“Le numerose riforme della sanità nel nostro Paese, penso alla Mariotti, all’istituzione del Servizio sanitario nazionale, al traghettamento degli enti ospedalieri alle Usl create nel 1978 fino alla stagione dei commissari straordinari dopo l’accorpamento e la riduzione delle stesse Usl, hanno determinato una sempre più forte aziendalizzazione della sanità pubblica – continua lo specialista. “Per cui oggi a qualsiasi medico è richiesto anche di conoscere in modo approfondito il funzionamento di un’azienda sanitaria con i suoi organi amministrativi e di politica sanitaria, il suo complesso organigramma, la governance, le strategie, l’innovazione tecnologica, il budget, la rendicontazione, proprio perché i servizi siano organizzati al meglio. Di questo nodo, oggi che siamo ancora immersi nella pandemia, si sta parlando poco: eppure sono state soprattutto le falle del servizio sanitario, che necessita di una riorganizzazione a partire dalla medicina di base e dai territori, ad accentuare l’improvvisa emergenza pandemica. L’aspetto più grave, infatti, è stato quello di aver lasciato tanta gente senza alcuna assistenza medica, pensiamo ai telefoni che hanno squillato a vuoto. La visione ospedalocentrica ha penalizzato proprio quella medicina territoriale che in molti casi ha fallito”.
Nel libro “Dipendenze patologiche”, il dottor Persia individua criticità anche nelle limitazioni all’accesso dei corsi di laurea in medicina e chirurgia, nei numeri programmati per le scuole di specializzazione già dagli anni Ottanta e nei rapporti sempre più conflittuali tra Stato e Regioni.
“La consistente crescita della spesa sanitaria registrata tra il 2019 e il 2020, causa principalmente il Covid, registra una forte differenziazione a livello regionale – continua lo specialista. “Ad esempio, Valle d’Aosta, Emilia Romagna e Bolzano hanno mostrato tassi di incremento superiori al 9 per cento, Friuli-Venezia Giulia e Calabria intorno al 2 per cento, il Molise un decremento dell’8,4 per cento. I piani di rientro, come noto, hanno caratterizzato la situazione economico-finanziaria di molte regioni, già nel 2006 Liguria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Sicilia e Sardegna li hanno predisposti, nel 2009 s’è aggiunta la Calabria, l’anno seguente anche Piemonte e Puglia. Tutto ciò ha inciso e continua ad incidere notevolmente sulle performance”.
Insomma, secondo l’autore del volume, a cui hanno collaborato altri professionisti del settore sanitario (Pierpaolo Aragona, Carlo Castelfranchi, Massimo Mattioli, Tonino Valleriani), occorre rilanciare il ruolo territoriale della sanità e la centralità del management sanitario perché le risorse umane costituiscono l’ossatura del sistema: oltre ai medici, agli infermieri, ai tecnici, agli psicologi e alle altre figure sanitarie, ci sono gli operatori dell’Urp, che hanno avuto un ruolo importante nel periodo pandemico, e c’è il rapporto con le tante cooperative che curano i servizi di mensa, di pulizia, di sicurezza.
“Ora c’è la questione dei percorsi diagnostici terapeutici assistenziali del post Covid, cioè dei problemi di fragilità legati ad un paziente che fuoriesce da un ospedale o comunque dalla malattia: al tema dell’assistenza domiciliare o nelle case salute si somma quello psicologico e sociale perché spesso è depresso o non può fisicamente recarsi più a fare la spesa o a pagare le bollette. Riorganizzare bene, anche grazie ai fondi del Pnrr, è un’esigenza improrogabile”.
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