LIVALCA - Per la raffinata ed eroica editrice Rotas di Barletta - fondata nel 1986 da Renato Russo non solo editore, ma anche scrittore e politico - è stato pubblicato un nuovo volume su Giuseppe De Nittis «Peppino amore mio. Léontine racconta la sua vita con De Nittis» (Editrice Rotas, 2020, 176 pp., Ill., e 30.00), con prefazione di Lino Patruno.
L’autore del libro, il giornalista professionista Michele Cristallo - ha pubblicato quasi due dozzine di libri e migliaia di articoli, gran parte sul quotidiano in cui ha trascorso la sua esistenza lavorativa e che lo scorso anno ha rischiato di sparire, nonostante 130 anni di storia prestigiosa - è anche un volto noto di Telebari, oltre che illustre cittadino della sua Barletta che lo ha premiato con il riconoscimento “Cavaliere della Disfida”.
Lino Patruno, ex direttore della «Gazzetta del Mezzogiorno», nella sua sintetica e pur circostanziata esposizione, non manca di regalarci il suo forbito ‘pistolotto’ di denuncia sui mali atavici, a volte per colpa diretta altre per assenza delle Istituzioni, del Sud: «Sia, infine, tutto il contrario della bellezza, l’incredibile campionario di indifferenza, di pigrizie, di incapacità, di approssimazione, di incompetenze, di menefreghismo, di furbizie, di dimenticanze, di ritardi, di speculazioni che hanno fatto passare un secolo prima che si facesse giustizia all’artista. E prima che il testamento di Léontine fosse rispettato. E prima che fosse restituito agli occhi di chi sa vedere un insieme di opere di valore universale».
Procediamo con ordine: ho ricevuto il volume martedì 5 gennaio e ho provato a ‘divorarlo’ il pomeriggio del giorno della Befana, abbinandolo alle partite di calcio cui mi è difficile rinunciare, e ora, nel silenzio della notte che (finalmente) ha portato via tutte le ‘strane-anomale-bizzarre’ feste vissute, provo a redigere queste brevi riflessioni.
Il libro è dedicato al noto pittore Giuseppe De Nittis (Barletta 1846-Saint-Germain-en-Laye 1884), morto ad appena 38 anni, ed alla moglie francese, di due anni più grande del nostro, Lucille Léontine Gruvelle, che, con ammirevole abnegazione, ha difeso la memoria del marito e ha fatto giungere a noi le sue opere con una generosa e travagliata donazione che ha impiegato solo 93 anni - la cosiddetta media italiana! – dal 1914 al 2007 prima di accasarsi nel celebre edificio a tre piani del XVI secolo di stile rinascimentale, Palazzo della Marra, situato nella storica via delle Carrozze, oggi rinominata Cialdini (Il palazzo alla fine del secolo scorso fu acquistato e ristrutturato, con grande maestria e senza badare al risparmio, dal noto costruttore Donato Ceci, cui spetta l’appellativo di ‘mecenate’).
La trovata creativa-geniale-estrosa di Cristallo è stata quella di far raccontare alla signora Léontine in prima persona la storia di un ragazzo di Barletta, nato in una famiglia borghese, che ha cercato con caparbietà di anteporre il suo talento a tutto. Vi posso assicurare, per il poco che possa avere le ‘mani in pasta’, che la cosa non è semplice, ma richiede abilità narrativa perché è un continuo richiamo per fatti e avvenimenti che interessano i coniugi De Nittis, ma anche la storia di una cittadina, Barletta, al cospetto di una città Parigi che accoglieva i nostri artisti sul ‘Boulevard des Italiens’ e ‘Place de Montparnasse’, nel mentre Napoli formava in tutti i sensi il pittore De Nittis, che ritraeva la campagna circostante e poi Posillipo, Ischia, Procida, Sorrento (Un bellissimo quadro ‘Posillipo’ si trova a Crema, Collezione Stramezzi, almeno così ‘raccontano’ i miei appunti della scuola media).
