(credits: Pro Loco Altamura) |
ROBERTO BERLOCO - Altamura. 30 Aprile 1905. Una fanfara e un drappello di rappresentanza del Regio Esercito attendono in grand’uniforme nel piazzale antistante l’ingresso della cattedrale. Tutt’attorno, assiepata fin dove possibile, la gran massa della popolazione, attirata da un avvenimento che, stavolta, non tiene carattere religioso.
Preceduto, forse, da un annunzio ufficiale da parte delle locali autorità pubbliche, oppure, magari assai più banalmente, da semplici voci che s’erano moltiplicate al suo farsi sempre più prossimo, l’arrivo di un’importante personalità straniera è destinato a riempire non solo le pagine della storia del giorno.
Dalla lontana Germania, nientedimeno che il Kaiser in persona, Gugliemo II di Hoenzollern, raggiungeva quella che Fabrizio Dionigi Ruffo dei Duchi di Bagnara e Baranello, al secolo dei Lumi più noto come Cardinal Ruffo, aveva definito la “terribile Altamura”, con l’obiettivo desiderato di visitare il duomo che, in quel frangente temporale, era verosimilmente la principale attrazione del paese.
Dai marmi e dagli stucchi dorati del Kronprinzenpalais, lo storico Palazzo del Principe della Corona a Berlino, alle navate d’un tempio cristiano sulla Murgia pugliese; dalle fanatiche parate degli Pickelhaube, i famosi elmi chiodati di ascendenza prussiana, al picchetto d’onore di una rappresentanza impettita dei reggimenti savoiardi proprio su quel suolo che, un tempo, era stato regno dei Borbone.
Qualunque fosse la ragione di quella singolare visita, un fatto doveva comunque risultare certo agli altamurani del periodo: era la seconda volta che, secondo la memoria comune e, forse, la verità del dato storico, un imperatore di sangue germanico si trovasse a passare di lì. Il primo fu quel tale Federico II di Hoenstaufen che, stando all’editto di rifondazione, decise di riportare ad esistenza e dignità d’urbe quel che si presentava appena come un “locus desertus et inhabitatus”.
A distanza di più di centodieci anni, con tutti coloro che poterono dire d’aver vissuto quell’episodio, oggi scomparsi dal panorama dei vivi, quell’evento deve fama e certezza d’essere avvenuto principalmente ad una fotografia, scattata da un esperto con quanto offriva la tecnologia del momento, probabilmente da un balcone o da una finestra di uno degli edifici che fanno angolo in piazza del Duomo, quello dopo via Già Corte d’Appello.
Nell’ovvio bianco e nero, poco oltre il portale della chiesa madre intitolata all’Assunta, vi spicca in primo piano un uomo, alto, elegantemente vestito, dalla postura autoritaria e dal fare deciso, insomma, non ci vuol molto ad intuirlo, si tratta proprio del regale protagonista della giornata. Attorno a lui, altri gentiluomini abbigliati alla moda d’allora, evidentemente preposti al suo accompagnamento, forse pure a rendergli un servizio di sicurezza.
Penzolante dall’alto, in mezzo a tricolori sventolanti, una sorta di lampione in stile sembra quasi voler testimoniare che, già ai primi del Novecento, anche il Corso principale della civita federiciana disponesse d’una pubblica illuminazione elettrica. Uno sguardo, invece, a tutto il resto di quanto inquadrato - fuor della pavimentazione che, da oltre vent’anni a questa parte, è in pietra di Trani - lascia intendere che nulla di diverso vi fosse rispetto alla data odierna: la facciata del principale edificio sacro del paese, la sua scalinata coi leoni stilofori e volumi vari sono gli stessi d’oggi, per quanto, nel tempo, abbiano subito manutenzioni e restauri.
L’immagine in questione avrebbe esaurito ogni altro spunto, se non fosse stato per i musi d’un paio di autovetture. Queste sporgono quanto basta per capire che si tratta di due quattroruote dell’epoca, ma non abbastanza per aver chiaro di quali modelli si tratti.
