I proverbi nel dialetto barese


VITTORIO POLITO
- Molti predicono, a torto, il ‘de profundis' per i dialetti. Ma cos’è il de profundis? Un componimento poetico ebraico raccolto nel "Libro dei Salmi" della Bibbia e nell’espressione figurata, considerare qualcuno spacciato, condannato all’insuccesso o irrimediabilmente perduto.

Nel corso del Novecento la formazione di varietà regionali di italiano si estende progressivamente in tutte le aree del Paese, divenendo la modalità principale dell’emancipazione dalla dialettofonia e contribuendo in misura notevole all’evoluzione del repertorio linguistico nazionale. Quindi assai prematura la scomparsa delle parlate locali o dialetti.
Oggi parliamo dei proverbi del dialetto barese. I proverbi non sempre rappresentano la verità delle cose, ad ogni proverbio spesso corrisponde il rovescio della medaglia per coerenza alle contraddizioni della vita. Bisogna anche riconoscere ai proverbi la loro valida missione educativa e costruttiva, soprattutto perché spesso sono espressioni dialettali, quel dialetto che è stato la lingua dei nostri padri, un patrimonio da non disperdere.
A questo ci ha pensato Luigi Canonico, poeta dialettale barese, con il suo libro "Mile e na notte –Le ditte de srogheme" (3LT editore), il quale ha tradotto anche il Vangelo in dialetto barese (U vangèle - chendate da le quatte evangeliste: Matté, Marche, Luche e Giuanne – veldate a barése), cosa non semplice e scontata.
Canonico ha pubblicato il frutto di un’attenta e meticolosa ricerca fatta "in diretta" consultando il libro più autentico, quello della voce degli abitanti del centro storico di Bari. Ovviamente i proverbi riportati nel testo sono ritenuti normalmente parte del linguaggio barese, ma anche se alcuni potrebbero essere di altra provenienza, trasmetteranno ugualmente insegnamenti di vita.
Ed ora vediamo la sapienza dei nostri padri.
"Acquanne passe Criste da nanze a ccaste, lìivete u cappìidde" - Quando passa Cristo vicino a casa tua, togliti il cappello. Bisogna assegnare il rispetto a chi è dovuto.
"Vosce de pobbue, vosce de Ddì" - Voce di popolo, voce di Dio. Se tutti parlano di un dato avvenimento, allora vi sono buone probabilità che un fondo di verità esiste.
"A l’amisce non ze fasce mà a credènze" – Agli amici non si fa mai credito. Non mettersi in condizione di perdere un’amicizia a causa di interessi.
"Non aprénne l’écchie a le gattudde" – Non aprire gli occhi ai gattini. Non sempre conviene far conoscere fatti di certa natura a chi non è conveniente che li sappia.
"U core de la mamme ié come a la capanne" - Il cuore della mamma è come la capanna. Un affiancamento poetico ad un cuore ricco di amore, quello di una madre che offre sempre un riparo.
"Accome spìinne mange" - Come spendi mangi. La qualità della merce, il più delle volde, dipende da quanto spendiamo.
"U tìimbe ié galandome" – Il tempo è galantuomo. Il tempo risolve molti problemi.
"U uégghie vole scì sèmbe a ggalle" – L’olio vuole andare sempre a galla. Certuni vogliono a tutti i costi essere al centro dell’attenzione o vogliono sempre avere la meglio.
"La malèrve non more mà" – La malerba non muore mai. Detto di persone oltremodo insopportabili.
"La gestizzie de la tèrra tande iè bbone ca fasce la uèrre" – La giustizia della terra tanto è buona che fa la guerra. Molte volte la giustizia degli uomini produce ingiustizia.
E, in conclusione, una poesia dello stesso Canonico "Le ditte andiche" (I detti antichi), pubblicata sul volume citato.



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