Il sottoscritto, nonostante verso la metà degli anni ’70 abbia scritto un articolo su Carlo Cafiero, non sapeva fosse compagno di classe alle elementari di De Nittis, e quindi ignorava i rapporti susseguenti avvenuti in Francia. E’ stato un francese, Hugo, a regalarci «Ciò che bisogna sempre prevedere è l’imprevisto» per cui vi ricordo in maniera sintetica una storia che mi ha visto protagonista e ‘dialogare’, a proposito di Cafiero, con un coetaneo, all’epoca giornalista dell’Unità, e in seguito, dal 2013 al 2018, sindaco di Barletta. Sto parlando di Pasquale Cascella (al suo attivo un palmarès di grande prestigio : capo ufficio stampa del presidente Napolitano durante tutto il suo primo mandato; portavoce del presidente del consiglio D’Alema nei due anni in cui ha governato; capo ufficio stampa del gruppo DS alla Camera e addetto stampa del presidente Camera dei deputati) cui dovetti dire, affabilmente, che il ‘TU’ che divideva i nostri due cognomi - lui Cascella terza lettera S, io Cavalli terza lettera V, per cui nel nostro alfabeto tra la S e la V vi è una T e una U…che fanno la ‘differenza’: TU - era lo stesso che portò il ricco proprietario terriero, avviato ad una brillante carriera dilplomatica, a parteggiare prima con Marx ed Engels e quindi farsi ammaliare dall’anarchia di Bakunin e, insieme con Malatesta, avere parte attiva nell’insurrezione del Matese, aprile 1877, costituendo la «banda di San Lupo»; Cafiero dovette scontare quasi un anno e mezzo di carcere preventivo e in prigione stilò il compendio del primo volume del Capitale di Marx, che segnò il suo rientro nelle file del marxismo. Il periodo in cui mi occupai di Cafiero coincise con il rapimento dell’industriale Vittorino Vallarino Gancia da parte delle Brigate Rosse. Fu Giovanni Modesti, il direttore della testata “La città nuova” per cui operava Cascella, a far rientrare il simpatico, sempre correttissimo e ‘fraterno’, scambio di idee, alimentato dai tanti libri che si leggevano in quegli anni, tra un Pasquale ‘ bello e impossibile ‘e il sottoscritto ‘non bello e spesso possibile’. Fu Mario Cavalli a predire per Pasquale Cascella un futuro luminoso, così come aveva fatto per Beppe Lopez.
Torniamo al racconto che la penna di Cristallo fa esporre alla signora De Nittis, testimonianze che la giovane donna aveva raccolto direttamente dal marito nel breve periodo del fidanzamento. Peppino De Nittis era il quarto figlio di Teresa Barracchia che aveva sposato il cugino Raffaele De Nittis, agiato benestante. Quando il nostro pittore aveva due anni era morto il fratellino Francesco e cinque mesi dopo, la mamma, straziata dal dolore, a soli 33 anni volò in cielo. Il padre, insofferente al regime borbonico, dovette patire il carcere che, unito alle disgrazie familiari, minarono il suo equilibrio psichico per cui si tolse la vita. Peppino fu affidato ai nonni paterni che, come tutti i nonni del mondo, assecondarono i ‘capricci’ del ragazzo fino ad iscriverlo ad una scuola privata dove il nostro collezionò ‘punizioni’, ma rivelò uno smisurato talento per il disegno. Il resto lo leggerete comprando il libro, ma mi preme rivelare al cortese lettore che l’unico figlio di De Nittis, Jacques, medico molto quotato in ambito scientifico, morì a soli 35 anni, lasciando ancora una volta sola la sfortunata Léontine. Coloro che ‘masticano’ di numeri potrebbero trovare una spiegazione più razionale ad una serie di coincidenze analitiche : Peppino resta orfano a tre anni, il figlio Jacques a 12 anni; lui nasce nel 1846, il figlio nel 1872; lui muore nel 1884, il figlio nel 1907; la combattiva e generosa signora Léontine muore il 17 agosto del 1913 all’età di 70 anni, il marito era morto il 21 agosto del 1884: una serie impressionante di otto ( agosto è il mese numero otto) e tre ( la signora ha sottoscritto il testamento il 3 novembre 1912 e la Francia il 18 novembre 1878 gli conferì la Legion d’Onore) e loro multipli che richiederebbero studi accurati-dettagliati-rigorosi…per i ‘patiti’ della smorfia preciso : il pittore ‘quota’ 81 e il paesaggio 3.
Alle medie il mio professore di disegno, pittore valente ma poco noto, aveva una predilezione per Giuseppe De Nittis per cui io possiedo degli appunti ( gli stessi che mi hanno permesso di collocare a Crema il quadro «Posillipo») da cui si evince che sia quadro «Il passaggio degli Appennini » (quello da tutti indicato come «La traversata») ospitato a Capodimonte e sia «Il bosco di Portici», segnalato nella collezione ‘Casciaro’ a Napoli, secondo il mio bravo insegnante, erano da collocarsi fra i mille dipinti più belli al mondo (preciso stiamo parlando del 1962-63).
