FRANCESCO GRECO - Sicilia secolo XVII, chi e perché ha assassinato il conte Girolamo II del Carretto, che regna incontrastato sul suo feudo a due passi da Palermo? I suoi metodi sono violenti e brutali, la povera gente è soffocata dai suoi soprusi e quelli dei sui sgherri (altrove li chiamavano “bravi”). Chi non ha da pagare deve spingere nel suo letto le figlie. Non ha pietà nemmeno dei bambini affamati e perfino i frati del convento debbono pagargli il pizzo.
Un archetipo sopravvissuto sino a non molto tempo fa e che è stato trasfigurato da Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo. Una nobiltà avida, perversa e usuraia, in una società cristallizzata, impotente, di sconfitti dalla Storia, ricacciati ai margini, di cui il Sud paga ancora le colpe e che si ripropone con altre dinamiche, ricalcandole.
Anche la contessa Beatrice è disgustata (ma gli ha dato un erede, un gattopardo in fieri a cui la zingara predice sventure), tanto che si butta fra le braccia del pittore del paese, un borghesuccio orbo e non più giovane, con un po’ di terra, che la dipinge come l’Immacolata. Vaghi segni di protagonismo protofemminista.
La Sicilia è l’allegoria dell’intero Mezzogiorno transitato immutato dal Settecento ai Borboni all’unità d’Italia, sempre uguale: i gattopardi d’oggi sono certi politici locali, ancora più cinici e spietati nella loro nullità e nel mungere privilegi castali. Da qui la desertificazione del Sud, lo sgranarsi del tessuto sociale, la lacerazione delle coscienze, lo strapotere della criminalità organizzata, senza lupara, ma col colletto bianco e i pixel.
Descritta, nella sua complessa architettura sociale e fauna antropologica (non mancano i delatori e quelli che si fanno i fatti propri), da Leonardo Sciascia per tutta la vita, e soprattutto ne “Le parrocchie di Regalpetra” e “Morte dell’inquisitore”, e ora ripresa dal nipote Vito Catalano (Palermo, 1979) nell’aspro, delizioso romanzo breve, e o racconto lungo “Il conte di Racalmuto”, Vallecchi editore, Firenze 2021, pp. 110, € 12, bella cover di Denise Camporesi.
La prosa è essenziale e al contempo sostanziosa e magmatica come mosto denso, riecheggia quella del celebre nonno. Anche il furore trattenuto nelle pieghe dell’incedere dei capitoli. Catalano pare aver ereditato il suo dna: un fil rouge lo collega a Sciascia e a un certo punto pare confondersi e ibridarsi.
Il romanzo attinge alla memoria popolare ed è costruito come un giallo: chi ha ucciso con l’archibugio il conte corrotto e predatore, icona di una nobiltà fuori dal tempo, una genia che da sempre opprime il Sud e che come la fenice risorge dalle sue stesse ceneri?