FRANCESCO GRECO - “Lui era primavera, dorato e splendente…”.
Troia è “città di belle donne”, ricca e potente. In visita a Sparta, il principe troiano Paride figlio di Priamo e fratello di Ettore, rapisce la principessa Elena (annoiata da dieci anni di vita a corte), moglie di Menelao, figlio di Atreo, fratello di Agamennone. E’ la donna più bella del mondo, ma ignoriamo com’era fatta, ci fidiamo: all’epoca non c’erano spa né lifting.
Nell’aria c’è odore di guerra e “tutti coloro che combatteranno torneranno a casa con grandi bottini e onori…”, “Agamennone ha promesso oro e onore…”, “Quelle erano le parole giuste. La ricchezza e la reputazione erano le due cose per cui la nostra gente era sempre stata disposta a uccidere”. Giusto per sgombrare il campo da posticci idealismi: si combatteva per l’oro e per dormire con le principesse.
Semidio, figlio del re Peleo e della ninfa Teti, Achille ha 17 anni. Agamennone mette insieme una lega per la guerra, e vuole che il principe ne faccia parte, come anche i re che chiesero la mano di Elena, senza ottenerla (Odisseo che parla sempre di Penelope, Diomede, ecc.).
Ma Teti non è d’accordo e porta Achille a Sciro (“l’isola dei nascosti”), dal re Licomede, un regno alla deriva. Nei panni femminili, il futuro eroe diventa una danzatrice. Quando Patroclo lo raggiunge (“lasciò andare la mano di Deidamia e corse felice da me…”), con cui è cresciuto (il padre lo ha esiliato a causa di un delitto involontario, “avresti potuto dire che lo avevi trovato già morto”), la principessa Deidamia, a cui Teti lo ha unito in matrimonio, aspetta un bambino, e alla domanda del re “Chi è quest’uomo?”, risponde: “Mio marito”. Il figlio Neottolemo, alias Pirro per i capelli rossi (aristos acheion a 12 anni), lo ritroveremo nella seconda parte del libro: la Miller ha un tocco magico che ti tiene arpionato sino all’ultima riga: in fondo è l’avvenimento più fascinoso dell’antichità.
A scuola non ce l’hanno detto, pensavamo fosse solo complicità da tra eroi, c’era di più, ma la scrittrice usa accenti lievi e lirici, niente a che vedere con l’arroganza gender di oggi. Però quel grido di Giorgio Bracardi ad “Alto gradimento”, l’altro secolo, “Patrocloooo!”, avrebbe dovuto insospettirci.
Insomma, Achille e Patroclo erano una coppia sin da piccoli (“Stanotte dormirai nella mia stanza”, “c’era qualcosa di incantevole in lui”, “mi raggiunse e mi spinse sul giaciglio”).
La loro storia è raccontata da Madeline Miller in “La canzone di Achille”, Marsilio, Venezia 2021, pp. 382, € 11,00, traduzione di Matteo Curtoni e Maura Parolini. Nel frattempo ha scritto “Circe” (Sonzogno), che correremo subito a procurarci: tanti scrivono del passato, pochissimi hanno la sua grazia.
Apparso per la prima volta (Sonzogno), nel 2013, fu tradotto in 25 lingue. E dopo un passaggio nell’Universale Economica Feltrinelli, ritorna e svetta con pieno merito nelle hit dell’estate 2021: la scrittrice di Boston (dottorato in Lettere Classiche, ha insegnato drammaturgia e adattamento teatrale dei testi classici a Yale) si è rifatta alle fonti più autorevoli per il suo intreccio.
Della civiltà e cultura ellenistica c’è tutto sin nei particolari: mito, rito, onore e virtù, culto estremo della bellezza, superstizioni, le profezie, le corti, le capricciose divinità antropomorfe che reggono un po’ i troiani (Apollo) e un po’ i greci (Atena), in una guerra parallela. La ricostruzione della vita quotidiana sin nelle sfumature. Anche i personaggi sullo sfondo, da Calcante a Ifigenia, da Fenice a Briseide e Cherone, ecc.
Tra il mancato matrimonio dell’aristos acheion con Ifigenia figlia di Agamennone che ha offeso Artemide e la “protezione” dell’amante costretto a combattere dopo il fallimento delle trattative con Priamo (“Ma la signora non desidera tornare e ha chiesto la nostra protezione”) sulla pianura di Troia colma di sangue e di morti (come lo Scamandro), la storia fra i due eroi tiene avvinti perché la prosa della Miller è magnetica, ipnotica, come una trance.
Nell’aria c’è odore di guerra e “tutti coloro che combatteranno torneranno a casa con grandi bottini e onori…”, “Agamennone ha promesso oro e onore…”, “Quelle erano le parole giuste. La ricchezza e la reputazione erano le due cose per cui la nostra gente era sempre stata disposta a uccidere”. Giusto per sgombrare il campo da posticci idealismi: si combatteva per l’oro e per dormire con le principesse.
