LIVALCA - Nel 1958 il Bari era tornato in A dopo quasi dieci anni di forzato ‘purgatorio’ (certo niente se paragonato agli ultimi due attuali anni!) e agli ordini di Paolo Tabanelli era stata allestita una squadra dignitosa, rinforzata da due giocatori di classe: l’italo-argentino Raul Conti e il norvegese Bredesen. Fu l’anno della prima partecipazione di chi scrive, da ragazzino cosciente, in quello stadio della Vittoria semplice, bello e (poco) funzionale… secondo i punti di ‘vista’.
La partita del mio debutto a metà ottobre fu Bari-Torino 4-1. Pensate il Torino si chiamava Talmone Torino e per i ragazzini dell’epoca Talmone era sinonimo di cioccolato, anzi i grandi che volevano ‘divertirsi’ dicevano a noi piccoletti che allo stadio sarebbero stati distribuiti cioccolatini, non le ‘stecche’…quelle verranno dopo. Ricordo che si discuteva che, compresi gli abbonati, erano quasi 19.000 paganti (Immenso cuore bianco-rosso, fenomeno da studiare per tutti i cardiologi di fede certa: Giuseppe, Marco e Maurizio compresi).
Nei miei lampi, sempre più radi, in cui mi illumino di bianco-rosso rivedo una doppietta di Erba e la prima rete di Bruno Cicogna con la maglia del Bari, giovane acquisto voluto da un certo Tommaso Maestrelli, nella veste di vice-allenatore… per il Torino gol di Giuseppe Virgili che sarà determinante, tre anni dopo, per il miracolo di cui tratta il titolo di queste note. Tornai l’anno successivo per assistere a febbraio alla sconfitta con il Milan, che aveva già un piccolo posto nel mio cuore. Di quella partita, oltre il gol di Altafini, ricordo il nome dell’arbitro indimenticabile: Jonni di Macerata. Ad aprile il Bari aveva due partite consecutive in casa: Sampdoria e Fiorentina; optai per la Fiorentina perché mi piaceva Hamrin ( anni dopo da ‘anziano’ fece una splendida fine carriera nel mio Milan ‘riveriano’). Quel giorno un amico di mio padre decise che, come spesso si è sempre fatto, dovevamo andare via alcuni minuti prima della fine, per evitare la normale confusione. Il Bari a pochi minuti dalla fine vinceva per 1-0, solo dopo ore a casa seppi che la Fiorentina con Hamrin e Petris (forse) aveva ribaltato il risultato. Tornai allo stadio per l’ultima di campionato, pareggio a reti inviolate, con il Napoli e il Bari rimase, con merito, in serie A e vi furono tre giocatori che risultarono, non saltando nessuna gara, fedelissimi : Magnanini, Mazzoni e Seghedoni.
Nel campionato successivo ricordo due partite viste da spettatore: la sconfitta in casa con la Roma - un 2-3 che vide ‘piedone’ Manfredini andare a segno due volte, mentre per il Bari segnarono i due acquisti dell’estate: Gino Buglioni e Carlo Tagnin - e il pareggio casalingo con il Bologna (siamo già nei primi mesi del 1960 ). Ancora un tuffo nella memoria e rivedo uno splendido gol di testa di Buglioni e pareggio del bolognese Cervellati. Fu scelta quella partita perché nel Bologna giocava il leccese Mimmo Renna e un amico di mio padre, il maresciallo Gemma, salentino, voleva vedere all’opera un calciatore delle sue parti. Il mio pensiero va al mio amico Giorgio, figlio del maresciallo, che troppo presto è salito in Cielo. Il mese successivo il Bari sconfisse il Milan per 3-0, ma io non ero alla stadio. Quello era il Bari di Capocasale, subentrato a Tabanelli, che riportò Erba al suo posto di centravanti e la promessa mai mantenuta, Buglioni, fra le riserve. Il Bari di misura rimase in A.
