente dalle aguglie (belone belone), dalle alici o acciughe (engraulis enchrasicholus), dalle sardine (sardina pilchardus), dagli sgombri (scomber colias), dal tonno (thunnus thynnus), dal pesce sciabola (argentina sphyraena), dalla palamita (pelamys sarda), e da tante altre varietà più o meno conosciute. Il pesce azzurro ha anche una terminologia dialettale barese per cui le aguglie sono chiamate ‘agùglie’, le alici ‘alìsce’, le sardine ‘sàrde’, il tonno ‘tunne’, il pesce sciabola ‘pèsce sciàbbue’, la palamita ‘palamìte’, ecc. (Scorcia).
Il pesce azzurro, ha una carne facile da digerire, ricca di grassi buoni, i cosiddetti omega3, contiene silicio, calcio, iodio, fosforo, potassio, selenio, fluoro, zinco, vitamine A e B, tutte sostanze che variano a seconda del prodotto. Inoltre il pesce azzurro è importante per la salute del cuore e dell’apparato circolatorio per la diversità dei grassi rispetto alla carne. I grassi di quest’ultima tendono ad ostruire le arterie, mentre quelli del pesce non sono calorici e non si depositano sulle arterie. Gli omega3, poi, oltre a facilitare la pulizia delle arterie, favoriscono la diminuzione dei livelli di colesterolo, prevengono i tumori del colon e del pancreas e combattono l’invecchiamento precoce.
Gelardi ha anche trattato il tema del pesce bianco, degli allevamenti e ha anche illustrato ampiamente i problemi derivanti dall’anisakis, il temuto parassita che si annida nelle pareti dello stomaco di certi pesci, passando quindi a quello di chi consuma certe qualità di pesce crudo. Il modo migliore per prevenirlo è cercare di non mangiare pesce crudo o poco cotto e di seguire le norme europee che prevedono l’abbattimento del parassita attraverso il congelamento per determinati periodi di tempo. Se cotto, invece, non crea problemi. Una curiosità l’anisakis si annida solo in certi pesci, ma mai per fortuna dei baresi, nei frutti di mare.
Lezioni indimenticabili, quelle di Matteo Gelardi, che con la sua solita chiara, semplice, dotta e articolata esposizione, ha detto tutto, o quasi, sui prodotti del mare, sulle loro origini, varietà, provenienze e… trucchi per riconoscere la freschezza.
Tra i cibi più costosi e pregiati che offre il mercato del mare, ci sono sicuramente i crostacei: astici, aragoste, gamberi, canocchie o cicale, scampi, pelose, mazzancolle (o gambero reale), gambero rosso e bianco, ecc., tutti buoni da mangiare, ma sono anche animali incredibili quando sono vivi. Si sanno molte cose sul loro conto, ma ci sono tanti luoghi comuni, come il fatto che i gamberi camminino all’indietro o che le aragoste abbiano le chele. Miti da sfatare. È per questo che vi proponiamo alcune interessanti curiosità sul mondo dei crostacei, svelate dal “Preside” Gelardi e dal “Rettore” Carofiglio, che probabilmente non tutti conoscono.
I crostacei, dal latino ‘crusta’ (crosta), fanno parte della classe degli artropodi, generalmente acquatici, caratterizzati da due paia di antenne, un numero vario di appendici articolate tipicamente bifide, un esoscheletro suddiviso in segmenti articolati e mobili e in qualche esemplare forniti di chele (astici in primis). Tra quelli conosciuti un po’ da tutti sono i gamberi, i granchi, le aragoste, gli astici europei, le canocchie o cicale di mare, gli scampi, ecc. I crostacei che rappresentano l’uso più nobile della cucina, soprattutto aragoste e astici, necessitano di molta cura e attenzione nella scelta e nella successiva lavorazione.
Una delle caratteristiche che si osservano nei crostacei è il carapace, quella struttura rigida che ricopre totalmente o in parte il corpo. Nei granchi e nei gamberi ricopre solo la parte centrale del corpo. I gamberi e le aragoste hanno nell’addome una potente muscolatura che è poi la parte edibile. A parte la funzione cardioprotettiva di crostacei e molluschi, essi sono fonti straordinariamente abbondanti di una serie di minerali e vitamine essenziali (rari a trovarsi). Contengono, per esempio, alte dosi di vitamina B12, che serve a far funzionare bene i nervi e per produrre globuli rossi. Quando il livello di vitamina B12 cala, il corpo (e la mente) rischiano molto. In molti casi, soprattutto negli anziani, talvolta la carenza di vitamina B12 può essere scambiata per precoce senilità.
In ogni caso la regina dei crostacei rimane l’aragosta, che alcuni consumatori confondono con l’astice, che si presenta invece senza antenne, ma con grosse chele, ma le papille gustative danno la preferenza alla ‘pelosa’.
