Umana troppo umana, Circe la maga


FRANCESCO GRECO
- “Lasciate che vi dica cosa non è la magia: non è un potere divino che sgorga con un pensiero e un batter d’occhio. La magia dev’essere creata e plasmata, pianificata e investigata, estratta, essiccata, sminuzzata e macinata, bollita, evocata con parole recitate e cantate”.

Il concept è subito svelato dalla scrittrice di Boston, che chiarisce: “Celato sotto il dolce volto familiare delle cose, ce n’è un altro in attesa di spaccare in due il mondo”. Dunque, forza iconoclasta, devastante, destrutturante. Due mondi corrono paralleli, sfiorandosi, combattendosi, intrecciandosi, dividendosi, ritrovandosi.

Olimpo in subbuglio, rumoroso convivio di dèi e semidei, titani, ninfe e naiadi nelle sontuose domus oltre le nubi, le membra adagiate mollemente su canapè di porpora e il banchetto che incombe. Vini, nettare, ambrosia. Prometeo il folle ha trasgredito turbando esili equilibri: ha rubato il fuoco agli dèi per donarlo all’uomo, che potrebbe osare competere col divino, relativizzandolo, come se fossero condizioni interscambiabili e non fissate gerarchicamente. 

Sommo orrore: punirne uno per educarne, con raffinati supplizi, cento. Ammonimento terribile a chi turba la già precaria pace olimpica. Figlia di Elios e Perseide, Circe si intenerisce, gli porge una coppa di miele sottratto alle libagioni. Sottinteso: le divinità di ogni ordine e grado passano il tempo a mangiare e tramare, ma alla fine invidiano la condizione dei mortali, svelandosi umani più umani dei mortali nei loro intrighi, perfidie, imposture: accade anche nei cieli, il genoma divino riflette quello umano: la sorella di Circe, Pasifae, per dire, moglie di Minosse e regina di Creta, in calore, seduce il toro bianco, dorme con l’animale e partorisce il Minotauro che nascendo morde e lacera le mani della maga in veste di levatrice.  

La declinazione alchemica e irrazionale della pharmakis (“ambigua e ambivalente, crudele ma anche pietosa”, in postazione Maria Grazia Ciani), ha deviato i frequentatori della mitologia, che sinora hanno letto la strega quasi in termini subordinati a Ulisse sulla via per Itaca, dopo il pescatore Glauco, Ermes il messaggero degli dèi, Dedalo l’artigiano raffinato, vittime delle sue malie e sortilegi, dell’arte eterna della seduzione: muta l’eroe di Troia e i compagni in maiali e lo trattiene per lunghi anni, more uxorio (nascerà Telegono), mentre a corte la fedele moglie Penelope, astuta quanto lui, si inventa il gioco della tela che tesse e disfa (ogni dea è sempre colta al telaio). 

E invece la pregnanza del personaggio omerico (appartiene alla stirpe del Sole) la fa esistere in termini autonomi (Ovidio ne fa una facile), grumo semantico degli aspetti esoterici e magici dell’epoca classica, innestati sull’alchimia praticata già da Assiri, Babilonesi, Egizi (per restare  all’area indoeuropea) che, se si vuole, si riverberano in seguito fra basso Medioevo ed epoca moderna, quando l’Europa è illuminata dai roghi di donne che, ponendosi in termini dialettici con la loro sensualità, non vollero più sublimarla, disobbediranno (Prometeo incatenato alle rocce del Caucaso, Circe esiliata su Eea, isola bellissima: ha ridotto Scilla a un mostro) alla morale del loro tempo e perciò furono dette streghe e spinte sulle pire. Ogni tempo ha i suoi sacrifici e altre divinità devono ubriacarsi del fumo dei sacrificati. Circe, maga greca, a voler semplificare, altro non è se non la loro antenata. 

A darle spessore di personaggio mitologico dotato di un immaginario e strutturato palinsesto (oltre che di una barocca cosmogonia), facendola vivere di luce propria, Madeline Miller in “Circe”, Marsilio editore, Venezia 2021, pp. 422, € 12,00, ottima traduzione di Marinella Magrì. 

Chi ha amato la liason (vera o meno, come quella di Alessandro) di Achille e Patroclo de “La canzone di Achille”, ritroverà la prosa forte e sicura, incantata, diremmo hemingwayana, che scorre fluida e possente, senza orpelli di sorta e per noi abituati ai barocchismi ossessivi, militanti sin nelle virgole dei nostri narratori, è una gioia indefinibile. 

La Miller sazia l’ansia di mito e la solitudine cosmica dell’uomo al tempo dei social, facendoci abitare in un mondo in cui convivono uomini e dèi con i loro disegni e capricci, a dire che la condizione può anche essere intercambiabile, oggi che la Circe contemporanea è capace di mille magie e ci fa vivere come porci per disporre come vuole di noi, consumatori di volgari emozioni seriali.

Occhio agli incantesimi di Madeleine, e Circe: potreste ritrovarvi a grugnire dietro un recinto…