FRANCESCO GRECO - Sorella di Marta e Lazzaro, Maria Maddalena (Maria di Magdala) è una delle figure più controverse e forse meno indagate della cristianità . Che ha costruito l’icona pedagogica della “peccatrice” redenta dal Cristo, una delle tante a dar retta alle parabole.
Che le cose stiano diversamente lo svelano alcuni elementi: innanzitutto nasce bene e quindi ha studiato; il risorto appare a lei per prima; la confidenza con cui si rivolge a Gesù al trapasso di Lazzaro: “Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto!”, suppone un che di familiare fra i due. E quel che accadde dopo, quando, giunta in Europa, si sposa e la si pone a capostipite della dinastia dei Merovingi. Scrisse dei Vangeli, per la Chiesa apocrifi, inattendibili, buoni per il falò.
La barocca Maddalena è la sottintesa protagonista di un mistery appassionante, di solida architettura, essenziale nel plot narrativo, ambientato nella Sicilia d’oggi, sullo sfondo della lotta per la successione di una start-up di successo, dove la competizione, come il paesaggio, è aspra e selvaggia, mors tua vita mea, in una famiglia retta da equilibri patriarcali, sia all’interno che all’esterno (nell’azienda di confetture lavorano tutti i parenti del fondatore della dinasty Gino, ultimo di dieci figli, pane scarso e i vestiti dei fratelli nell’infanzia), ma con le tare della modernità : le pupille dilatate di Simonetta, la mistica “cinese” del lavoro e poi un cinismo indolente, atmosfere rarefatte alla “il denaro non dorme mai”.
Secondogenito di un industriale selfmademan, all’improvviso Saro è sparito nel nulla, lascia dietro sé “un mistero arcano e sconvolgente come una maledizione…”. Si sa che amava il mare e le barche, come il cugino Mirco che non voleva perdere nemmeno nei giochi di bambini, e poi le buone letture, la solitudine (si assentava spesso dal lavoro): si sentiva soffocato dagli angusti orizzonti della provincia, forse, si dice, era gay…
E’ l’incipit de “Il segreto della Maddalena”, Les Flâneurs Editore, Bari 2021, pp. 183, € 15,00, collana “Maigret” (editore Noeap), quarta performance della scrittrice (nata a Brindisi) Annalaura Giannelli, avvocatessa di successo e attiva nel mondo della cultura, non solo in loco ma anche extra moenia (fra Cina e Spagna).
Del caso l’industriale (apprendiamo in cura da un analista di Bologna) chiama a occuparsi un detective di fama, Andrej Lupo, che per tracciare subito la terra dove lavorerà , i suoi umori più intimi, la sintonia con l’antica anima, seduce Aurora, bellissima cameriera dalla treccia lunga e morbida.
Lupo si fa aiutare da Karina, infanzia triste e solitaria alle spalle a casa della nonna nel Salento, genitori e fratelli emigranti in Svizzera, poi gli studi a Milano e l’incontro professionale con Lupo e dall’hacker Chicco… Anche Lupo è rimasto solo al mondo;: due rapinatori gli hanno ammazzato i genitori, maturandolo in fretta.
Inaspettato cambio di genere della scrittrice rispetto ai lavori precedenti: “Di terra e d’anima” (Adda, 2013, sul Sud in mutazione), “La figlia del destino” (Adda, 2017, sulla maternità sullo sfondo del crollo dei comunismi dell’Est), “Viaggio in ombra” (Adda, 2019, l’amore che unisce oltre ogni ostacolo, guerra inclusa).
Un rischio, ma anche una sfida affascinante. Vinta. E infatti il tocco magico e deciso, a tratti sensuale come l’incedere mediterraneo del tempo, è immutato, riconoscibile fra mille.
Ritroviamo i personaggi solidamente ancorati alla loro identità (dalla moglie del capo Concetta alla segretaria Mariagrazia), con una mission da compiere, col senso della responsabilità verso gli antenati, i Lari, e la terra che li ha generati e svezzati col suo latte generoso.
Un romanzo che ha il suo fascino nel ritmo serrato, con una sintonia carsica fra il livello sociologico, antropologico, psicologico, che danno vita a una musicalità sommessa sino alla fine, quando...
La Giannelli tratta il “sacro” con estremo pudore, ben sapendo quanto la materia sia fragile e relativa, come del resto ispido è il tema del paranormale, un livello di conoscenza per pochi iniziati che si rivela determinante nelle indagini.
L’ostentazione della virilità al limite del priapismo pare derivata da Brancati e Verga, la tendenza al barocco nell’atteggiamento dell’animo mutuata da Sciascia e Bufalino, il peripatetico filosofare da Battiato.
Pagina dopo pagina, come in un film, scorrono i frame di una Sicilia dolce e amara, rimasta nel suo profondo pagana, greca nel logos e nel senso del tragico delle agorà e i templi, araba nella ricerca insonne della voluttà , sveva nel vivere pragmatico, alla “del doman non v’è certezza”, di cui sapientemente la scrittrice coglie la dialettica del non detto sublimata in un archetipo.
Una terra di enigma e mistero, sorpresa nella sua magmatica bellezza quotidiana, senza i soffocanti luoghi comuni di Camilleri. Dove a volte, come in un verso del poeta greco Odisseas Elitis, “le icone dei Santi/ piangono lacrime vere”.