Il vizio e i proverbi
VITTORIO POLITO – Il vizio è l‘abitudine radicata nell’individuo, ovvero il desiderio quasi morboso, di fare qualcosa che è o può essere nociva: avere il vizio di bere, di fumare, del vino, del gioco, di bestemmiare, di essere menefreghista, di non essere puntuale, ma vi sono anche i vizi di forma, ossia la mancanza di uno di quegli elementi formali che sono prescritti a pena di invalidità in un atto amministrativo o in una sentenza. Anche nel campo della medicina sono detti “vizi” certe alterazioni morfologiche di orifizi o aperture naturali o canali anatomici, causa di malattia come, ad esempio, vizio cardiaco o valvolare, ecc.).
Nella teologia morale occidentale, sono riconosciuti 7 peccati capitali (superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia) quando siano considerati non nell’individualità dell’atto, ma come abitudini, mentre in Oriente se ne contano 8 (gola, lussuria, avarizia, tristezza, ira, pigrizia, vanagloria, superbia). Anche Dante ne parla nella sua “Commedia”.
Ogni vizio, colpa, difetto, viene giustificato con un motivo più o meno nobile. Nessuno si dichiara coraggiosamente di essere vizioso senza cercare un alibi. Una massima latina attribuita a Seneca recita: “Nullum est vitium sine patrocinio” (Non c’è nessun vizio senza giustificazione).
Qualche lustro fa è stato pubblicato il volume di Anonymus “Anche in Vaticano…” (Editrice Ancora), contenente una raccolta di aneddoti, curiosità e hobby su Papi e ambienti ecclesiali del ventesimo secolo. Molti episodi sono pervenuti dalla viva voce di alcuni Monsignori e Prelati romani, molti altri sono stati “trasmessi” verbalmente con una buona dose di fantasia, molte volte sconfinata nella leggenda o nel mito.
Anche i Papi hanno i loro vizi, chiamati hobby. Papa Francesco (Jorge Mario Bergoglio), primo Papa argentino, è un rinomato tifoso del San Lorenzo, club argentino di grande prestigio e pare che anche qui nella capitale segua con interesse le vicende sportive.
Leone XIII (Gioacchino Pecci), era patito per il latino ma anche per le passeggiate e la caccia, hobby quest’ultimo che mantenne anche nei primi anni di pontificato, al punto che aveva fatto mettere nei Giardini Vaticani un roccolo per il richiamo degli uccelli.
Giovanni Paolo I (Albino Luciani), il cui pontificato durò solo 33 giorni per l’improvvisa morte, dette adito a ipotesi di complotti che avrebbero coinvolto sia prelati della Curia, sia torbidi personaggi esterni. Pare si sia trattato solo di fantapolitica e di invenzione di certi scrittori. La mattina, quando si alzava, continuò una sua vecchia abitudine, apriva da sé le finestre della stanza da letto e dello studio che lasciava aperte per far entrare l’aria ed il sole. Nei suoi momenti di libertà si dedicava al gioco delle bocce.
Passiamo ai proverbi.
“La via del vizio conduce al precipizio”. Chi si abbandona ai vizi finisce nella completa rovina.
“Ognuno si crede senza vizi perché non ha quelli degli altri”. Tutti possono sentirsi virtuosi vedendo che non hanno i vizi degli altri e non accorgendosi dei propri.
“Un vizio chiama l’altro”. Il vizio non sta mai solo: chi lo ha, per soddisfarlo, entra in altri comportamenti indegni e immorali.
“Vizio rinato, vizio peggiorato”. Quando un vizio che si riteneva eliminato ritorna, si manifesta spesso con maggiore gravità.
“Un uomo senza vizi è un santo che non fa miracoli”. È una persona alla quale manca il più e il meglio, in quanto nei vizi meglio si esprime il carattere e la personalità.
Curiosità. Fu Aristotele che descrisse i vizi capitali, definendoli “abiti del male”, perché riteneva che, come nel caso delle virtù, i vizi derivano dalla ripetizione di determinate azioni che formano nell’uomo che le compie, quello che lui definiva “un abito” che fa muovere l’individuo in una determinata direzione. Ma i vizi, rispetto alle virtù, non promuovono la nostra crescita.
Il fumo, all’inizio delle civiltà umane, non era oggetto di consumo di massa ma qualcosa di sacro: era un'esclusiva dei sacerdoti. Quelli Maya e Aztechi, già verso il 1000 a.C., soffiavano il fumo verso il Sole e in direzione dei punti cardinali per comunicare con le divinità. La nuvoletta di fumo, “immateriale” proprio come potrebbe essere uno spirito, era un'importante strumento religioso.
