Il cinema di Piero Virgintino (ri)visto da Nicola Mascellaro


LIVALCA La frase non è mia - non desidero paternità acquisite perché il difficile non è diventare padre ma esserlo (anche questa perla di saggezza appartiene ad altri) - e la riporto solo in considerazione del fatto che colui che ha avuto l’ardire di pronunciarla si limitava a fare una semplice considerazione statistica: «Ormai i pensionati della nostra “Gazzetta” pubblicano un libro ogni dodici mesi».  In verità l’uomo archivio, all’anagrafe Nicola Mascellaro, sforna due libri l’anno e chi scrive nel 2020, sempre sul «GIORNALE DI PUGLIA» di entrambi i testi si è occupato.

Giorni fa Nicola mi ha portato personalmente il libro e, tra mascherina e sordità che ci accomuna, abbiamo dato via ad un ‘siparietto’ ridicolo che giustifico con la famosa frase di Goethe «L’uomo intelligente  trova ridicolo quasi tutto, l’uomo sensato quasi nulla». Avevo fatto presente a Nicola che ero ai limiti del tempo che mi è concesso per stare in piedi e, riposto il volume «PIERO VIRGINTINO - Il critico che raccontava il cinema» (DI MARSICO LIBRI, Modugno 2021, e 12,00) insieme agli altri in attesa di lettura, ci siamo salutati.  Due minuti dopo è ricomparso dicendo:«Gianni non trovo le ‘chiavi’, mi servono per guidare». Mentre pronunciava queste parole aveva già iniziato la caccia al tesoro sulla scrivania adiacente la sedia che aveva occupato. Controllate le quattro pseudo scrivanie presenti ho detto “rivedi in tasca”, da questa verifica sono spuntate delle chiavi «Hai visto che le avevi?», ma subito Nicola «Cerco gli occhiali, non le chiavi».   Il mio attimo di smarrimento è durato pochi secondi, poi scrutato il volto del mio interlocutore ho rinvenuto il corpo del ‘reato’, alzato sulla fronte…alla Federico Fellini.  Una scena da pellicola neorealista - Bari città aperta - che avrebbe fatto sorridere il critico Virgintino.

In una prefazione tanto affettuosa quanto colta Oscar Iarussi, il cronista in sostanza subentrato a Virgintino come esperto di cinema, ci regala riferito a Don Pierino «Giornalista tout court nella redazione della vivacissima Gazzetta del Mezzogiorno post bellica, prima di diventare titolare delle recensioni della Settima arte», che è un ritratto fedele di quello che era una volta il lavoro nelle redazioni dei quotidiani e giornali in genere.  La definizione di Settima arte si deve al nostro scrittore, poeta e teorico del cinema Ricciotto Canudo, nato a Gioia del Colle nel 1877  e morto a Parigi a solo 46 anni, che Iarussi definisce con grande arguzia felliniana-laudadiana barisien-parisien (Conoscente, gli amici non fanno queste cose, che ti sei preso in prestito il volume di Canudo pubblicato  postumo a Roma nel 1965 dal titolo “L’officina delle immagini” ti sarei grato per il rientro dell’opera). 