In quella memorabile estate del 1960 vi furono le Olimpiadi a Roma e il sottoscritto rimase incollato al televisore per seguire le 13 medaglie d’oro, che fecero del nostro PAESE la terza forza mondiale (Nel ciclismo 5 medaglie: 2 con Sante Gaiardoni, velocità e chilometro da fermo su pista; Bianchetto e Beghetto nel tandem; inseguimento a squadre su pista e il quartetto della 100 chilometri a cronometro su strada; ancora 2 con Delfino nella spada individuale e a squadre; 3 nel pugilato: Benvenuti, De Piccoli e Musso; Berruti nei più fantastici duecento metri della storia dell’atletica (...dopo quelli del nostro mai troppo elogiato Pietro Mennea !); il settebello della pallanuoto con il monumentale capitano Pizzo; Raimondo D’Inzeo montando Posillipo nella prova ippica di salto ad ostacoli, medaglia d’argento il fratello Piero su The Rock). Nel rammemorare il tutto provo lo stesso amor proprio di 61 anni fa, cosa dico la stessa commozione e orgoglio per essere nato in un PAESE che, solo volendolo tutti insieme con impegno e zelo, può tornare a quella, semplice, pura fierezza evocata da… FRATELLI d’ITALIA. In quella Olimpiade la squadra di calcio italiana venne eliminata con la monetina dalla Jugoslavia, che poi vinse la medaglia d’oro. Facevano parte di quel gruppo: Trapattoni, Salvadore, Burgnich, Bulgarelli, Tumburus, il ragazzino Rivera e Giorgio Rossano. Dico questo perché il Bari per la stagione 1960-61 fece tre nuovi innesti: Virgili, Montico e Rossano (con 4 reti era stato il cannoniere dell’Italia alle Olimpiadi).
Nel 1960 ho visto la sconfitta in casa con il Bologna 1-3, con una doppietta dell’avvocato Campana, futuro presidente dell’Associazione Calciatori e il grande Lorenzo Cappa ( quel del famoso trio Mazzoni, Seghedoni, Cappa) giocare splendidamente nelle file del Bologna. Il 25 dicembre, per speciale concessione materna, ci recammo allo stadio per Bari-Milan. Il risultato fu di 0-0, ma la partita è sopravvissuta nella memoria di tutti per il fallo che Salvadore commise su Conti, dopo appena una ventina minuti di gioco. Rottura del menisco e stop di tre mesi. Il noto penalista Aurelio Gironda denunciò Salvadore, che fu condannato: tutti i settimanali locali sportivi ebbero per quasi venti mesi argomentazioni su cui riflettere, ma va sottolineato il comportamento esemplare di Raul Conti: non si costituì parte civile e perdonò il milanista, considerando il suo intervento un normale fallo di gioco.
Il 30 aprile 1961 chi scrive, non ancora dodicenne, doveva essere a Milano ospite di zio Filippo che lavorava come ingegnere alla Siemens. I genitori, non interessati minimamente al calcio, dovevano portarmi con loro per farmi assistere all’incontro e abbracciare figlio e nipoti. Disponevamo di biglietti di prima classe per il treno, perché il padre di zio Filippo era stato per 40 anni capo-macchinista alle Ferrovie dello Stato. Il viaggio fu rimandato perché zia Emilia, sorella di Filippo, insegnante di francese, si vide revocato dal preside il permesso per sopravvenute esigenze di servizio. Il viaggio avvenne a luglio, ma io rinunciai non essendo più interessato. In attesa di questa partita il commento più benevolo nei riguardi di Salvadore era ‘ciabattino’ e tutti eravamo convinti che qualcosa di particolare doveva accadere e vi furono anche ‘fioretti’ affinché il tempo primaverile fosse sul tipo barese e non milanese : sole, non pioggia. Per giunta il Milan, ormai già mio, aveva annunciato l’acquisto di un presunto (tale si rivelò!) ‘rinforzo’ : Greaves. Le due squadre rispetto alla partita del 25 dicembre dell’anno precedente, presentavano poche novità. Il duo Todeschini-Viani che allenava il Milan, schierava Gianni Rivera, assente a Bari, e Vernazza al posto di Barison. L’escluso eccellente era David, il cui posto era preso da Liedelhom retrocesso in mediana. La stampa dell’epoca dava per scontata l’assenza del ‘Barone’…ormai sul viale del tramonto ( Caro Michele il tuo Franco Causio, anche mio quando giocava con la Nazionale, è il ‘Barone’ numero 2).
Il Bari ripresentava Magnanini al posto di Mezzi e Romano rilevava Brancaleoni come terzino. In avanti Montico, Virgili e Cicogna, davano il cambio a Mupo, Rossano e De Robertis. Tutto il gruppo dei giornalisti sportivi che frequentavano casa Levante ‘percepivano’ che non sarebbe stata una gara qualsiasi, ma sempre nell’ambito di quella sportività che teneva nel debito conto che l’affermazione di Moravia «Lo sport rende gli individui cattivi, facendoli parteggiare per il più forte e odiare il più debole» era solo una forbita iperbole per attestare che non sempre, chi vince, è il migliore e, nello specifico, gioca il calcio migliore. Il noto tifoso Peppino Cusmai capitanava quasi 500 tifosi tanto generosi quanto chiassosi, ma non per questo poco ossequiosi; una fascia consistente di appassionati di un hinterland barese operoso e facoltoso aveva pernottato in albergo (La concomitanza del primo maggio festivo aveva spinto molte famiglie a rinunciare alla classica gita fuori porta, per optare per quella denominata porta Nuova milanese), ma altri, coloro che erano ai ‘piedi’ della Madonnina per lavoro, attendevano con trepidazione l’inizio dell’incontro, per dar fiato ai loro polmoni ed ‘espellere’ il più lirico, classico, intonato: FORZA BARI.