• Un vero amico dei coniugi De Nittis è stato Alexandre Dumas figlio ( vicino di casa in Rue Viète, dico questo per precisare che non sempre la vicinanza è dannosa) che ha avuto l’ingrato e prestigioso compito di stilare l’iscrizione sulla lapide (…scomparso a 38 anni in piena giovinezza e in piena gloria come gli eroi e i semidei). Dumas è famoso per il romanzo «La signora delle camelie», pubblicato nel 1849, quando il nostro Peppino aveva tre anni. Dalla signora Léontine apprendiamo che quello che viene ricordato come forse una figura importante per lo sviluppo artistico di Peppino, Adriano Cecioni, era una persona invadente…ai limiti dello ‘scroccatore’ ( De Nittis ha realizzato per Cecioni un ritratto definito da tutti i critici ‘superbo’).
• Cecioni, cui viene attribuita la fondazione, nel 1864, della « Scuola di Resina», appare alla signora Léontine una persona che abusa della bontà di Peppino: mi permetto di dubitare sulla obiettività delle donne innamorate ( parere non richiesto). Edgar Degas ( vero nome E.-Germain-Hilaire de Gas) viene dalla signora De Nittis annoverato fra i veri amici del marito, dal momento che mantenne amicizia e disponibilità verso la vedova fino alla sua morte. Degas è autore di prestigiosi dipinti ( due su tutti : «Le stiratrici», Parigi, Musée d’Orsay e «Esame di danza», New York, Metropolitan Museum of Art) e ha realizzato anche un « Ritratto di Léontine De Nittis»; l’uomo Cristallo, che il mondo lo conosce non per sentito dire, ma per averlo vissuto compreso, assimilato e spesso giustificato fa pronunciare alla vedova di De Nittis :«Non nascondo che in quei momenti difficili mi sono stati molto vicini, anche con sostegni economici, sia Edgar Degas che Alexandre Dumas» ( Cecioni, al contrario, chiedeva continui prestiti a fondo perduto, a Peppino). Una frase, forse di Gervaso, recita :«Una donna innamorata è capace di tutto, al pari di una che non lo sia».
• De Nittis, il pittore che per dirla con Piceni «Unico, che vola sopra gli altri» ci ha lasciato, secondo i miei appunti risalenti alla scuola media, una frase che è un testamento di amore per la vita e il lavoro inteso come passione, quello che noi oggi chiamiamo ‘sogno’ e che le nuove generazioni devono provare a realizzare concretamente, magari imitando Peppino De Nittis da Barletta:«Se mio figlio un giorno mi dovesse chiedere dove trovare la felicità, gli risponderei: sii pittore, ma come lo sono stato io».
L’autore del libro, il giornalista professionista Michele Cristallo - ha pubblicato quasi due dozzine di libri e migliaia di articoli, gran parte sul quotidiano in cui ha trascorso la sua esistenza lavorativa e che lo scorso anno ha rischiato di sparire, nonostante 130 anni di storia prestigiosa - è anche un volto noto di Telebari, oltre che illustre cittadino della sua Barletta che lo ha premiato con il riconoscimento “Cavaliere della Disfida”.
Lino Patruno, ex direttore della «Gazzetta del Mezzogiorno», nella sua sintetica e pur circostanziata esposizione, non manca di regalarci il suo forbito ‘pistolotto’ di denuncia sui mali atavici, a volte per colpa diretta altre per assenza delle Istituzioni, del Sud: «Sia, infine, tutto il contrario della bellezza, l’incredibile campionario di indifferenza, di pigrizie, di incapacità, di approssimazione, di incompetenze, di menefreghismo, di furbizie, di dimenticanze, di ritardi, di speculazioni che hanno fatto passare un secolo prima che si facesse giustizia all’artista. E prima che il testamento di Léontine fosse rispettato. E prima che fosse restituito agli occhi di chi sa vedere un insieme di opere di valore universale».
Procediamo con ordine: ho ricevuto il volume martedì 5 gennaio e ho provato a ‘divorarlo’ il pomeriggio del giorno della Befana, abbinandolo alle partite di calcio cui mi è difficile rinunciare, e ora, nel silenzio della notte che (finalmente) ha portato via tutte le ‘strane-anomale-bizzarre’ feste vissute, provo a redigere queste brevi riflessioni.
Il libro è dedicato al noto pittore Giuseppe De Nittis (Barletta 1846-Saint-Germain-en-Laye 1884), morto ad appena 38 anni, ed alla moglie francese, di due anni più grande del nostro, Lucille Léontine Gruvelle, che, con ammirevole abnegazione, ha difeso la memoria del marito e ha fatto giungere a noi le sue opere con una generosa e travagliata donazione che ha impiegato solo 93 anni - la cosiddetta media italiana! – dal 1914 al 2007 prima di accasarsi nel celebre edificio a tre piani del XVI secolo di stile rinascimentale, Palazzo della Marra, situato nella storica via delle Carrozze, oggi rinominata Cialdini (Il palazzo alla fine del secolo scorso fu acquistato e ristrutturato, con grande maestria e senza badare al risparmio, dal noto costruttore Donato Ceci, cui spetta l’appellativo di ‘mecenate’).