Iarussi scrive inoltre una verità che pochi comprenderanno, ma della cui ‘caratura’ umilmente mi faccio carico «Il giornalismo - come pochi sanno fuori dal mestieraccio  - non coincide affatto esclusivamente con la scrittura» e che sembra fare il verso al passo copernicano  De Revolutionibus «Si ammette ordinariamente tra gli autori che la terra è immobile al centro del mondo, in modo tale che essi stimano insostenibile e anche ridicolo pensare il contrario…». Con il ricorso a  Copernico ritengo di essermi assicurata la telefonata di Mascellaro nella quale contesterà il mio modo poco ortodosso di approcciarmi al suo libro.  Iarussi - chiamarlo Oscar (Guerriero di Dio) è stato indicargli già la strada del grande schermo, non a caso il suo «Andar per i luoghi del cinema» è un piccolo bocciolo miracolo(so) che pare ispirarsi ai migliori anni del duo De Sica Zavattini - al termine della sua ‘filiale’ prefazione si sofferma sulla gigantografia esposta nel Palazzo del Cinema di Venezia in cui si può ammirare, fra i tanti, un elegante dottor Virgintino in giacca bianca. A parere del giornalista che nel 2020 ha pubblicato, sempre per «il Mulino» di Bologna, «Amarcord Fellini-L’alfabeto di Federico» solo l’avvocato Manuel Virgintino poteva ‘scovare’ il padre in quella foto.  Dal momento che «La verità è la somma delle contraddizioni in cui inciampano gli uomini intelligenti», caro Iarussi, devo farti notare che, dall’inizio di questo secolo, abbiamo dimenticato come si guardano le fotografie - anche il cinema onestamente - e non siamo più in grado di soffermarci su una delicata immagine in  bianco e nero per più di cinque secondi, ‘bombardati’ a ritmo serrato da un ‘colore’ di cui il nostro cellulare è custode intransigente ed innocuo al servizio di migliaia di scatti senza materia, corpo ed anima.  

Avevo conosciuto Virgintino la sera della prima all’Orfeo di «Polvere di stelle», il film scritto da Sordi con Maccari e Zamponi, diretto, interpretato dallo stesso con Monica Vitti e Alvaro Vitali. Michele Lomaglio, Paolo Catalano, Franco Chieco e Aurelio Papandrea che mi ‘scortavano’ mi  presentarono  come “il figlio di don Mario Cavalli”, rammento  solo una risposta tipo “bene”. Anni dopo, a metà anni ’80, rivangai telefonicamente l’episodio a Virgintino, ma notai che era tutto preso dal suo lavoro manageriale. Fu di una precisione e disponibilità difficilmente riscontrata in tanti anni. Mi richiamò, cosa già poco usuale, e risolvemmo la questione che riguardava una inserzione pubblicitaria su una rivista… “1.200.000 occhi ogni giorno guardano LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO”(GRAPHIDEABARI).  Mi colpì molto la sua totale efficienza e il non voler perdere tempo inutile, senza apparire scortese.  Quando riferii a mio padre dell’accaduto disse una frase tipo “un galantuomo che sta verificando quando la finzione del cinema, mal si concili con la quadratura dei conti della vita”.  Tornando alla sera della prima di «Polvere di stelle» i miei ricordi sono che entrò Chieco e gli altri rimasero fuori, magari si fecero largo in un secondo momento. Ormai constatato l’impossibilità di fare breccia nel rigido protocollo, decisi di andarmene con Michele Consiglio, nel mentre compariva  un ‘impettito’ Beppe Lopez che scortava il primo presidente del Consiglio Regionale Pugliese, l’on. prof. Beniamino Finocchiaro, futuro presidente RAI. Certo i ricordi devono fare i conti con il mezzo secolo trascorso, ma quelli ‘simpatici’ riescono a sopravvivere, per cui vi regalo che molti affermavano di conoscere il produttore del film, Amati, e che io in un articolo del 1967 avevo definito il film  «Fumo di Londra» eccezionale solo nelle musiche del maestro Piero Piccioni.  Anche per «Polvere di stelle» salvai le musiche e Monica Vitti, chiaramente Sordi come attore non si poteva discutere, ma come autore e regista…forse.   Per la cronaca oggi da anta-anta quando rivedo nelle notti insonni queste pellicole le trovo ‘formidabili’, anche nella regia.  Quindi nel momento in cui si  afferma che si è giovani una volta soltanto nella vita devo ritenere abbiano ragione coloro che  precisano, in coscienza, che è il massimo che la società possa sopportare (messaggio da valutare alla luce della  ‘presunta’ verità che glia anziani non sono più in grado di dare…cattivi esempi) o….ognuno si ‘confezioni e proietti’ il film più confacente alle proprie aspettative. 