Ora dovrei dire che erano anni in cui il ‘mestiere’ era importante, infatti si diceva ‘cambia mestiere’ a chi non era pratico del suo lavoro, ma questo ci porterebbe a discettare sul perché il 1961 è un anno senza… rovescio ( Scrivete su un foglio 1961, girate il foglio e risulterà sempre 1961!).
Tornando al 30 aprile 1961 attesto le ‘sensazioni’ olfattive di una persona presente a Milano quel giorno - mi ha pregato di non rivelare la sua identità - che asserisce di come panifici situati nelle vicinanze dello stadio sfornassero deliziosa, fragrante focaccia barese, predisponendo l’ambiente a ‘parlare’ pugliese : il pomodoro fresco, le olive baresi e il nostro olio avevano avuto la meglio su quelle tre patate lessate e un cucchiaino di miele che rendono inconfondibile e... ( pensato ma non esternato) la focaccia milanese. Secondo i miei calcoli, dei 40.000 spettatori che quel giorno erano alla stadio, almeno 10.000 avevano inflessione pugliese…attenzione non ho detto ‘cadenza’, la BARI SIAMO NOI non conosce ‘cadute’ o ‘cadenze’, si tratta di false ‘credenze’ dovute a ‘diffidenze’ dei non ‘purosangue’.
L’arbitro era Concetto Lo Bello da Siracusa, famoso per la sua imparzialità (nel calcio l’equità del direttore di gara è spesso soggetta ad interpretazioni dei tifosi non sempre ‘ragionevoli!) e autorità nel rapporto con allenatori e giocatori, il cui solo nome era un segnale che la DEA del calcio ( non la SIGNORA, quella è altra…famiglia) non sarebbe stata ostile. Non a caso ho citato che la DEA del calcio aveva saputo con chi schierarsi perché la partita registrò nei primi minuti una traversa di Liedholm con un tiro da oltre trenta metri e, subito dopo, una rete di Cicogna che, appena entrato in area di rigore, superò con il suo sinistro fatato, ma non da goleador, il grande Ghezzi. Per un fallo su Conti (Pagina di sport magnifica: dopo 120 giorni Salvadore chiese scusa a Conti con un fermamonete con lo stemma del Milan - in oro si disse all’epoca - e il barese con un abbraccio ratificò la pace) punizione per il Bari; l’argentino batte velocemente per Virgili che azzecca una ‘cannonata’, non il classico tiro della domenica per un attaccante che quel giorno raggiungeva le cento reti in serie A, e 2-0 per il Bari. Il Milan non stette a guardare e sbagliò diverse occasioni, anche per la bravura del portiere del Bari Magnanini. A questo punto vi regalo una testimonianza diretta. Il 9 agosto del 1989 ho intervistato a Sellia Marina Josè Altafini che, terminata la carriera, intratteneva il pubblico e giocava al calcio con gli ospiti del villaggio vacanze, luogo in cui ero andato con la famiglia. Sul settimanale «IL GALLETTO», diretto da Aurelio Papandrea, fu pubblicata l’intervista, ancor oggi interessante per la disponibilità e sincerità del brasiliano. Rievocando quella cocente sconfitta Altafini mi disse che furono determinanti alcuni giocatori : Magnanini, Catalano, Virgili e…
Sul doppio vantaggio il Bari si chiuse in difesa, ma in questo lasso di tempo si era infortunato il portiere Magnanini, che con due pregevoli parate (la prima buttandosi fra i piedi di Galli e finendo con la spalla contro il palo, la seconda sul colpo di testa, sempre di Galli, parando a terra e rovinando definitivamente la parte già malconcia e fratturandosi la clavicola) aveva reso vano gli sforzi del Milan. All’epoca non vi erano sostituzioni e, quando si faceva male il portiere, andava in porta un compagno di squadra e si continuava la partita con un uomo in meno. Carniglia, allenatore del Bari, spostò Virgili in porta e Magnanini, le cui gambe erano intatte, con la spalla fasciata all’ala… per fare numero, almeno questo era il giudizio unanime degli esperti di calcio. Il Milan segnò su autorete di Seghedoni, che deviò involontariamente un tiro del solito Galli, con Virgili non colpevole ( A detta dei compagni di squadra Virgili era un portiere improvvisato, ma eccellente).
