Cosa sappiamo sulla variante 'indiana' del virus
ROMA - La scoperta di due casi in Italia ha alimentato nuovi timori, ma la B.1.617 è nota da tempo e non è certo che sia legata al rapido aumento di contagi a Nuova Delhi.
"Il virus ancora non si è stabilizzato e si modifica - sottolinea il direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma Massimo Andreoni - e può evidentemente far partire nuove varianti. Dobbiamo tracciare e monitorare per individuarlo in anticipo".
La comunità indiana in Italia è molto numerosa, cosa occorre fare per evitare che possano diffondersi focolai locali o d'importazione? "Se queste persone sono state in India recentemente o hanno avuto contatti stretti con persone tornate nelle ultime 2-3 settimane - avverte l'infettivologo - nel caso di sintomi occorre che si sottopongano a un tampone, si segnalino alle Asl o al medico di famiglia". Sul blocco dei voli dall'India deciso dal ministro della Salute, Roberto Speranza, "ha fatto bene: in questa situazione è una misura necessaria", osserva Andreoni.
Da un lato, precisa l'esperto, bisognerà "capire se e quanto" questa variante "è più contagiosa" rispetto al virus originale, "come sembra". E poi sarà necessario chiarire se sfugge ai vaccini e da questo punto di vista "sembrerebbe, in particolare da uno studio israeliano sul vaccino Pfizer, che una capacità di protezione, seppur ridotta, ci sia. Questo rilancia la fondamentale esigenza di procedere il più velocemente possibile con le vaccinazioni", ammonisce Pregliasco.
Pregliasco approva la decisione annunciata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, sul blocco degli ingressi dall'India: "È una scelta precauzionale che condivido", commenta, anche "alla luce della situazione epidemiologica indiana, che sicuramente vede in questa recrudescenza terribile" di covid-19 "che stanno vivendo anche una riapertura eccessiva in quel contesto e difficoltà organizzative".