Una delle pagine  più significative  del libro di Mascellaro è quella dedicata al film di Rossellini Roberto «Il generale Della Rovere». Siamo nel 1959 e il giovane Virgintino, preso da questa storia in cui  un millantatore sfodera quell’orgoglio (italiano si può ancora dire?) in grado di far naufragare l’opportunismo, ‘dipinge’  una recensione che al direttore Luigi de Secly appare meritevole della prima pagina. Detto fatto per la prima volta la Gazzetta esce  con in prima pagina un articolo che parla di cinema e, pensate, con titolo su quattro colonne.

Quando Virgintino si sposa, nel 1959 nella cappella dell’Istituto Di Cagno Abbrescia in via Napoli, chi scrive doveva ancora compiere dieci anni e non poteva prevedere che quella zona gli sarebbe stata familiare prima come studente del Flacco e poi perché il padre avrebbe trasferito la sede dell’azienda da via Crisanzio,  proprio in via Napoli, a pochi metri dal Di Cagno.

Il libro di Nicola appare ‘scritto’ da Piero Virgintino tanti sono i pezzi che vengono riportati integralmente e che fanno riferimento a personaggi che hanno fatto la storia del cinema mondiale : da FranK Capra a Rita Hayworth, da Pietro Germi a Stefania Sandrelli, da Marcello Mastroianni a Sophia Loren, da Woody Allen a Lina Wertmuller, da Totò a Silvana Mangano, da Pasolini ad Anna Magnani, da Luis Bunuel a Catherine Deneuve, da Luchino Visconti a Marisa Allasio, da Dino Risi a Lorella De Luca, da Renato Salvatori ad Alessandra Panaro, da Federico Fellini a Giulietta Masina, da Alfred Hitchcok a Claudette Colbert, da Tyron Power a Ingrid Bergman, da Charles Chaplin a Claire Bloom, da Amedeo Nazzari a Yvonne Sanson e tanti altri importanti attori.

Nicola Mascellaro viene, a furor di popolo di coloro che  vanno per gli ottanta, considerato uno che non ha mai nascosto, le poche volte in cui è ‘finito’ in errore, di aver sbagliato.   Con la sua indiscussa abilità di genio dell’archivio di documentazione ha proposto in ultima di copertina del suo libro una ‘retro-marcia’ di Virgintino nei riguardi di Vittorio Gassman: «E poi, finalmente Don Pierino rivaluta Vittorio Gassman facendo ammenda di un suo precedente giudizio sull’attore cinematografico nella recensione del film Mambo del 1954 quando scrisse…è meglio che Gassman lasci perdere il cinema, il palcoscenico è il set adatto a lui… Ne ‘I soliti ignoti’ invece, lo trova…sorprendente, forse per la prima volta attore cinematografico così persuasivamente ameno con la sua balbuzie, la parlata con la ‘effe’, il naso rifatto e lo strano dialetto».

Virgintino, come Mascellaro, fa  parte della esigua schiera di persone che sanno ammettere il loro, eventuale, errore e perciò sono da stimare ancora di più rispetto a chi, vive, cercando di evitarlo.

 Piero Virgintino ha lasciato ai figli, Nicoletta e Manuel, un testamento di serietà, rigore, fiducia e ‘credo’ che può essere esteso a tutto il popolo italiano senza perdere un grammo della propria intensità:«Castellani (si riferisce a Renato, regista e sceneggiatore, 1913-1985) che al neorealismo ha dato pagine di squisito cinema, ha aggiunto con questo film una nuova perla per felicità d’invenzione, per pienezza d’ispirazione e per bontà di realizzazione che poche volte è dato di vedere sullo schermo. Egli è un ottimista, lontano dagli scoramenti di De Sica e forse così costruisce di più perché ha capito l’anima della nostra gente che alla sofferenza unisce istintivamente la speranza e la fede».  

Quella speranza che serve a tutti noi ogni giorno dalla carta stampata al modello online, quella speranza che è un prestito che va onorato con impegno e dedizione, in modo da poter rendere pragmatico il messaggio di San Giacomo «La fede senza le opere è morta».

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