Semidio, figlio del re Peleo e della ninfa Teti, Achille ha 17 anni. Agamennone mette insieme una lega per la guerra, e vuole che il principe ne faccia parte, come anche i re che chiesero la mano di Elena, senza ottenerla (Odisseo che parla sempre di Penelope, Diomede, ecc.).
Ma Teti non è d’accordo e porta Achille a Sciro (“l’isola dei nascosti”), dal re Licomede, un regno alla deriva. Nei panni femminili, il futuro eroe diventa una danzatrice. Quando Patroclo lo raggiunge (“lasciò andare la mano di Deidamia e corse felice da me…”), con cui è cresciuto (il padre lo ha esiliato a causa di un delitto involontario, “avresti potuto dire che lo avevi trovato già morto”), la principessa Deidamia, a cui Teti lo ha unito in matrimonio, aspetta un bambino, e alla domanda del re “Chi è quest’uomo?”, risponde: “Mio marito”. Il figlio Neottolemo, alias Pirro per i capelli rossi (aristos acheion a 12 anni), lo ritroveremo nella seconda parte del libro: la Miller ha un tocco magico che ti tiene arpionato sino all’ultima riga: in fondo è l’avvenimento più fascinoso dell’antichità.
A scuola non ce l’hanno detto, pensavamo fosse solo complicità da tra eroi, c’era di più, ma la scrittrice usa accenti lievi e lirici, niente a che vedere con l’arroganza gender di oggi. Però quel grido di Giorgio Bracardi ad “Alto gradimento”, l’altro secolo, “Patrocloooo!”, avrebbe dovuto insospettirci.
Insomma, Achille e Patroclo erano una coppia sin da piccoli (“Stanotte dormirai nella mia stanza”, “c’era qualcosa di incantevole in lui”, “mi raggiunse e mi spinse sul giaciglio”).
La loro storia è raccontata da Madeline Miller in “La canzone di Achille”, Marsilio, Venezia 2021, pp. 382, € 11,00, traduzione di Matteo Curtoni e Maura Parolini. Nel frattempo ha scritto “Circe” (Sonzogno), che correremo subito a procurarci: tanti scrivono del passato, pochissimi hanno la sua grazia.
Apparso per la prima volta (Sonzogno), nel 2013, fu tradotto in 25 lingue. E dopo un passaggio nell’Universale Economica Feltrinelli, ritorna e svetta con pieno merito nelle hit dell’estate 2021: la scrittrice di Boston (dottorato in Lettere Classiche, ha insegnato drammaturgia e adattamento teatrale dei testi classici a Yale) si è rifatta alle fonti più autorevoli per il suo intreccio.
Della civiltà e cultura ellenistica c’è tutto sin nei particolari: mito, rito, onore e virtù, culto estremo della bellezza, superstizioni, le profezie, le corti, le capricciose divinità antropomorfe che reggono un po’ i troiani (Apollo) e un po’ i greci (Atena), in una guerra parallela. La ricostruzione della vita quotidiana sin nelle sfumature. Anche i personaggi sullo sfondo, da Calcante a Ifigenia, da Fenice a Briseide e Cherone, ecc.
Tra il mancato matrimonio dell’aristos acheion con Ifigenia figlia di Agamennone che ha offeso Artemide e la “protezione” dell’amante costretto a combattere dopo il fallimento delle trattative con Priamo (“Ma la signora non desidera tornare e ha chiesto la nostra protezione”) sulla pianura di Troia colma di sangue e di morti (come lo Scamandro), la storia fra i due eroi tiene avvinti perché la prosa della Miller è magnetica, ipnotica, come una trance.
Sublimi le pagine in cui Achille si rifiuta di combattere perché offeso da Agamennone e Patroclo indossa la corazza dell’eroe invincibile spingendosi sin sotto le mura di Troia, senza sospettare che Apollo sta col nemico. Così la profezia s’avvera, e ad Achille non resta che accendere la pira…
Una guerra di dieci anni, come il successivo viaggio di Odisseo: dev’essere un numero magico? Per le cronache: Elena alla fine torna pro domo sua, al talamo nuziale di Menelao: Priamo forse bluffava, ma se il re è quello che si umilia e va reclamare il corpo di Ettore, forse no. Come gli dei, grazie alla Miller, anche noi possiamo assaporare “ambrosia e nettare”.
Una guerra di dieci anni, come il successivo viaggio di Odisseo: dev’essere un numero magico? Per le cronache: Elena alla fine torna pro domo sua, al talamo nuziale di Menelao: Priamo forse bluffava, ma se il re è quello che si umilia e va reclamare il corpo di Ettore, forse no. Come gli dei, grazie alla Miller, anche noi possiamo assaporare “ambrosia e nettare”.
Un dolce sapore prima che, intriganti e suscettibili più di noi, sempre avidi di sacrifici, ci scaraventino nelle viscere oscure dell’Ade.