La trovata creativa-geniale-estrosa di Cristallo è stata quella di far raccontare alla signora Léontine in prima persona la storia di un ragazzo di Barletta, nato in una famiglia borghese, che ha cercato con caparbietà di anteporre il suo talento a tutto. Vi posso assicurare, per il poco che possa avere le ‘mani in pasta’, che la cosa non è semplice, ma richiede abilità narrativa perché è un continuo richiamo per fatti e avvenimenti che interessano i coniugi De Nittis, ma anche la storia di una cittadina, Barletta, al cospetto di una città Parigi che accoglieva i nostri artisti sul ‘Boulevard des Italiens’ e ‘Place de Montparnasse’, nel mentre Napoli formava in tutti i sensi il pittore De Nittis, che ritraeva la campagna circostante e poi Posillipo, Ischia, Procida, Sorrento (Un bellissimo quadro ‘Posillipo’ si trova a Crema, Collezione Stramezzi, almeno così ‘raccontano’ i miei appunti della scuola media).
Il sottoscritto, nonostante verso la metà degli anni ’70 abbia scritto un articolo su Carlo Cafiero, non sapeva fosse compagno di classe alle elementari di De Nittis, e quindi ignorava i rapporti susseguenti avvenuti in Francia. E’ stato un francese, Hugo, a regalarci «Ciò che bisogna sempre prevedere è l’imprevisto» per cui vi ricordo in maniera sintetica una storia che mi ha visto protagonista e ‘dialogare’, a proposito di Cafiero, con un coetaneo, all’epoca giornalista dell’Unità, e in seguito, dal 2013 al 2018, sindaco di Barletta. Sto parlando di Pasquale Cascella (al suo attivo un palmarès di grande prestigio : capo ufficio stampa del presidente Napolitano durante tutto il suo primo mandato; portavoce del presidente del consiglio D’Alema nei due anni in cui ha governato; capo ufficio stampa del gruppo DS alla Camera e addetto stampa del presidente Camera dei deputati) cui dovetti dire, affabilmente, che il ‘TU’ che divideva i nostri due cognomi - lui Cascella terza lettera S, io Cavalli terza lettera V, per cui nel nostro alfabeto tra la S e la V vi è una T e una U…che fanno la ‘differenza’: TU - era lo stesso che portò il ricco proprietario terriero, avviato ad una brillante carriera dilplomatica, a parteggiare prima con Marx ed Engels e quindi farsi ammaliare dall’anarchia di Bakunin e, insieme con Malatesta, avere parte attiva nell’insurrezione del Matese, aprile 1877, costituendo la «banda di San Lupo»; Cafiero dovette scontare quasi un anno e mezzo di carcere preventivo e in prigione stilò il compendio del primo volume del Capitale di Marx, che segnò il suo rientro nelle file del marxismo. Il periodo in cui mi occupai di Cafiero coincise con il rapimento dell’industriale Vittorino Vallarino Gancia da parte delle Brigate Rosse. Fu Giovanni Modesti, il direttore della testata “La città nuova” per cui operava Cascella, a far rientrare il simpatico, sempre correttissimo e ‘fraterno’, scambio di idee, alimentato dai tanti libri che si leggevano in quegli anni, tra un Pasquale ‘ bello e impossibile ‘e il sottoscritto ‘non bello e spesso possibile’. Fu Mario Cavalli a predire per Pasquale Cascella un futuro luminoso, così come aveva fatto per Beppe Lopez.
