FILIPPO MARIA BOSCIA* - Essendo stato invitato da alcuni illustri colleghi - in occasione del recente, ennesimo dibattito tra favorevoli e contrari alla legge sull’aborto (n. 194 dell’anno 1978), contro la quale nel mio intervento avevo confermato un convinto e motivato dissenso - ad esplicitare cosa si possa fare di positivo, desidero replicare, pur giudicando il discorso in merito sempre piuttosto complesso per le molteplici sfaccettature che presenta, riprendendo e sottolineando quanto detto nel comunicato precedente che già conteneva implicite risposte.
In ogni senso, non si può negare che con gli aborti si sia sempre un po’ largheggiato (nessun colloquio, certificati facili, anche psichiatrici). In tempi recenti tale fenomeno si è accentuato col passaggio dalla modalità chirurgica a quella farmacologica (niente ricovero, niente anestesia, niente sala operatoria). Ancor più da quando sono in commercio le cosiddette “pillole del giorno dopo”, soprattutto dopo l’accesso facilitato dall’abolizione della prescrizione medica. Senza la possibilità di un dialogo chiarificatore, che evidenzi la probabile inutilità dell’assunzione e metta in guardia dall’eventualità di squilibri ormonali successivi.
Tutto questo pare ci scivoli addosso, in realtà senza alcuna incisività da parte di noi ginecologi. Si dirà è frutto dell’evoluzione della medicina, che va ben oltre la nostra volontà. Ma crediamo davvero che in tal modo si faccia veramente l’interesse delle donne e si contribuisca alla cura della loro salute? E non piuttosto badando di più alla prevenzione e offrendo una giusta informazione riguardo la sessualità e la procreazione responsabile, soprattutto alle più giovani, a maggior rischio per le malattie a trasmissione sessuale?
Le donne urlano a difesa della libertà di decidere della propria vita e del proprio corpo. Nessuno vuole negarla. Ma che libertà è prendere una pillola abortiva come se fosse un lassativo? Un sorso d’acqua e ci liberiamo, nell’uno come nell’altro caso, e non ci pensiamo più. Ma è proprio così? E perché non pensarci prima? Il lavoro, la realizzazione, la carriera: tutte cose belle, ma se interferiscono pesantemente con le potenzialità generative? E non è colpa di noi ginecologi aver creato miti, come quello della fecondità eterna?
Ecco allora che il sacro furore delle contestazioni pseudo-femministe, più che a difesa di un supposto diritto, che comunque è garantito - perché chi vuole abortire, anche nelle difficoltà narrate, ma negate dal rapporto ministeriale, bene o male riesce a farlo - sarebbe meglio venisse orientato a sostenere le sacrosante rivendicazioni di altri più importanti, autentici diritti (tutela della gravidanza, sostegno alla maternità, pari opportunità uomo-donna) che, sebbene codificati, sono stati finora bellamente ignorati.
Certo noi medici per questo possiamo fare ben poco. Ma, oltre a tenere comportamenti più deontologicamente corretti, dovremmo offrire la disponibilità a sederci attorno ad un tavolo, auspicabilmente libero da qualsiasi condizionamento ideologico, per discutere cosa si possa davvero fare per migliorare l’applicazione della legge in tutti i suoi aspetti e proporre soluzioni ai decisori della politica, così da essere davvero protagonisti di una storia che finora ci ha visti solo meri esecutori.
*Presidente Nazionale dell’Associazione Medici Cattolici Italiani. Professore di Fisiopatologia della Riproduzione Umana, Università di Bari
Opera: Alessandro Argentina:Voglio vivere, bimbo in fasce (Terracotta altezza 40).
In ogni senso, non si può negare che con gli aborti si sia sempre un po’ largheggiato (nessun colloquio, certificati facili, anche psichiatrici). In tempi recenti tale fenomeno si è accentuato col passaggio dalla modalità chirurgica a quella farmacologica (niente ricovero, niente anestesia, niente sala operatoria). Ancor più da quando sono in commercio le cosiddette “pillole del giorno dopo”, soprattutto dopo l’accesso facilitato dall’abolizione della prescrizione medica. Senza la possibilità di un dialogo chiarificatore, che evidenzi la probabile inutilità dell’assunzione e metta in guardia dall’eventualità di squilibri ormonali successivi.
Tutto questo pare ci scivoli addosso, in realtà senza alcuna incisività da parte di noi ginecologi. Si dirà è frutto dell’evoluzione della medicina, che va ben oltre la nostra volontà. Ma crediamo davvero che in tal modo si faccia veramente l’interesse delle donne e si contribuisca alla cura della loro salute? E non piuttosto badando di più alla prevenzione e offrendo una giusta informazione riguardo la sessualità e la procreazione responsabile, soprattutto alle più giovani, a maggior rischio per le malattie a trasmissione sessuale?
Le donne urlano a difesa della libertà di decidere della propria vita e del proprio corpo. Nessuno vuole negarla. Ma che libertà è prendere una pillola abortiva come se fosse un lassativo? Un sorso d’acqua e ci liberiamo, nell’uno come nell’altro caso, e non ci pensiamo più. Ma è proprio così? E perché non pensarci prima? Il lavoro, la realizzazione, la carriera: tutte cose belle, ma se interferiscono pesantemente con le potenzialità generative? E non è colpa di noi ginecologi aver creato miti, come quello della fecondità eterna?
Ecco allora che il sacro furore delle contestazioni pseudo-femministe, più che a difesa di un supposto diritto, che comunque è garantito - perché chi vuole abortire, anche nelle difficoltà narrate, ma negate dal rapporto ministeriale, bene o male riesce a farlo - sarebbe meglio venisse orientato a sostenere le sacrosante rivendicazioni di altri più importanti, autentici diritti (tutela della gravidanza, sostegno alla maternità, pari opportunità uomo-donna) che, sebbene codificati, sono stati finora bellamente ignorati.
Certo noi medici per questo possiamo fare ben poco. Ma, oltre a tenere comportamenti più deontologicamente corretti, dovremmo offrire la disponibilità a sederci attorno ad un tavolo, auspicabilmente libero da qualsiasi condizionamento ideologico, per discutere cosa si possa davvero fare per migliorare l’applicazione della legge in tutti i suoi aspetti e proporre soluzioni ai decisori della politica, così da essere davvero protagonisti di una storia che finora ci ha visti solo meri esecutori.
*Presidente Nazionale dell’Associazione Medici Cattolici Italiani. Professore di Fisiopatologia della Riproduzione Umana, Università di Bari