Le lezioni, come detto, sono state seguite attentamente dagli ‘studenti’, me compreso, e si è conclusa con la “prova pratica”, cioè la degustazione di frutti di mare crudi e cotti, crostacei crudi e tante altre bontà di mare che hanno entusiasmato tutti, grazie allo staff de “La Pesciera” che si è attivato, come di consueto, al massimo, per il ‘compito in classe’. Il ciclo di ‘lezioni’ si è concluso con la consegna ai frequentatori dell’attestato di “Accademico del Mare”.
Per completezza va detto che a Bari è nata, nel sontuoso Palazzo Colonna che si affaccia sul nostro bel Lungomare ‘Araldo Di Crollalanza’, una nuova e originale attività di fast food, il “Pescobar”.
Il fast food, cioè cibo veloce, è nato negli Stati Uniti e si è velocemente esteso in tutto il mondo, a prescindere dalla cultura e dagli usi locali che ha attratto e attrae persone di ogni età e condizione sociale che hanno tempi limitati da riservare al tradizionale pranzo.
Il ‘Pescobar’, che è una novità assoluta per Bari, è un locale fast food di pesce crudo e cotto, crostacei, carpacci e frutti di mare. Si possono consumare velocemente fritture di pesce, ostriche e vari altri molluschi, panini con pesce, polpi, carpacci, tartare e frutti di mare crudi, astici e aragoste. Altra novità assoluta sono panini con ‘krab’ (polpa di granchio greco al 100%), un crostaceo che si distingue per la sua prelibatezza e definito “il re dei granchi”. Inoltre possono gustarsi aperitivi di mare accompagnati da spritz e bollicine, buon vino bianco e rosso in calice o fantastiche birre artigianali, direttamente sul nostro meraviglioso Lungomare e nel cuore della movida Barese. Insomma una nuova attività che non poteva mancare nella città di Bari.
Il signor Carofiglio, titolare del “Pescobar”, dichiara: “L’idea del fast food nasce per abbracciare quella fetta di clientela, per lo più giovane, che preferisce gustare al volo e in maniera libera e informale i prodotti del mare. I giovani si sono avvicinati molto al pesce, preferendolo alla carne, ma sempre in maniera mordi e fuggi accompagnandolo con una buona birra artigianale o da un calice di ottimo vino”.
Per coloro, invece, che hanno tempo a disposizione, possono recarsi a “La Pesciera” (stessa gestione), il famoso “Ristofish” di Bari (Via De Rossi, 159), ove è possibile gustare in tutta tranquillità un pasto a base di pesce cotto e crudo, che si può anche acquistare per asporto. Insomma c’è solo l’imbarazzo della scelta e il tempo disponibile.
Di queste attività si è interessata anche la RAI, che nella nota trasmissione “Linea Verde” ha trasmesso un servizio dalla sede de “La Pesciera” di Bari con relativa intervista a Silvestro Carofiglio.
Curiosità - La pesca dei ‘krab’, i prelibati granchi definiti anche “gioielli del mare”, viene effettuata nel rispetto della loro pregevolezza. Si effettua con nasse o trappole, grandi strutture in acciaio coperte di rete, in cui vengono introdotte le esche per rimanervi due o tre giorni. Vengono quindi ritirate con attrezzature di sollevamento idrauliche e mantenuti in vita in vasche con acqua di mare a bordo degli stessi battelli.
Il Krab non va confuso con il ‘surimi’ che è altra cosa. Il surimi, nato in Giappone qualche secolo fa come merluzzo tritato, è oggi un “surrogato di granchio" dove la presenza di pesce non supera il 30-40% ed è l’equivalente ittico del ‘pink slime’ una poltiglia di avanzi di lavorazione usata nei wurstel e in alcuni piatti di pollo, costituito essenzialmente da ‘fish slime’, cioè da scarti industriali lessati, con aggiunta di addensanti compresi gli aromi e gli esaltatori di sapore. Il surimi è composto di pesci di diverso tipo, la cui carne viene macinata e disposta in strati avvolti da alcune parti del pesce o da alghe e foglie, mentre quello industriale si presenta sotto forma di cilindretti di colore arancione all’esterno e bianco all’interno.
Il carpaccio, invece, è la tecnica di cottura a freddo o di marinatura della carne o del pesce, più o meno quello che oggi ci preparano i ristoranti. Si racconta che in occasione di una mostra del pittore Vittore Carpaccio (1465-1525), a Venezia, una nobildonna, non potendo mangiare cibi cotti, chiese al ristoratore di prepararle un piatto appetitoso. Lo chef Giuseppe Cipriani dell’Harry’s Bar di Venezia, preparò delle sottilissime fettine di controfiletto di manzo condite con sale, pepe, limone e varie spezie, che la nobildonna gradì moltissimo. La pietanza incontrò anche il gradimento di altri avventori reduci dalla mostra. Il “piatto” prese così il nome di “Carpaccio”.
E, ricordate che “Chi ama il mare sarà sempre libero” (Charles Baudelaire).
* Accademico del Mare