FRANCESCO GRECO - Per i Polacchi della diaspora, all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, il Salento fu una sorta di Terra Promessa. In veste di storica, Cristina Martinelli indaga da tempo, in più pubblicazioni, questo aspetto del secondo conflitto mondiale: da “I papaveri di Montecassino” (Besa, Nardò, 2004) a “Salento d’altre Storie. I soldati di Anders nel Salento tra guerra e dopoguerra” (Grifo, Lecce, 2011), “Ripartire da Francesco Nullo” (Terra d’Otranto, 2013) e altre ancora.
Tutta la sua ricerca, corposa quanto preziosa, è attraversata da un filo rosso: l’attenzione al quotidiano e alla quotidianità, con i suoi protagonisti oscuri, quegli uomini che, come dice Hemingway che di guerre se ne intendeva in “Addio alle armi”, le decisioni e gli interessi di “alcuni porci” hanno scaraventato sul fronte, nelle trincee fangose, sotto l’artiglieria nemica, o sotto i gas.
Lo chiarisce lei stessa a mò di manifesto etico-estetico quando afferma “degli eventi bellici non mi interessano i generali o i politici, ma il soldato semplice, il più anonimo, poi i civili coinvolti, uomini e donne, succubi inconsapevoli di drammi quotidiani; anti-eroi… (…) dalla Storia ho maturato la propensione a concentrarmi sulla sensibilità del soldato e del civile in quel dato racconto storico…”.
La storica va al nucleo della realtà, delle parabole esistenziali, sfrondando ogni barocchismo e propaganda appiccicati ad arte.
E accade anche nell’ultimo lavoro: “Da Montecassino a Marittima. Di muli e orsi, epico e mitico”, appena uscita per le Edizioni Esperidi (pp. 90, euro 13,00), messa giù a quattro mani col generale Nicola Russi sotto forma di corrispondenza via email nei mesi in cui siamo stati chiusi in casa dal Covid-19 (prima presentazione del volume a Marittima di Diso) fra marzo e aprile scorsi: il potere salvifico della parola.
DOMANDA: Salento “piccola Polonia”: quando arrivarono i Polacchi?
RISPOSTA: "All’inizio del 1944, 50mila Polacchi erano sbarcati a Mottola, che diventò la base della “Piccola Polonia”. Nel Salento arrivarono alla fine del ’44, nelle pause delle operazioni al fronte, con sempre maggiore frequenza, all’avvicinarsi della Liberazione".
D. Da dove provenivano?
R. "Erano reduci da dure battaglie, quali Montecassino, Ancona, Bologna...".
D. Quanti erano?
R. "Si ritiene che i soldati polacchi in Italia fossero circa 20mila".
D. Dove si sistemarono e come furono accolti dalle popolazioni locali?
R. "Dislocati in numerosi centri salentini, in alcuni dei quali erano state organizzate Scuole civili a vario indirizzo, rappresentarono anche lo strumento di una sorta di economia di guerra: i soldati elargivano alimenti ormai introvabili per i residenti, inoltre l’affitto di camere oltre alle requisizioni, alcuni servizi di lavanderia e di parruccheria furono un importante aiuto economico per gli italiani".
D. Ci furono molti matrimoni con le salentine?
R. "Sì, ci furono matrimoni con donne salentine, ma non saprei dire se la percentuale corrisponde a quella che si fa per l’intera Italia, soprattutto Abruzzo, Marche, Emilia Romagna: un matrimonio ogni 200 militari, dunque circa 6mila".
D. Possiamo paragonarli agli Ebrei dell’infinita diaspora, che nello stesso periodo erano qui nei campi, da Leuca a Tricase Porto e Nardò?
R. "Direi di no. I polacchi del 2° Corpo d’Armata erano ben organizzati, avevano un Generale che era anche un capo politico e soprattutto avevano lo spirito dei vincitori, benchè non servì loro a molto perchè a Jalta le speranze di libertà per la Polonia erano state tradite".
D. E’ vero che fra le due comunità non c’era buon sangue?
R. "Credo piuttosto che in quella fase storica non ci fosse motivo di condividere esperienze: straniere in Italia entrambe le comunità, entrambe alla ricerca di soluzione dei propri problemi, ma con implicazioni differenti. Una brigata ebraica aveva combattuto fraternamente al fianco dei Polacchi in Emilia Romagna e prima della guerra la convivenza in Polonia era stata buona, finché la propaganda nazi-fascista non arrivò a compiere il lavorio razzista".
D. C’è una relazione fra i Polacchi in Salento e le fosse di Katyn?
R. "Dell’eccidio di Katyn i Polacchi sapevano già la verità mentre erano ancora in Oriente e stavano organizzando la loro Armata con l’appoggio dei Russi che volevano impiegarli per aprire un secondo fronte.
Nel timore che Mosca bloccasse le operazioni, Anders decise di accelerare il trasferimento in Persia delle poche brigate che avevano preso forma e la massa di civili usciti dalle prigioni russe".