Il tanto vituperato fumo di tabacco, fu descritto per la prima volta all’epoca della scoperta dell’America da cronisti come Bartolomeo de Las Casas, era usuale fra i Taino (popolazione precolombiana che abitava l’attuale Santo Domingo): «Gli indiani mischiano il fiato con un’erba chiamata “pentum” (o tabago) e soffiano come dannati». Anni dopo, il governatore spagnolo di Santo Domingo, Don Fernando Oviedo, aggiungeva: «Fra le molte sataniche arti, gli indigeni ne posseggono una altamente nefasta, l’aspirazione del fumo delle foglie che essi chiamano tabacco che produce in loro un profondo stato di incoscienza».
Nella teologia morale occidentale, sono riconosciuti 7 peccati capitali (superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia) quando siano considerati non nell’individualità dell’atto, ma come abitudini, mentre in Oriente se ne contano 8 (gola, lussuria, avarizia, tristezza, ira, pigrizia, vanagloria, superbia). Anche Dante ne parla nella sua “Commedia”.
Ogni vizio, colpa, difetto, viene giustificato con un motivo più o meno nobile. Nessuno si dichiara coraggiosamente di essere vizioso senza cercare un alibi. Una massima latina attribuita a Seneca recita: “Nullum est vitium sine patrocinio” (Non c’è nessun vizio senza giustificazione).
Qualche lustro fa è stato pubblicato il volume di Anonymus “Anche in Vaticano…” (Editrice Ancora), contenente una raccolta di aneddoti, curiosità e hobby su Papi e ambienti ecclesiali del ventesimo secolo. Molti episodi sono pervenuti dalla viva voce di alcuni Monsignori e Prelati romani, molti altri sono stati “trasmessi” verbalmente con una buona dose di fantasia, molte volte sconfinata nella leggenda o nel mito.
Anche i Papi hanno i loro vizi, chiamati hobby. Papa Francesco (Jorge Mario Bergoglio), primo Papa argentino, è un rinomato tifoso del San Lorenzo, club argentino di grande prestigio e pare che anche qui nella capitale segua con interesse le vicende sportive.
Leone XIII (Gioacchino Pecci), era patito per il latino ma anche per le passeggiate e la caccia, hobby quest’ultimo che mantenne anche nei primi anni di pontificato, al punto che aveva fatto mettere nei Giardini Vaticani un roccolo per il richiamo degli uccelli.
Giovanni Paolo I (Albino Luciani), il cui pontificato durò solo 33 giorni per l’improvvisa morte, dette adito a ipotesi di complotti che avrebbero coinvolto sia prelati della Curia, sia torbidi personaggi esterni. Pare si sia trattato solo di fantapolitica e di invenzione di certi scrittori. La mattina, quando si alzava, continuò una sua vecchia abitudine, apriva da sé le finestre della stanza da letto e dello studio che lasciava aperte per far entrare l’aria ed il sole. Nei suoi momenti di libertà si dedicava al gioco delle bocce.
Passiamo ai proverbi.
“La via del vizio conduce al precipizio”. Chi si abbandona ai vizi finisce nella completa rovina.
“Ognuno si crede senza vizi perché non ha quelli degli altri”. Tutti possono sentirsi virtuosi vedendo che non hanno i vizi degli altri e non accorgendosi dei propri.
“Un vizio chiama l’altro”. Il vizio non sta mai solo: chi lo ha, per soddisfarlo, entra in altri comportamenti indegni e immorali.
“Vizio rinato, vizio peggiorato”. Quando un vizio che si riteneva eliminato ritorna, si manifesta spesso con maggiore gravità.
“Un uomo senza vizi è un santo che non fa miracoli”. È una persona alla quale manca il più e il meglio, in quanto nei vizi meglio si esprime il carattere e la personalità.
Curiosità. Fu Aristotele che descrisse i vizi capitali, definendoli “abiti del male”, perché riteneva che, come nel caso delle virtù, i vizi derivano dalla ripetizione di determinate azioni che formano nell’uomo che le compie, quello che lui definiva “un abito” che fa muovere l’individuo in una determinata direzione. Ma i vizi, rispetto alle virtù, non promuovono la nostra crescita.
Il fumo, all’inizio delle civiltà umane, non era oggetto di consumo di massa ma qualcosa di sacro: era un'esclusiva dei sacerdoti. Quelli Maya e Aztechi, già verso il 1000 a.C., soffiavano il fumo verso il Sole e in direzione dei punti cardinali per comunicare con le divinità. La nuvoletta di fumo, “immateriale” proprio come potrebbe essere uno spirito, era un'importante strumento religioso.
Il tanto vituperato fumo di tabacco, fu descritto per la prima volta all’epoca della scoperta dell’America da cronisti come Bartolomeo de Las Casas, era usuale fra i Taino (popolazione precolombiana che abitava l’attuale Santo Domingo): «Gli indiani mischiano il fiato con un’erba chiamata “pentum” (o tabago) e soffiano come dannati». Anni dopo, il governatore spagnolo di Santo Domingo, Don Fernando Oviedo, aggiungeva: «Fra le molte sataniche arti, gli indigeni ne posseggono una altamente nefasta, l’aspirazione del fumo delle foglie che essi chiamano tabacco che produce in loro un profondo stato di incoscienza».