“Una pubblicazione internazionale che conferma l'alto valore della ricerca scientifica svolta e del legame di stretta integrazione tra clinica, ricerca e didattica, caratteristica della qualità dell’offerta assistenziale del nostro Policlinico”, commenta il direttore generale del Policlinico, Giovanni Migliore.
“I dati di questo importante studio clinico – ricorda Musto – derivano a 474 pazienti, provenienti da 42 centri italiani di ematologia posizionati su tutto il territorio nazionale, che hanno ricevuto alternativamente, in maniera casuale, tre diversi tipi di terapia, con o senza trapianto. I risultati ci dicono innanzitutto che il trapianto autologo, già ampiamente utilizzato in questa patologia, ma preceduto in questo caso da un diverso e più potente trattamento di induzione a tre farmaci (carfilzomib, lenalidomide e desametazone), rappresenta un possibile nuovo standard terapeutico per i pazienti affetti da mieloma multiplo in grado di sostenere procedure trapiantologiche, essendo ancora risultato, in particolare, superiore a una terapia esclusivamente basata su farmaci e senza trapianto”.
“Il secondo e ancor più innovativo elemento che deriva da questo studio – continua Musto – è che viene per la prima volta dimostrato che la combinazione di due farmaci (carfilzomib e lenalidomide) risulta essere più efficace nel prolungare significativamente la fase di 'remissione' di malattia dopo il trapianto rispetto all’attuale terapia di mantenimento, rappresentata dalla somministrazione della sola lenalidomide. Questi dati positivi vanno ancor più valorizzati considerando che l’efficacia del nuovo trattamento è stata confermata anche nei pazienti considerati ad alto rischio di mancata o breve risposta alla terapia effettuata e che non sono stati osservati profili di tossicità significativamente più elevati o un maggiore tasso di sospensione del trattamento dovuto alla ridotta tollerabilità alla terapia nei pazienti trattati in maniera più intensiva”.
Il mieloma multiplo, caratterizzato prevalentemente dalla presenza di lesioni alle ossa, anemia, aumento dei livelli di calcio nel sangue, infezioni e insufficienza renale (sintomi legati all’infiltrazione del midollo osseo da parte di una popolazione di cellule tumorali definite “plasmacellule”), colpisce prevalentemente persone con un’età mediana di circa 70 anni. Molti pazienti, tuttavia, sono più giovani e ricevono, dopo una breve trattamento iniziale, il trapianto di cellule staminali autologhe (provenienti cioè dello stesso paziente), seguito da una terapia farmacologica di mantenimento.
“Si tratta di preziose informazioni – conclude Musto – che rafforzano ulteriormente l’importanza ancora attuale del trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche nel mieloma e indicano come poter migliorare ulteriormente i risultati ad oggi ottenuti”.