FRANCESCO GRECO - Complotti, intrighi, passioni, tradimenti, lotte per il potere senza esclusione di colpi, vendette, veleni, pugnali, suicidi indotti. Macchine del fango sempre in azione per diffamare e condizionare gli eventi.
Nella Roma imperiale tutto era fortemente intriso di simbologia (il fascismo scopiazzò alcuni aspetti) e morire di morte naturale era un privilegio concesso a pochi, specie nelle classi alte, imperatori e famiglie per primi.
Ne “Le donne che fecero l’Impero” (Tre secoli di potere all’ombra dei Cesari), Salerno Editrice, Roma 2020, pp. 264, euro 18 (collana “Mosaici”), poggiando su una solida quanto ampia bibliografia, presenta una gallery (Cleopatra, “poteva soggiogare qualunque uomo”, Cassio Dione, Livia, Agrippina Minore, Plotina, Giulia Domna e le nipoti Soemia e Mamea e altre minori) donne dive e auguste che segnarono il loro tempo accanto agli imperatori che si avvicendarono. E sono protagoniste di storie al limite del noir, in cui tutto può accadere e dove la bisessualità e la pedofilia erano cultura. Attraverso le parabole esistenziali delle donne di potere, Marisa Ranieri Panetta ci fa intravedere la composizione sociale, l’architettura, l’urbanistica e quant’altro della Roma fra I secolo a. C. e III d.C.
Ma anche i riti, le divinità, la scansione spirituale, i giochi di potere sempre spregiudicati. E le contaminazioni con le terre, i popoli e le culture che i Romani conquistavano (dagli Egizi agli Alemanni e i Galli, inclusi gli ispidi Parti), in un Impero sconfinato (il modello di riferimento era Alessandro Magno e le sue conquiste fortunate, “le sue imprese, racchiuse in un pugno d’anni, sconfinavano nel mito”) dove era sempre precario l’equilibrio fra le classi: la corte, l’aristocrazia, i militari, i legionari, l’esercito, i pretoriani, i liberti, il popolo, ecc. e l’ibridazione era la regola (Ebrei, Siriaci, Africani, Greci).
Un potere parcellizzato, perennemente instabile come l’animo dell’uomo. Dove il sicario era sempre dietro acquattato all’angolo, nel buio, col pugnale in mano e la madre – assetata di potere - tramava contro il figlio e il figlio doveva guardarsi anche dalla madre. Donne borderline, politicamente scorrette (al netto della misoginia di Tacito e il cinismo di Seneca), che potevano essere ripudiate se sterili e siccome l’adulterio era reato, per darsi alla pazza gioia arrivavano a fingersi puttane (Messalina).
Il tutto è affidato alla memoria delle monete e delle statue, spesso abrase per condannare alla damnatio memorie chi, per varie vicissitudini, usciva dal cono di luce del potere, filosofi inclusi (da Cicerone a Seneca). Quando non si finiva in esilio o le teste non finivano sulle picche per essere ostentate dinanzi al popolo eccitato, opportunista, disincantato, sempre “in cerca di raccomandazioni, aiuti pecuniari, o arrivate solo per rendere omaggio”.
Archeologa, giornalista, saggista con notevoli pubblicazioni alle spalle, tradotte nel mondo e premiate con vari riconoscimenti, Marisa Ranieri Panetta è una delle storiche dell’antichità più autorevoli e complete. Lo stile divulgativo conquista e appassiona. Grazie, Marisa!
Nella Roma imperiale tutto era fortemente intriso di simbologia (il fascismo scopiazzò alcuni aspetti) e morire di morte naturale era un privilegio concesso a pochi, specie nelle classi alte, imperatori e famiglie per primi.
Ne “Le donne che fecero l’Impero” (Tre secoli di potere all’ombra dei Cesari), Salerno Editrice, Roma 2020, pp. 264, euro 18 (collana “Mosaici”), poggiando su una solida quanto ampia bibliografia, presenta una gallery (Cleopatra, “poteva soggiogare qualunque uomo”, Cassio Dione, Livia, Agrippina Minore, Plotina, Giulia Domna e le nipoti Soemia e Mamea e altre minori) donne dive e auguste che segnarono il loro tempo accanto agli imperatori che si avvicendarono. E sono protagoniste di storie al limite del noir, in cui tutto può accadere e dove la bisessualità e la pedofilia erano cultura. Attraverso le parabole esistenziali delle donne di potere, Marisa Ranieri Panetta ci fa intravedere la composizione sociale, l’architettura, l’urbanistica e quant’altro della Roma fra I secolo a. C. e III d.C.
Ma anche i riti, le divinità, la scansione spirituale, i giochi di potere sempre spregiudicati. E le contaminazioni con le terre, i popoli e le culture che i Romani conquistavano (dagli Egizi agli Alemanni e i Galli, inclusi gli ispidi Parti), in un Impero sconfinato (il modello di riferimento era Alessandro Magno e le sue conquiste fortunate, “le sue imprese, racchiuse in un pugno d’anni, sconfinavano nel mito”) dove era sempre precario l’equilibrio fra le classi: la corte, l’aristocrazia, i militari, i legionari, l’esercito, i pretoriani, i liberti, il popolo, ecc. e l’ibridazione era la regola (Ebrei, Siriaci, Africani, Greci).
Un potere parcellizzato, perennemente instabile come l’animo dell’uomo. Dove il sicario era sempre dietro acquattato all’angolo, nel buio, col pugnale in mano e la madre – assetata di potere - tramava contro il figlio e il figlio doveva guardarsi anche dalla madre. Donne borderline, politicamente scorrette (al netto della misoginia di Tacito e il cinismo di Seneca), che potevano essere ripudiate se sterili e siccome l’adulterio era reato, per darsi alla pazza gioia arrivavano a fingersi puttane (Messalina).
Il tutto è affidato alla memoria delle monete e delle statue, spesso abrase per condannare alla damnatio memorie chi, per varie vicissitudini, usciva dal cono di luce del potere, filosofi inclusi (da Cicerone a Seneca). Quando non si finiva in esilio o le teste non finivano sulle picche per essere ostentate dinanzi al popolo eccitato, opportunista, disincantato, sempre “in cerca di raccomandazioni, aiuti pecuniari, o arrivate solo per rendere omaggio”.
Archeologa, giornalista, saggista con notevoli pubblicazioni alle spalle, tradotte nel mondo e premiate con vari riconoscimenti, Marisa Ranieri Panetta è una delle storiche dell’antichità più autorevoli e complete. Lo stile divulgativo conquista e appassiona. Grazie, Marisa!