PIERO CHIMENTI - Protagonista delle pagine del Giornale di Puglia è il dottor Umberto Orsini, medico del reparto di Ortopedia e Traumatologia del Policlinico di Bari. Il noto professionista barese ci ha parlato di come la sanità si sia adattata alla lotta al Covid che col distanziamento sociale ha reso più penosa la degenza in ospedale per i pazienti, lontani dai propri affetti in un momento di estremo bisogno.
Il dott.Orsini, inoltre, ci racconta di come sia riconoscente a Biagio Moretti, Direttore della Clinica Ortopedica che, comprendendo da sempre l'importanza che riveste il trattamento della patologia oncologica dell’osso, non ha fatto mancare il suo pieno appoggio.
Dal punto di vista della ricerca il dottor Orsini ci ha parlato di un importante strumento contro i tumori ossei, le protesi 3D, che permettono ai pazienti un ritorno alla vita ed alla normalità . Unica limitazione a questa tecnica riguarda i tempi di realizzazione, di circa 3-4 settimane, ma la certezza è data dalla bioingegneria che fa passi da gigante e presto ci fornirà ulteriori mezzi per la lotta contro i tumori ossei.
Com'è cambiata la sanità pugliese ai tempi del Covid?
Ormai è passato oltre un anno dall’inizio di questa terribile pandemia. Le nostre certezze, le nostre abitudini, i nostri schemi si sono modificati e ci siamo dovuti adattare ad uno scenario completamente nuovo, sia come uomini che come medici. Anche la Sanità si è dovuta adattare in tempi brevissimi a questa nuova situazione, mettendo in campo tutte le risorse che aveva a disposizione. Ognuno di noi, indistintamente, si è impegnato per dare una risposta concreta alle necessità della popolazione. Il Policlinico è stato completamente riorganizzato per rispondere in modo incisivo ed efficiente all’emergenza COVID. Le unità operative direttamente coinvolte sono state decisamente potenziate, tutte le altre hanno continuato con regolarità le attività essenziali. Siamo stati costretti a sospendere gli interventi e le visite meno urgenti ma, per fortuna, il trattamento delle patologie oncologiche, pur tra tante difficoltà , non ha subito alcun rallentamento.
Durante il periodo della pandemia che reazione ha avuto il paziente oncologico?
Smarrimento, paura, confusione: la prima reazione di tutti, indistintamente. E’ facile immaginare quanto la situazione generale abbia potuto incidere su pazienti già di per sé “delicati”. Basti pensare alla solitudine nella quale hanno dovuto vivere le giornate trascorse in ospedale, lontano dai parenti e dagli affetti più cari. Vederli entrare in sala operatoria da soli, ma ancor di più dopo l’intervento, privati del sostegno e del calore di persone care, è stato uno degli aspetti più strazianti. L’accesso nei reparti non era consentito e pertanto, abbiamo posto ancor maggiore attenzione ai rapporti con le famiglie ma, soprattutto, al sostegno psicologico ai pazienti. E’ stato un momento difficile che ha visto coinvolti tutti, dai medici agli infermieri agli OSS, ai terapisti della riabilitazione.
Il Policlinico di Bari è diventato sempre più polo di riferimento della sanità pugliese. Quali sfide deve affrontare la struttura sanitaria per bloccare sempre di più i viaggi della speranza verso le strutture del Nord?
Ci tengo a sottolineare il ruolo fondamentale del Prof. Biagio Moretti, Direttore della Clinica Ortopedica che, comprendendo da sempre l’importanza che riveste il trattamento della patologia oncologica dell’osso, ha dato incondizionatamente il suo pieno appoggio. La volontà di incrementare il trattamento delle patologie oncologiche delle ossa e delle parti molli in modo integrato e multidisciplinare è partito già molti anni fa, proprio dalla volontà di ridurre o annullare i cosiddetti “viaggi della speranza” e offrire un’assistenza completa a pazienti delicati. La cura di queste patologie così complesse, richiede una preparazione specifica, un’alta professionalità e un approccio multidisciplinare. Io sono barese di nascita, mi sono laureato a Bari e poi ho avuto l’opportunità di specializzarmi in Ortopedia e Traumatologia a Bologna, all’Istituto Rizzoli, sotto la direzione del Prof. Mario Campanacci, un luminare nel campo dell’ortopedia oncologica. In quegli anni, anche a seguito dei lunghi periodi di studio trascorsi negli Stati Uniti, è nata la mia passione per questa branca dell’ortopedia ma soprattutto, sono nate quelle amicizie fraterne e quelle collaborazioni professionali che ancora oggi sono di grande aiuto. Proprio in virtù di questo legame così forte e duraturo, il Policlinico ha stipulato una convenzione con l’U.O.C. di Ortopedia Oncologica dell’Istituto Nazionale Tumori “Regina Elena” di Roma, diretto dal Prof. Roberto Biagini. Attraverso questa convezione abbiamo l’opportunità di collaborare in team, sia per la discussione e l’esame di casi clinici, che per l’esecuzione di interventi ad altissima complessità . Sempre grazie alla convenzione e agli ottimi rapporti con il “Regina Elena”, organizziamo lezioni per i nostri specializzandi e diamo la possibilità a medici strutturati e specializzandi, interessati a questa branca, di trascorrere dei periodi di studio e formazione a Roma. Il Policlinico da parte sua sta facendo un ottimo lavoro mettendo in campo tutte le risorse possibili per agevolare le nostre attività . Il trattamento delle patologie oncologiche dell’osso prevede un approccio multidisciplinare e pertanto ci confrontiamo costantemente, nell’ambito di riunioni interdisciplinari, con le altre figure professionali coinvolte nel trattamento: oncologi, radiologi, chirurghi plastici, chirurghi vascolari, oncoematologi pediatrici, anatomo patologi ecc. C’è anche un’ottima collaborazione con i Colleghi dell’Istituto Oncologico Giovanni Paolo II di Bari. Con molta amarezza abbiamo constatato che c’è un’idea fortemente radicata nel territorio, che porta i pazienti a spostarsi “al nord” ritenendo (erroneamente) che qui manchino le opportunità per un trattamento qualificato. Stiamo facendo anche un grande lavoro divulgativo/conoscitivo sia sui Medici di Medicina Generale che sui Colleghi degli altri Ospedali, per farci conoscere e far comprendere che c’è una possibilità concreta di curare i pazienti nel loro territorio, evitando trasferte costose e problematiche verso altre sedi. Già da alcuni anni organizziamo annualmente un congresso che tratta di queste tematiche, nel quale coinvolgiamo il maggior numero possibile di professionisti (ortopedici, fisiatri, radiologi, anatomo patologi, chirurghi plastici e vascolari, oncologi) per avvicinarli a questa branca così complessa ed affascinate.
Avete portato alla svolta la cura contro i tumori ossei grazie alle protesi 3D, com'è nata questa soluzione? Quale risultato ha nell'immediato il paziente?
Mi sembra corretto premettere che la vera svolta è rappresentata dalla discesa in campo della Clinica Ortopedica e del Policlinico nel trattamento di queste patologie così rare e “complesse”. Grazie alla ferma volontà del Prof. Biagio Moretti e alla piena collaborazione della Direzione del Policlinico è stato possibile implementare le nostre attività . La tecnica di costruzione delle protesi, basata sulla tecnologia 3D, è già in uso da alcuni anni. L’introduzione, a livello industriale della stampa 3D ha permesso di avere delle protesi costruite su misura per uno specifico paziente e per la sua peculiare esigenza ricostruttiva. La costruzione di una protesi con questa tecnica è un processo lungo e complesso che si realizza attraverso la stretta collaborazione con aziende qualificate, che materialmente trasformano un progetto in un manufatto. Si parte da una “normale” TAC del paziente da operare. Attraverso dei software specifici, con la collaborazione di ingegneri e tecnici altamente specializzati, parte la fase progettuale. Il progetto viene quindi sottoposto all’approvazione del chirurgo e successivamente si da avvio alla produzione. Numerosi passaggi e verifiche portano alla protesi definitiva, attraverso un processo che dura circa tre settimane. Lo scopo principale è quello di ottenere una ricostruzione che sia quanto più “simile” e adattabile alla conformazione e alle esigenze funzionali del paziente, considerando che gli interventi sono spesso ampiamente demolitivi con gravi compromissioni della funzionalità del segmento osseo interessato. Una protesi “custom made”, pertanto, aiuta a ridurre i disagi del paziente, migliorando l’aspetto funzionale. Insomma è come indossare un abito cucito su misura dal sarto. Attualmente abbiamo commissionato una protesi allungabile che contiamo di impiantare, nelle prossime settimane, su un bambino: dopo essere stata impianta, attraverso un trasduttore transcutaneo la protesi potrà essere allungata seguendo la crescita somatica del piccolo paziente. Oltre le protesi costruite “su misura” stiamo utilizzando anche i chiodi in carbonio, molto utili rispetto a quelli tradizionali perché essendo “invisibili” ai raggi x ci permettono di eseguire radiografie, tac e risonanze magnetiche senza avere interferenze e, pertanto, ci consentono di seguire con maggior accuratezza l’evoluzione della patologia nel tempo.
Ci sono limitazioni nel l'uso di protesi 3d? Quali risposte può ancora dare questa tecnica nella lotta contro il tumore?
Le limitazioni principali riguardano i tempi ed i costi di produzione: attualmente occorrono non meno di tre/quattro settimane per produrre una protesi. Purtroppo anche il tumore cresce e si modifica nel tempo e talvolta è più veloce di noi, cambia le situazioni e rischia di rendere meno adeguato il lavoro che abbiamo fatto. La prossima tappa sarà quella di velocizzare i tempi di produzione. Quali risposte ci potrà dare la stampa 3D? Infinite! La bioingegneria fa quotidianamente dei passi da gigante ed il prossimo, già molto vicino, sarà il bioprinting: la stampa di tessuti biologici.
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