Con un certo margine d’azzardo, si potrebbe credere che la più avanzata sia una Benz Parsifal, una sorta di cabriolet con cilindrate che oscillarono tra i 1.5 litri e i 3.5 litri.
Quella che precede, invece, potrebbe essere una Mercedes Simplex, in produzione dal 1901. A questa si collegarono nel tempo più versioni e più motorizzazioni, queste ultime tutte estremamente generose, visto che partivano dai quattro litri sino a raggiungere anche i nove abbondanti.
In ambedue i casi, si tratta di auto d’alto di gamma già per l’era. Un particolare, questo, che non stupirebbe, considerando che si trattava di dotazioni per una testa coronata di rango imperiale.
Ora, bisogna che lo si dica. A quei tempi, come d’altronde nel caso della totalità dei centri urbani italiani, Altamura era ancora lontana dal fenomeno della motorizzazione di massa. In realtà, la città murgiana dei primi anni del secolo scorso era distante pure da una sua fase sporadica, considerando, da quanto può supporsi stando alle fonti, che manco i notabili del luogo, tra aristocratici o borghesi agiati, avessero avuto ancora l’idea o l’interesse di accedere ai nuovi mezzi che l’ultimo secolo del secondo millennio proponeva tra le innovazioni tecnologiche dei propri albori.
Una precisazione, questa qui, resa necessaria per comprendere il contesto dove si sviluppò quel che poi avvenne, finendo per passare addirittura all’onore delle tradizioni civiche.
Molto più dello stesso sommo aristocratico germanico, fu infatti la vista di quei due marchingegni a trazione meccanica, mai visti sino a quel momento, a sorprendere tanto la moltitudine e, in particolare, ad accendere oltremisura la fiamma dell’entusiasmo in due mattacchioni, popolarmente risaputi coi soprannomi di “Fraffille” e “Scopette”.
Dopo il passaggio del Kaiser Guglielmo, con convinta goliardia la coppia si cimentò, infatti, nel riprodurre le vetture che, come tutta la comunità spettatrice, aveva potuto solo ammirare e solamente per poche ore. Lo fece al meglio delle possibilità a disposizione, servendosi d’un umile carretto da muovere a braccia, al quale applicò ramoscelli, boccioli e mortaretti che, nell’esplodere, avrebbero simulato il fragoroso scoppiettio tipico dei motori di quelle singolari macchine.
Nacque così la “carrozz senz cavarr”, letteralmente la “carrozza senza cavalli”, che è uno dei classici prodotti di quel misto di spirito di voglia di fare, desiderio d’emulare e pura disperazione di non possedere, che è uno dei tratti tipici della personalità dell’altamurano. Non a caso, una “invenzione” del genere non avvenne nei centri limitrofi, ai quali mancò pure la volontà di imitare o ripetere quella singolare manifestazione d’intraprendenza, per quanto questa si limitasse ad aggiungere appena un tocco di colore in più al folklore paesano.
Ma i due burloni non la finirono qui. Sopra il barroccio caricarono un pupazzo che, nelle intenzioni, doveva rappresentare il politico di turno da sottoporre alla berlina. Così completo, quel che era diventato a tutti gli effetti un rumoroso carro satirico, venne trascinato per le strade del paese, innescando il divertimento tra la folla di popolo, alla quale, soprattutto, si garantiva il ricordo vivo di quel caso eccezionale che era stato il passaggio d’una automobile per la prima volta nella vita della storia locale.
Oggi, ad Altamura, della “carrozz senz cavarr” sopravvive ancora una simpatica memoria, incarnata da una sua manifestazione curata dall’Associazione sportiva “Atletic Club” e che ha preso forma, negli anni passati, addirittura con l’organizzazione di vere e proprie competizioni durante i giorni delle edizioni carnevalizie.