VINCENZO NICOLA CASULLI - La giurisprudenza si è di recente occupata della questione attinente l’ammissibilità del ricorso all’algoritmo, ovvero una sequenza ordinata di operazioni di calcolo, nel procedimento amministrativo.
A tal proposito, si è posto un primo problema relativo al fatto che l'ammissibilità di decisioni adottate mediante l'utilizzo di procedure automatizzate non trova soluzione nella disciplina del procedimento amministrativo: la legge n. 241 del 1990, infatti, nel regolare l'istruttoria e la decisione pubblica, non contempla l'ipotesi di un procedimento automatizzato. L'art. 3-bis fa espresso riferimento all'uso della telematica da parte delle amministrazioni, nei rapporti interni fra loro e con i privati, al fine di conseguire maggiore efficienza nella loro attività.
Sicché, un primo orientamento ha escluso l'ammissibilità di algoritmi evoluti e tanto più di decisioni automatizzate, in coerenza con un principio di “strumentalità del ricorso all'informatica nelle procedure amministrative”, privilegiando il dato letterale della legge sul procedimento.
Invero, nel testo della legge n. 241/1990 è chiara la presenza di un funzionario umano e di relazioni tra persone. In particolare, la figura del responsabile del procedimento, che nel quadro della riforma degli anni '90 del secolo scorso era rivolta dichiaratamente a “dare un volto umano” all'amministrazione e ad evitare dinamiche di “spersonalizzazione burocratica”, difficilmente, sia per motivi testuali che per ragioni di fondo, si presta ad essere trasposta su una dimensione di completa, o comunque sostanziale, automatizzazione.
A fronte di questo primo orientamento di chiusura, è stata registrata un’apertura da parte del Consiglio di Stato che, con sentenza n. 2270 del 2019, ha ammesso il ricorso a decisioni meramente automatiche, automatizzabili in quanto non discrezionali. A tal proposito, è stato affermato che l'assenza di un intervento umano in un'attività di mera classificazione automatica di istanze numerose, secondo regole predeterminate, e l'affidamento di tale attività ad un efficiente elaboratore elettronico appaiono come doverose declinazioni dell'art. 97 Cost. coerenti con l'attuale evoluzione tecnologica.
Ne deriva, in linea di principio, l’utilizzabilità dell’algoritmo nel processo decisionale, evidenziandone i vantaggi che derivano, in termini di efficienza ed efficacia all’azione amministrativa. L’algoritmo è stato ritenuto utilizzabile persino in presenza di attività connotate da discrezionalità.
A tal proposito, si è posto un primo problema relativo al fatto che l'ammissibilità di decisioni adottate mediante l'utilizzo di procedure automatizzate non trova soluzione nella disciplina del procedimento amministrativo: la legge n. 241 del 1990, infatti, nel regolare l'istruttoria e la decisione pubblica, non contempla l'ipotesi di un procedimento automatizzato. L'art. 3-bis fa espresso riferimento all'uso della telematica da parte delle amministrazioni, nei rapporti interni fra loro e con i privati, al fine di conseguire maggiore efficienza nella loro attività.
Sicché, un primo orientamento ha escluso l'ammissibilità di algoritmi evoluti e tanto più di decisioni automatizzate, in coerenza con un principio di “strumentalità del ricorso all'informatica nelle procedure amministrative”, privilegiando il dato letterale della legge sul procedimento.
Invero, nel testo della legge n. 241/1990 è chiara la presenza di un funzionario umano e di relazioni tra persone. In particolare, la figura del responsabile del procedimento, che nel quadro della riforma degli anni '90 del secolo scorso era rivolta dichiaratamente a “dare un volto umano” all'amministrazione e ad evitare dinamiche di “spersonalizzazione burocratica”, difficilmente, sia per motivi testuali che per ragioni di fondo, si presta ad essere trasposta su una dimensione di completa, o comunque sostanziale, automatizzazione.
A fronte di questo primo orientamento di chiusura, è stata registrata un’apertura da parte del Consiglio di Stato che, con sentenza n. 2270 del 2019, ha ammesso il ricorso a decisioni meramente automatiche, automatizzabili in quanto non discrezionali. A tal proposito, è stato affermato che l'assenza di un intervento umano in un'attività di mera classificazione automatica di istanze numerose, secondo regole predeterminate, e l'affidamento di tale attività ad un efficiente elaboratore elettronico appaiono come doverose declinazioni dell'art. 97 Cost. coerenti con l'attuale evoluzione tecnologica.
Ne deriva, in linea di principio, l’utilizzabilità dell’algoritmo nel processo decisionale, evidenziandone i vantaggi che derivano, in termini di efficienza ed efficacia all’azione amministrativa. L’algoritmo è stato ritenuto utilizzabile persino in presenza di attività connotate da discrezionalità.
In tal senso, il Consiglio di Stato con sentenza n. 8472/2019, in contrasto con una precedente pronuncia, ha affermato che, sebbene il ricorso agli strumenti informatici possa apparire di più semplice utilizzo in relazione alla c.d. attività vincolata, nulla vieta che i medesimi fini predetti, perseguiti con il ricorso all’algoritmo, possano perseguirsi anche in relazione ad attività connotata da ambiti di discrezionalità.
Pur ammettendo in via generale l’uso dell’algoritmo nel procedimento amministrativo, il Consiglio di Stato ha individuato stringenti limiti che la P.a. deve rispettare quando si avvale dell’automazione nei processi decisionali. I limiti sono essenzialmente tre:
-conoscibilità dell’esistenza di un processo decisionale automatizzato e comprensibilità, anche per i profani, della regola giuridica amministrativa sottesa all’algoritmo;
-non esclusività della decisione algoritmica, nel senso che deve essere sempre garantita la verifica a valle, in termini di logicità e di correttezza degli esiti del software;
-non discriminazione algoritmica: pur dinnanzi a un algoritmo conoscibile e comprensibile, occorre che lo stesso non assuma carattere discriminatorio. Ove ciò accadesse, occorrerebbe rettificare i dati in ingresso per evitare effetti discriminatori nell’output decisionale; operazione questa che richiede evidentemente la necessaria cooperazione di chi istruisce le macchine che producono tali decisioni.
Pur ammettendo in via generale l’uso dell’algoritmo nel procedimento amministrativo, il Consiglio di Stato ha individuato stringenti limiti che la P.a. deve rispettare quando si avvale dell’automazione nei processi decisionali. I limiti sono essenzialmente tre:
-conoscibilità dell’esistenza di un processo decisionale automatizzato e comprensibilità, anche per i profani, della regola giuridica amministrativa sottesa all’algoritmo;
-non esclusività della decisione algoritmica, nel senso che deve essere sempre garantita la verifica a valle, in termini di logicità e di correttezza degli esiti del software;
-non discriminazione algoritmica: pur dinnanzi a un algoritmo conoscibile e comprensibile, occorre che lo stesso non assuma carattere discriminatorio. Ove ciò accadesse, occorrerebbe rettificare i dati in ingresso per evitare effetti discriminatori nell’output decisionale; operazione questa che richiede evidentemente la necessaria cooperazione di chi istruisce le macchine che producono tali decisioni.
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Diritto