FRANCESCO GRECO - Malvasia è stata assassinata, il commissario Arena e l’aiutante Gippo cercano di dare un volto a chi ha commesso il delitto. Siamo nei dintorni di Napoli, città dove il teatro è diffuso, ogni mattina si batte il ciak e si recita a soggetto. Perfetta sintesi della tragedia greca e della commedia romana. E infatti nella prosa di Gilda Policastro c’è l’eco indolente di Elena Ferrante, la sensuale densità di Domenico Rea, il pathos di Eduardo, la vis fatalista di chi vive all’ombra cupa del Vesuvio.
La stessa Malvasia incarna un grumo intenso di mistero e passione, di modulazione di vita cercata ma difficile a trovare, di indizi che la scrittrice butta qua e là quasi accidentalmente.
“La parte di Malvasia”, di Gilda Policastro, La nave di Teseo, Milano 2021, pp. 208, euro 17,00 è un romanzo all’apparenza di genere, in realtà contiene una solida architettura narrativa, dove prevale una modulazione antropologica, quasi un bestiario, e non potrebbe essere altrimenti stante la location prescelta, e non è vero quel che premette, quasi a sviare il lettore: “un posto così povero di accadimenti: a parte le morti di tumore o infarto”. Accade, e tanto.
Di Malvasia a ogni pagina apprendiamo un particolare, scopriamo un aspetto insospettato (“seno sodo, gambe tornite”), come d’altronde della fauna che le gravita intorno (e che sfila dinanzi agli inquirenti), personaggi sbozzati in archetipi facilmente riconoscibili se il lettore è nato sulle rive del Mediterraneo.
Era una donna riservata assai, proteggeva tenacemente la sua privacy, i vicini ne erano indispettiti, normale all’epoca dei social e delle profilazioni di cui siamo s/oggetti.
Identità fragile, equilibrio mentale esiguo, era single, ma “la più attraente”: cercava un uomo da sposare (“ero incostante, inaffidabile”); aveva amanti, ma nessuno li ha mai visti, dove li incontrava? Intanto non era social e affidava tutto alla mail e affollava cartelle di materiale. Forse scappava da qualcosa, o da qualcuno…
La sua infanzia è stata problematica, “mio padre se aveva un problema per lo più ne rimandava la soluzione… Mia madre, la regina dell’ansia… era sempre preoccupata”. Come l’adolescenza: “Quello che si fanno le persone quando vogliono darsi il piacere ha quasi sempre a che fare con il dolore”.
Premesse di quella che sarebbe stata la vita futura, perché “noi siamo fatti per la vita orizzontale, in quella verticale, non ci orientiamo”. Sembra un motto filosofico, ma siamo a Napoli, patria di Bellavista, Eduardo e Totò.
Sarebbe curioso sapere quanto c’è di barocco, anzi, di rococò di Malvasia nella scrittrice…
La stessa Malvasia incarna un grumo intenso di mistero e passione, di modulazione di vita cercata ma difficile a trovare, di indizi che la scrittrice butta qua e là quasi accidentalmente.
“La parte di Malvasia”, di Gilda Policastro, La nave di Teseo, Milano 2021, pp. 208, euro 17,00 è un romanzo all’apparenza di genere, in realtà contiene una solida architettura narrativa, dove prevale una modulazione antropologica, quasi un bestiario, e non potrebbe essere altrimenti stante la location prescelta, e non è vero quel che premette, quasi a sviare il lettore: “un posto così povero di accadimenti: a parte le morti di tumore o infarto”. Accade, e tanto.
Di Malvasia a ogni pagina apprendiamo un particolare, scopriamo un aspetto insospettato (“seno sodo, gambe tornite”), come d’altronde della fauna che le gravita intorno (e che sfila dinanzi agli inquirenti), personaggi sbozzati in archetipi facilmente riconoscibili se il lettore è nato sulle rive del Mediterraneo.
Era una donna riservata assai, proteggeva tenacemente la sua privacy, i vicini ne erano indispettiti, normale all’epoca dei social e delle profilazioni di cui siamo s/oggetti.
Identità fragile, equilibrio mentale esiguo, era single, ma “la più attraente”: cercava un uomo da sposare (“ero incostante, inaffidabile”); aveva amanti, ma nessuno li ha mai visti, dove li incontrava? Intanto non era social e affidava tutto alla mail e affollava cartelle di materiale. Forse scappava da qualcosa, o da qualcuno…
La sua infanzia è stata problematica, “mio padre se aveva un problema per lo più ne rimandava la soluzione… Mia madre, la regina dell’ansia… era sempre preoccupata”. Come l’adolescenza: “Quello che si fanno le persone quando vogliono darsi il piacere ha quasi sempre a che fare con il dolore”.
Premesse di quella che sarebbe stata la vita futura, perché “noi siamo fatti per la vita orizzontale, in quella verticale, non ci orientiamo”. Sembra un motto filosofico, ma siamo a Napoli, patria di Bellavista, Eduardo e Totò.
Sarebbe curioso sapere quanto c’è di barocco, anzi, di rococò di Malvasia nella scrittrice…