La partita venne decisa al minuto 69 - sempre i numeri 6 e 9! - con una repentina azione che sarebbe utopico pretendere dal Bari visto all’opera in questo aprile 2021: dal portiere barese Virgili a Conti, da questi a Cicogna, quindi a Magnanini, il portiere che giocava ad ala per fare ‘presenza’, e, da questi con velocità di esecuzione da vero attaccante, a Biagio Catalano (un giocatore superiore alla media, bravo, generoso, esemplare e che avrebbe meritato una gloria maggiore di quella ottenuta!) che, superato di slancio Cesare Maldini ed un altro difensore, con un tiro angolato metteva la palla in rete. Il risultato non mutò fino al termine e la gioia composta ma irrefrenabile e travolgente della colonia pugliese di Milano diede vita a quella che viene considerata la ‘sesta giornata della Milano di lingua barese’. Prima vi ho menzionato Altafini che aveva inserito, dopo i tre giocatori determinanti del Bari, un non espresso ma per me ‘intuibile’ pensiero…”se fossero capitate a lui le occasioni avute dal suo compagno di squadra, la storia del 30/4/1961 sarebbe stata diversa”. Anche la storia dell’Italia con la Corea del 1966 sarebbe diversa se Perani non avesse sbagliato ‘troppo’ in quella ‘paradossale’ partita.
Pensate oggi celebriamo i 60 anni trascorsi dalla ‘presa di Milano’ da parte del Bari - 8oo da quella nota come ‘assedio di Milano’ avvenuta il 30 maggio 1161…quanto lavoro per coloro il cui compito è quello di dare un senso allo ‘scorrere’ dei numeri - ma l’impresa è ancora viva nella memoria di chi ha avuto la gioia e la fortuna di viverla da barese, anche se non tifoso: il tempo si sa uccide tutti i colpevoli, presunti o meno, ma non i ‘miracoli’.
Lo stesso miracolo che chiediamo al Bari del ritrovato Auteri, il tecnico noto come lo ‘Special one di Floridia’, e che il Maestro Eugenio Fascetti, un allenatore che i tifosi baresi non dimenticheranno mai, volle come attaccante nel 1981 per il suo Varese. La data di nascita del mister siciliano è 21 settembre 1961 (ripeto 1961) e tutti sanno della famosa pietra bianca siracusana, ma pochi conoscono la famosa e magnifica grotta artificiale denominata ‘Orecchio di Dionisio’, situata sotto il teatro greco di Siracusa ( V secolo a.C.). Un certo Michelangelo Merisi nel 1608 (6 e 8+1=9), in visita a questo capolavoro fece notare che la forma della grotta fosse simile ad un orecchio. Si poteva non tenere conto del parere del grande Caravaggio? Da quel momento la grotta fu denominata ‘Orecchio di Dionisio’, il tiranno che faceva ‘sbattere’ i suoi oppositori sul fondo di oltre 60 metri della cavità e, nonostante questo, riusciva ad origliare quello che i poverini si dicevano, dato che la voce, per speciali e naturali ‘giochi’, era amplificata di almeno 15 volte. Pensate queste notizie sono giunte a noi grazie ad uno storico di nome Mirabella Vincenzo - parente, forse, del Michele che tutte le domeniche dispensa equilibrati, saggi, ponderati suggerimenti e colte, erudite, dotte citazioni? - che accompagnò Caravaggio nella visita.
Chiaramente non sto chiedendo al tecnico Auteri di portare i giocatori in ritiro in quella grotta e magari origliare per capire se sia possibile ancora perdere con la dignità con cui ogni sconfitta va accettata, ma, credendo fortemente che la rosa sia composta da seri professionisti che stanno vivendo il famoso periodo nero in cui tutto appare perduto, mi permetto di ricordare loro che un BARI in serie B sarebbe un ‘miracolo’ della stessa portata della vittoria ottenuta a Milano il 30 aprile 1961. IL ‘Gruppo amici di San Nicola’ ( Michele M., Nicola, Peppino, Luigi, Gianni, Michele P., Antonio, Marco Matteo e Ciro) ha potuto verificare e accertare statisticamente che la DEA del calcio è golosa, quasi ingorda, della nostra…’focaccia’, per cui è lecito ‘sperare’ nel MIRACOLO come è doveroso fare di tutto, con ‘azioni’ e opere, perché ciò possa essere facilitato da coloro che saranno ricordati come artefici del prodigio: L’acque ca non jàve fatte ngjièle stà - Scave sotte ca stà u tresòre.