Baresi che hanno fatto la storia di Bari: Gaetano Savelli


VITTORIO POLITO – Gaetano Savelli (1896-1977), poeta dialettale e in lingua, funzionario dell’Intendenza di Finanza, autore anche di saggi di argomento artistico e letterario pubblicati anche su giornali stranieri, è stato definito “il migliore poeta della sua generazione” (Pegorari).

È ricordato soprattutto per la produzione dialettale di tre raccolte liriche: “Jacque de fendane” (Casini, 1925); “Frambugghie” (SET, 1928); “Senett’a Marì” (Convivio Letterario, 1962); da due commedie: “Le du zite” (inedita); “Cose ca seccedene” (Savarese, 1965).

Il riconoscimento maggiore viene dalla traduzione in dialetto barese della “Commedia” dantesca edita da Savarese: “U Mbierne” (1971), “U Pergatorie” (1972) e “U Paravise” (1973), raccolti con il titolo “La Chemmedie de Dante veldat’a la barese”.

Quella di Savelli fu un’immane impresa di traduzione, a cui dedicò quasi la sua intera vita, la prima edizione infatti venne data alle stampe nel 1971 e di lì a qualche anno l’autore morì. Savelli, accostatosi con timore reverenziale e devozione di un fedele alla Divina Commedia, ha avuto il grande merito di conferire una nuova forma all’opera, rimasta però autentica nello spirito all’originale. Senza travisare le intenzioni del maestro Dante egli è riuscito a rendere, nella dimensione vernacolare, l’atmosfera, il senso umano, la commozione, lo stupore ovvero tutti i sentimenti e le emozioni che si ritrovano negli episodi del percorso dantesco verso l’Eterno.


Egli fu essenzialmente un grande poeta dialettale che vide nel dialetto una emancipazione e non un regresso culturale. Il suo dialetto, forse, è il migliore di tutta la poesia dialettale barese.

Vito Maurogiovanni (1924-2009), nella rubrica “Come eravamo” pubblicata sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 5 novembre 2007, scriveva: «Quando uscirono i tre libri, il gran traduttore - ormai in pensione – se n’andava in giro per la città, a venderli ad amici e a estimatori. Se li metteva sotto il braccio, saliva lunghe scale di cui sapeva il sapor di sale e consegnava, a coloro che glieli avevano chiesti, i sudati volumi. La “Chemmedie” fu presentata, negli anni Settanta, ad un Circolo Unione affollatissimo, a cura dell’Università Popolare, allora presieduta dal prof. Alberto Milella-Chartroux, noto medico e raffinato dannunziano».

Meritevole anche l’iniziativa di Vito Signorile, direttore artistico del Teatro Abeliano di Bari, per aver organizzato ad iniziare dal 25 marzo prossimo, in occasione del “Dantedì”, l’evento “Dante sui sagrati”, in cui le parole del sommo poeta e del Savelli riecheggeranno dalla Cattedrale, con straordinario coinvolgimento emotivo del popolo e con il patrocinio dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto e della Commissione Cultura del Comune di Bari. Per l’occasione, Signorile declamerà sulle pagine Facebook e social del Teatro Abeliano alcuni Canti, nella versione originale dantesca e in quella dialettale di Savelli.

TU CANDE

di Gaetano Savelli

 

Tu cande na canzone appassüate,

tu cande e ji te sende citte citte:

e mo’ ca send’a te non so chiù afflitte

percè la voscia to m’ha chenzüate.

E jav’assute pure la scernate

e u sole d’ore lusce sop’au titte:

u cande tu jè cande beneditte

ca la malanghenì m’have sanate.

L’acéddere ca stonne stamatine

acquacquagghiate sop’au chernescione,

càndene pure lore appriess’a te.

E mo’ ji tenghe u core chjine chjine

de siene, d’armenì e de passione,

e na larme me sende de cadè.


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