La cartapesta nella scultura sacra salentina


VITTORIO POLITO - Incerte e misteriose sono le origini della cartapesta, che sembrano perdersi nella notte dei tempi. Spesso considerata un’arte minore, l’arte cartacea è servita a realizzare opere artistiche uniche e di grande bellezza, molte delle quali giunte sino a noi in ottimo stato di conservazione.

Da sempre, quando si voleva risparmiare sulle statue, si sostituiva il marmo o altri materiali pregiati con la cartapesta, alla quale ricorrevano non solo i mediocri scalpellini, ma anche celebri scultori. È il caso di due opere di altissimo pregio che si trovano, l’una in Santa Maria dei Servi e l’altra in San Domenico a Bologna. La prima è un Crocefisso, realizzato su disegno del Giambologna (Jehan Boulogne 1529-1608), unica sua opera fatta nella città di Bologna, oltre il Nettuno ed i relativi bozzetti. L’altra, è quella in Santo Stefano, una splendida “Pietà” policroma, realizzata nel Settecento, da Domenico Piò (1715-1801), forse il massimo scultore bolognese dell’epoca.

La devozione per Santi e Madonne costituisce non solo uno degli aspetti della vita religiosa delle nostre popolazioni, ma anche un fatto culturale e sociale che ha interessato studiosi e sociologi. Spesso la religiosità popolare è stata interpretata più come subcultura o superstizione che come vera fede. Giovanni Paolo II in un discorso ai vescovi di Puglia definì la pietà popolare «La vera espressione dell’anima di un popolo in quanto toccata da grazia e forgiata dall’incontro felice tra l’opera di evangelizzazione e la cultura locale».

La cartapesta si lavorava già nel rinascimento ed ebbe il suo massimo splendore nell’età del Barocco. Si realizzavano statue sacre o da presepe. Molti dei capolavori migliori, che risalgono al XVII e XVIII secolo, si possono ammirare, in molte chiese, dove le statue sono fatte in legno rivestito di cartapesta o interamente in cartapesta.


Numerose sono le produzioni artistiche religiose e culturali presenti sul nostro territorio, tra le quali occupa un posto importante la scultura sacra cartacea diffusa nel Salento. Mi riferisco alle produzioni di cartapesta, in particolari di statue, che rappresentano l’arte povera, cioè la “cenerentola” dell’arte scultorea, con la quale si produceva e si produce una fine scultura.                                             

È di qualche anno fa l’interessante pubblicazione da parte del Centro Regionale Servizi Educativi e Culturali della Regione Puglia di Tricase (LE), su «La scultura sacra cartacea nel Capo di Leuca (sec. XVIII-XX)» di Francesco Fersini (Besa Editrice).

La tecnica di lavorazione, è rimasta immutata attraverso i secoli. Per tradizione, i maestri, continuano ad usare materiali poveri. L’artigiano prepara la colla con un umile impasto d’acqua e farina, la stende sulla carta e ne ricopre la struttura, formata da semplice filo di ferro e paglia, le mani, i piedi e il volto di terracotta, le finiture e i vestiti, tutte in carta. Il manufatto viene messo in forno e ne esce irrobustito, poi viene ritoccato con dei ferri arroventati, per perfezionarne le forme, alle volte si fa una vera e propria stiratura, per modellare le pieghe, ora è pronto per essere colorato e dipinto dalle abili mani del suo creatore.

L'arte della cartapesta leccese è profondamente viva e radicata nella nostra stessa cultura. Ormai conosciuta nel mondo, come prodotto fine e artisticamente perfetto, è commercializzato ed esportato, per arricchire l’arredamento, personalizzandolo con oggetti di vera Arte.


Curiosità.

Si narra di una improvvisa polemica, scoppiata nel 1933, sull’arte della cartapesta con una pubblicistica denigratoria, operata da monsignor Cornelio Sebastiano Cuccarollo (1870-1963), o.f.m., arcivescovo di Otranto che, in una lettera indirizzata alla Pontificia Commissione per l’arte sacra in Italia, redatta agli inizi degli anni ’30, e presto divenuta una sorta di circolare nelle diocesi pugliesi, espresse un totale disgusto verso una modalità figurativa che riteneva povera e indegna di rappresentare soggetti religiosi.

Egli, dapprima ammiratore delle statue cartacee, avendo avuto sollecitazione da parte del maestro Giuseppe Manzo (1849-1942), per il mancato pagamento di due crocifissi, si scagliò contro la cartapesta leccese a favore della scultura lignea più decorosa e dignitosa per l’arte sacra. Il prelato, di origine veneta, cominciò a commissionare opere lignee a ditte della provincia di Bolzano, quindi la crisi per le botteghe artigianali leccesi. La polemica infuriò sui quotidiani, con la conseguente difesa della cartapesta, a cui prese parte anche il vescovo di Lecce, monsignor Alberto Costa (1873-1950). Durante la “Settimana d’Arte Sacra”, svoltasi a Roma nel 1934, la Pontificia Commissione, con la relazione del professor Corrado Mezzana, esaltava i pregi della cartapesta, lo stile tipicamente meridionale di tradizione barocca e spagnola. Anche Pio II non mancò di esprimere la propria stima verso i cartapestai nel suo famoso “Radiomessaggio alla Città di Lecce”.

Con il conflitto mondiale scoppiato nel 1939, si spense l’aspra polemica, ma la crisi economica generale produsse effetti negativi anche sull’arte della cartapesta. Nel periodo post-bellico la tradizionale arte rinasce finalizzata al recupero della gloriosa tradizione.
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