Nei suoi scritti rivendicò sempre per la schiatta Alighieri un nobile lignaggio, a cominciare dal trisavolo Cacciaguida, ma la realtà non era proprio questa: per tutta la vita, anche prima della cacciata da Firenze, il “padre della lingua italiana” dovette venire a patti con il disagio economico della propria famiglia, anche per il suo rifiuto categorico di svolgere qualsivoglia attività lavorativa per dedicarsi alla poesia e la letteratura.
Rimasto orfano in tenera età sia della madre Bella che del padre Alighiero, Dante ebbe come guida nell'infanzia la sorella maggiore Tana che, andando controcorrente rispetto all'estetica letteraria del tempo, cita nelle opere.
Ma l'incontro che cambierà la sua esistenza sarà quello con la moglie Gemma Donati, promessa in sposa a dodici anni e sposata a diciotto. Imparentata col potentissimo guelfo nero Corso Donati, colui che caccerà Dante da Firenze, Gemma sarà sempre un sostegno per il marito, specialmente durante gli anni dell'esilio: i due non si ricongiungeranno più.
Non stupisce quindi che il Poeta, mostrandosi anticonformista ancora una volta, abbia dedicato una poesia amorosa alla propria consorte violando le regole della lirica dell'epoca che prevedevano il corteggiamento amoroso solo in forma adulterina.
Da non sottovalutare poi la figura femminile di Antonia, terzogenita di Dante, che nel 1332 si monacherà prendendo il nome di Beatrice (aperto omaggio al padre) e sarà incontrata da Giovanni Boccaccio, intento a comporre la sua biografia su Dante, in monastero.
Per quanto riguarda la famiglia Donati, il Sommo Poeta ricorda Nella, moglie di Forese Donati, perennemente raffreddata perché non soddisfatta sessualmente dal marito, e soprattutto Piccarda Donati, sorella di Corso (monacatasi e poi costretta a rinunciare ai voti dal famigerato fratello), che Dante colloca come prima anima beata nel suo Paradiso.
Prima di dedicare la sua vis poetica all'amata Beatrice Portinari, introduce nel suo universo letterario la figura della “donna-schermo”, che si frappone tra lui e Beatrice, ricambiando gli sguardi del poeta: oggetto, dunque, di un'azione maschile, ma dotata di una propria volontà .
Ma prima di Beatrice c'è anche Giovanna, la donna amata da Guido Cavalcanti, cantore del “dolce stil novo”, maestro e mentore di Dante, che sta a lui come Giovanni Battista sta a Cristo. Amici per la pelle (Dante dedica a Guido la “Vita Nova”), i due si allontaneranno per motivi politici e letterari.
Dante, nella sua funzione di Priore di Firenze, per mettere un freno alla guerra tra guelfi bianchi, la sua fazione (i Cerchi) e guelfi neri (i Donati) non esiterà a spedire il bellicoso bianco Cavalcanti nelle campagne di Sarzana, dove contrarrà la malaria che lo condurrà alla morte.
Ma anche prima, in letteratura, i dissidi tra i due erano già scoppiati: l'elitario e aristocratico Cavalcanti mal sopportava che Dante riservasse un valore salvifico, cioè accessibile a tutti, alla figura poetica di Beatrice.
E finalmente c'è lei, Beatrice di cui Dante afferma di essersi innamorato, con un vero e proprio colpo di fulmine, nel 1274, cioè all'età di nove anni. Protagonista della “Vita Nova” e del “Convivio”, poi angelicata nel Paradiso, era figlia di Folco, esponente di spicco d’una ragguardevole famiglia dedita al commercio e la finanza e sorella di Manetto, a lei molto affezionato.
Andò sposa, intorno al 1280, a Simone Bardi, nome di spicco della migliore aristocrazia fiorentina, e acerrimo guelfo nero. A separare Beatrice da Dante c'era un abisso sociale: la famiglia Alighieri non aveva saputo esprimere che un Priore, Dante stesso, mentre i Portinari e i Bardi erano al centro della vita politica fiorentina.
La breve vita di Beatrice si conclude l'8 giugno 1290: è lo stesso Dante a informarne con assoluta precisione. Beatrice aveva ventiquattro o venticinque anni: la morte gettò nel lutto Firenze.
Dopo aver dedicato tre capitoli alle opere di Dante su Beatrice, Santagata descrive il complesso mondo femminile, a metà tra cronaca nera e cronaca rosa, di cui era permeato l'universo fiorentino nel quale visse la sua vita.
Della relazione adulterina tra Francesca da Rimini e Paolo Malatesta, forse i due personaggi più famosi della “Divina Commedia”, si parlava sicuramente nella Firenze dell'epoca, ma non esiste alcun documento che testimoni la vendetta sanguinosa di Gianciotto Malatesta, marito tradito.
E' probabile che Dante abbia attinto ad altre fonti durante gli anni dell'esilio, rielaborando il V canto dell'Inferno dopo tali acquisizioni. Certo è che abbia dato un carattere universale al conflittuale rapporto tra libero arbitrio e fatalità dell'eros: ed è anche da sottolineare la sottile accusa di immoralità alla letteratura dell'amor cortese, o almeno al conseguente tradimento dei principi veicolati da quella tradizione da parte del ceto nobiliare che se ne riteneva custode.
La relazione carnale tra cognati di Francesca e Paolo a quei tempi era considerata incestuosa: la triade adulterio-omicidio-morte si ramifica per l'intero canto, e sottolinea il degradarsi degli stili di vita della nobiltà contemporanea.