Torniamo al racconto che la penna di Cristallo fa esporre alla signora De Nittis, testimonianze che la giovane donna aveva raccolto direttamente dal marito nel breve periodo del fidanzamento. Peppino De Nittis era il quarto figlio di Teresa Barracchia che aveva sposato il cugino Raffaele De Nittis, agiato benestante. Quando il nostro pittore aveva due anni era morto il fratellino Francesco e cinque mesi dopo, la mamma, straziata dal dolore, a soli 33 anni volò in cielo. Il padre, insofferente al regime borbonico, dovette patire il carcere che, unito alle disgrazie familiari, minarono il suo equilibrio psichico per cui si tolse la vita. Peppino fu affidato ai nonni paterni che, come tutti i nonni del mondo, assecondarono i ‘capricci’ del ragazzo fino ad iscriverlo ad una scuola privata dove il nostro collezionò ‘punizioni’, ma rivelò uno smisurato talento per il disegno. Il resto lo leggerete comprando il libro, ma mi preme rivelare al cortese lettore che l’unico figlio di De Nittis, Jacques, medico molto quotato in ambito scientifico, morì a soli 35 anni, lasciando ancora una volta sola la sfortunata Léontine. Coloro che ‘masticano’ di numeri potrebbero trovare una spiegazione più razionale ad una serie di coincidenze analitiche : Peppino resta orfano a tre anni, il figlio Jacques a 12 anni; lui nasce nel 1846, il figlio nel 1872; lui muore nel 1884, il figlio nel 1907; la combattiva e generosa signora Léontine muore il 17 agosto del 1913 all’età di 70 anni, il marito era morto il 21 agosto del 1884: una serie impressionante di otto ( agosto è il mese numero otto) e tre ( la signora ha sottoscritto il testamento il 3 novembre 1912 e la Francia il 18 novembre 1878 gli conferì la Legion d’Onore) e loro multipli che richiederebbero studi accurati-dettagliati-rigorosi…per i ‘patiti’ della smorfia preciso : il pittore ‘quota’ 81 e il paesaggio 3.
Alle medie il mio professore di disegno, pittore valente ma poco noto, aveva una predilezione per Giuseppe De Nittis per cui io possiedo degli appunti ( gli stessi che mi hanno permesso di collocare a Crema il quadro «Posillipo») da cui si evince che sia quadro «Il passaggio degli Appennini » (quello da tutti indicato come «La traversata») ospitato a Capodimonte e sia «Il bosco di Portici», segnalato nella collezione ‘Casciaro’ a Napoli, secondo il mio bravo insegnante, erano da collocarsi fra i mille dipinti più belli al mondo (preciso stiamo parlando del 1962-63).
• Un vero amico dei coniugi De Nittis è stato Alexandre Dumas figlio ( vicino di casa in Rue Viète, dico questo per precisare che non sempre la vicinanza è dannosa) che ha avuto l’ingrato e prestigioso compito di stilare l’iscrizione sulla lapide (…scomparso a 38 anni in piena giovinezza e in piena gloria come gli eroi e i semidei). Dumas è famoso per il romanzo «La signora delle camelie», pubblicato nel 1849, quando il nostro Peppino aveva tre anni. Dalla signora Léontine apprendiamo che quello che viene ricordato come forse una figura importante per lo sviluppo artistico di Peppino, Adriano Cecioni, era una persona invadente…ai limiti dello ‘scroccatore’ ( De Nittis ha realizzato per Cecioni un ritratto definito da tutti i critici ‘superbo’).
• Cecioni, cui viene attribuita la fondazione, nel 1864, della « Scuola di Resina», appare alla signora Léontine una persona che abusa della bontà di Peppino: mi permetto di dubitare sulla obiettività delle donne innamorate ( parere non richiesto). Edgar Degas ( vero nome E.-Germain-Hilaire de Gas) viene dalla signora De Nittis annoverato fra i veri amici del marito, dal momento che mantenne amicizia e disponibilità verso la vedova fino alla sua morte. Degas è autore di prestigiosi dipinti ( due su tutti : «Le stiratrici», Parigi, Musée d’Orsay e «Esame di danza», New York, Metropolitan Museum of Art) e ha realizzato anche un « Ritratto di Léontine De Nittis»; l’uomo Cristallo, che il mondo lo conosce non per sentito dire, ma per averlo vissuto compreso, assimilato e spesso giustificato fa pronunciare alla vedova di De Nittis :«Non nascondo che in quei momenti difficili mi sono stati molto vicini, anche con sostegni economici, sia Edgar Degas che Alexandre Dumas» ( Cecioni, al contrario, chiedeva continui prestiti a fondo perduto, a Peppino). Una frase, forse di Gervaso, recita :«Una donna innamorata è capace di tutto, al pari di una che non lo sia».
• De Nittis, il pittore che per dirla con Piceni «Unico, che vola sopra gli altri» ci ha lasciato, secondo i miei appunti risalenti alla scuola media, una frase che è un testamento di amore per la vita e il lavoro inteso come passione, quello che noi oggi chiamiamo ‘sogno’ e che le nuove generazioni devono provare a realizzare concretamente, magari imitando Peppino De Nittis da Barletta:«Se mio figlio un giorno mi dovesse chiedere dove trovare la felicità, gli risponderei: sii pittore, ma come lo sono stato io».