Era la stampa, bellezza!
FRANCESCO GRECO - I bookmaker londinesi accettano puntate: quando sarà stampata, acquistata e letta l’ultima copia di un giornale cartaceo? L’eutanasia è in atto e non da oggi. Tirature e diffusioni calano vertiginosamente (“inarrestabile emorragia di copie”). Si dà la colpa al web, la rete, i social, i “malefici blogger”: omicidio colposo. Ma quanta ne hanno effettivamente? E le testate online non sono forse saccheggiate dai cartacei?
Le redazioni sono vuote o quasi: non avviene più il passaggio dei segreti del mestiere fra le generazioni (con frequenti punte di stalking). I ragazzini d’oggi non vogliono più farlo, non si sognano inviati agli angoli del mondo, il lavoro ha perduto quell’alone di romanticismo e di avventura. Assistiamo alla ridefinizione semantica del giornalismo e del giornalista, con falangi di ragazzine che, petto in fuori, leggono le agenzie. E i burocrati delle news, i manager (“Ora è tardi per ribattere la notizia della morte dell’attore Renzo Palmer”), i funzionari del partito, il “pattuglione”, un armageddon da ultimi mohicani, arcigni custodi del Sacro Graal e della Pietra Nera.
Il caso ha voluto che “La società dei giornalisti estinti”, di Marco Gasperetti, Mauro Pagliai Editore, Firenze 2020, pp. 96, euro 8.00 (collana Libro Verità) mi arrivasse in un lunedì d’autunno. Ho preso tre autobus e ho visto solo un vecchio che leggeva il “Corriere dello Sport” con occhiali da miope, piegato sulle pagine.
Da preghiera laica del mattino (Hegel) a imprecazione della sera. Perché la crisi deriva anche dal fatto di non saper intercettare le nuove tematiche, non praticare i linguaggi emergenti, non saper parlare a nuovi lettori. Tramontata la generazione dei Montanelli, le Fallaci e i Biagi, nessuno corre all’edicola per sapere come la pensano i loro eredi. A scrivere sono quasi sempre gli stessi, che dicono le stesse cose, troppo spesso autoerotismo ideologico.
I giornali sono usati dai poteri forti per lanciarsi segnali, spesso per “scopi inenarrabili”: il lettore comune che un tempo faceva massa critica è estraneo al gioco, lo ha intuito e gira al largo dalle edicole. Dureranno finché gli editori, quasi tutti spuri, avranno voglia di finanziarli. Per cominciare, hanno ridotto la paga a chi scrive e cacciato i correttori di bozze (“lacrime e sangue”), abbassando la qualità.
Ma, a leggere attentamente fra le righe del bel saggio di Gasperetti (fra autobiografia e sociologia), le ragioni della crisi orribile di oggi si intravedono in controluce (“la supremazia della notizia pubblicata prima di tutti gli altri avrebbe subito una rapida caduta”). Dal “profumo strano di piombo” all’offset fino alla telematica, “all’ideale del giornalismo duro e puro”, ai “vecchi difetti dell’autocensura”, l’appeal si è come dissolto e i giovani non credono più “al vecchio mestiere dello scrivere”, tantomeno che possa “cambiare il mondo”.
E così il giornalismo è “imploso”, c’è stato “l’epocale salto dei paradigma dei media” e il dio Teuth ha abbandonato i cartacei al loro destino. Intanto i bookmaker raccolgono scommesse e i corvi neri volano nel cielo…
Le redazioni sono vuote o quasi: non avviene più il passaggio dei segreti del mestiere fra le generazioni (con frequenti punte di stalking). I ragazzini d’oggi non vogliono più farlo, non si sognano inviati agli angoli del mondo, il lavoro ha perduto quell’alone di romanticismo e di avventura. Assistiamo alla ridefinizione semantica del giornalismo e del giornalista, con falangi di ragazzine che, petto in fuori, leggono le agenzie. E i burocrati delle news, i manager (“Ora è tardi per ribattere la notizia della morte dell’attore Renzo Palmer”), i funzionari del partito, il “pattuglione”, un armageddon da ultimi mohicani, arcigni custodi del Sacro Graal e della Pietra Nera.
Il caso ha voluto che “La società dei giornalisti estinti”, di Marco Gasperetti, Mauro Pagliai Editore, Firenze 2020, pp. 96, euro 8.00 (collana Libro Verità) mi arrivasse in un lunedì d’autunno. Ho preso tre autobus e ho visto solo un vecchio che leggeva il “Corriere dello Sport” con occhiali da miope, piegato sulle pagine.
Da preghiera laica del mattino (Hegel) a imprecazione della sera. Perché la crisi deriva anche dal fatto di non saper intercettare le nuove tematiche, non praticare i linguaggi emergenti, non saper parlare a nuovi lettori. Tramontata la generazione dei Montanelli, le Fallaci e i Biagi, nessuno corre all’edicola per sapere come la pensano i loro eredi. A scrivere sono quasi sempre gli stessi, che dicono le stesse cose, troppo spesso autoerotismo ideologico.
I giornali sono usati dai poteri forti per lanciarsi segnali, spesso per “scopi inenarrabili”: il lettore comune che un tempo faceva massa critica è estraneo al gioco, lo ha intuito e gira al largo dalle edicole. Dureranno finché gli editori, quasi tutti spuri, avranno voglia di finanziarli. Per cominciare, hanno ridotto la paga a chi scrive e cacciato i correttori di bozze (“lacrime e sangue”), abbassando la qualità.
Ma, a leggere attentamente fra le righe del bel saggio di Gasperetti (fra autobiografia e sociologia), le ragioni della crisi orribile di oggi si intravedono in controluce (“la supremazia della notizia pubblicata prima di tutti gli altri avrebbe subito una rapida caduta”). Dal “profumo strano di piombo” all’offset fino alla telematica, “all’ideale del giornalismo duro e puro”, ai “vecchi difetti dell’autocensura”, l’appeal si è come dissolto e i giovani non credono più “al vecchio mestiere dello scrivere”, tantomeno che possa “cambiare il mondo”.
E così il giornalismo è “imploso”, c’è stato “l’epocale salto dei paradigma dei media” e il dio Teuth ha abbandonato i cartacei al loro destino. Intanto i bookmaker raccolgono scommesse e i corvi neri volano nel cielo…