Altra moglie uccisa dal marito presente nella “Commedia” è Pia de' Tolomei che il Poeta incontra nel Purgatorio e che descrive in modo conciso. I commenti più antichi sono concordi nell'identificare nel marito Nello Pannocchieschi, feudatario in un castello nei pressi di Massa Marittima, il responsabile del delitto, compiuto per sposare Margherita degli Aldobrandeschi e intascare i suoi ricchi feudi.
Maritata ben cinque volte, la nobildonna fu responsabile, per motivi matrimoniali e familiari, di una guerra tra papa Bonifacio VIII e la sua famiglia, che coinvolse gran parte delle città toscane.
Nello Pannocchieschi era, per Dante, un nemico giurato: passato dalla fazione “bianca”, quella di Dante. alla “nera”, il Poeta non esita a incolparlo dell'uxoricidio immotivato e vile di Pia, consegnandoci, con quest'ultima, una figura poetica eterna e misteriosa.
Da far impallidire le vicende erotico-matrimoniali di Margherita degli Aldobrandeschi la vita di Cunizza da Romano, sorella di Ezzelino e Alberico da Romano, signori di Treviso.
Sposata tre volte e protagonista di innumerevoli liasons amorose, Cunizza fu conosciuta da Dante durante la permanenza in Toscana, quando viveva una vecchiaia morigerata. Il Poeta, con una scelta a dir poco sorprendente, la colloca in Paradiso, nel cielo di Venere.
Dopo aver accennato alla sua sensualità in vita, Dante fa lanciare Cunizza in una serie di profetici messaggi politici tesi, nell'autore, a esaltare la grandezza di Cangrande della Scala, suo protettore a Verona.
Cunizza parla molto, ma è Dante a parlare per lei, e dunque il suo personaggio rimane meno impresso nell'immaginario collettivo che non quello di Pia de' Tolomei coi suoi silenzi. Altro personaggio femminile che incontra nel Purgatorio tra coloro che hanno commesso peccati di invidia è Sapia, nobildonna della famiglia dei Salvani, zia di quel Provenzano da Siena che, con un atto di superbia, volle portare la città intera nelle sue mani.
Superbia, invidia e ira sono, per Dante, peccati connessi tra loro e Sapia riconosce il suo impulso coatto all'invidia quando ricorda di aver sperato ardentemente nella sconfitta dei suoi concittadini comandati dal nipote Provenzano nella battaglia di Colle Val d'Elsa, dove i ghibellini senesi furono sconfitti duramente dai guelfi di Firenze e Provenzano, catturato, fu decapitato.
Sapia veicola dunque un messaggio politico ma non è Cunizza: la sua figura si staglia nitida, indipendente dalle parole di Dante. Nel corso degli anni d'esilio, l’Alighieri soggiorna in varie corti e muta il suo credo politico diventando un ghibellino, il “ghibellin fuggiasco”.
Non è un caso che collochi al Purgatorio e non all'Inferno, a conferma di questo suo nuovo credo politico, nientemeno che Manfredi, figlio di Federico II e massimo esponente del ghibellinismo italiano.
Collegata a quella di Manfredi è un'altra figura femminile, quella della figlia Costanza, figlia “bella e buona”, orgoglio di Sicilia e d'Aragona. Se Manfredi ha, in terra, il conforto dell'erede, il ghibellino Buonconte da Montefeltro si lamenta di non avere alcuno che si prenda cura del suo ricordo e si lagna soprattutto della figlia Manentessa, “figlia noncurante”, andata in sposa a un suo nemico e conosciuta da Dante.
Nel maggio 1311, anno della discesa in Italia di Enrico VII di Lussemburgo, il Poeta è ospite del signore Guido di Battifolle, nel castello di Poppi. Qui conosce la moglie di lui, Gherardesca della Gherardesca, che lo incarica di scrivere tre missive alla moglie dell'imperatore Enrico VII, Margherita di Brabante, regina dei Romani. Dante vorrebbe inserire dei riferimenti politici, ma è dissuaso dalla committente, che non vuole compromettere il marito con vane promesse all'Imperatore.
Infatti Guido, dopo un iniziale fervore verso Enrico VII, combatte contro le truppe imperiali e alla fine, nel 1315, otterrà un incarico di prestigio dai D'Angiò guelfi. Margherita di Brabante morirà di peste nel dicembre 1311 e il marito Enrico VII incaricherà Giovanni Pisano di erigergli un monumento funebre.
Nel Purgatorio Dante incontra anche Nino Visconti della Gherardesca, signore della Gallura che, come tutti i purganti, lo prega di intercedere sulla figlia Giovanna perché preghi per lui, ma non la moglie Beatrice d'Este, che aveva lasciato gli abiti vedovili per risposarsi con Galeazzo Visconti di Milano, matrimonio di cui si pentirà .
L'ultima figura femminile citata è quella della misteriosa Gentucca, lucchese che Dante incontra in Purgatorio e che, presumibilmente, allietò il soggiorno a Lucca del Poeta. Insomma, un'opera meritoria, esaustiva, che è d'uopo nella nostra biblioteca e che fa luce sulle donne che entrarono nella vita letteraria e reale di Dante. Il testo è ricchissimo iconograficamente in quanto riproduce le opere artistiche riguardanti Dante e tutto il mondo trecentesco che permeò il suo modo di essere un “uomo del suo tempo”.
Marco Santagata, “Le donne di Dante”, Editrice Il Mulino, Bologna 2021, pp. 230, € 38,00.